Antonio Bruno su Ezechiele Leandro

“Siamo tutti visitatori di questo tempo, di questo luogo. Siamo solo di passaggio. Il nostro scopo qui è di osservare, crescere, amare… Poi facciamo ritorno a casa.”
– proverbio aborigeno. In Australia vi sono circa 500 diversi popoli aborigeni, ciascuno con la propria identità linguistica e territoriale, e generalmente organizzati in clan distinti. La loro terra è stata invasa a partire dalla fine del diciottesimo secolo, con conseguenze disastrose.
Un posto e un giorno qualunque, persone diverse per provenienza, sensibilità e interessi si incontrano. Ognuno racconta un fatto su un uomo che visse in questo luogo e che non c’è più qui da 35 anni. Di quell’uomo restano dei segni che continuano a pulsare su delle tele e una costruzione in Via Cerundolo che respira l’aria e a cui batte forte il cuore.
Arrivano soprattutto quelli che vissero in quel luogo e che percepirono lo strepitio delle idee e dei sogni che si materializzavano nelle mani di quest’uomo per divenire un mondo nuovo accessibile a tutti quando lui te lo spiegava.
Si, se e quando lui te lo spiegava, accadeva che tu avessi davanti un castello, un guerriero, una carrozza e una principessa, si lo potevi veramente vedere se lui te lo spiegava.
Se n’è andato via senza lasciare le spiegazioni, e tutti noi per cercarle ci incontriamo, per capire ciò che non possiamo e sognare ciò che non osiamo, per sorridere delle nostre miserie e subire il senso dell’esclusione, del dividere perché non si vuole uscire da quello che sarebbe legittimo fare mentre viviamo.
Tutto questo mi hanno trasmesso ieri sera Daniela Litti, Antonio Lettere, Gianni Letizia, Rosaria Ricchiuto, Giuseppe Abatianni, Enzo Marenaci, Pino Marzo, Luisella Micella, Marcello Seclì e quell’ottantina di persone che hanno riempito la Sala Multifunzionale della Società di Mutuo Soccorso fra lavoratori di San Cesario di Lecce

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