Il Primo piano del Palazzo ducale di San Cesario di Lecce


Il piano nobile mostra una nuova faccia, un cambiamento di stile, quasi di mano; analogamente a quanto è dato vedere tra la facciata inferiore e quella superiore di Santa Croce in Lecce: trasformazioni avvenute pressoché contemporaneamente. A Lecce, è noto, alla mano di Gabriele Riccardi si sostituirono quelle dello Zimbalo e del Penna. A San Cesario, tale cambiamento, non è documentato, anzi si può affermare, che la mano e la fantasia del medesimo architetto del piano terreno, si siano sbizzarrite per dare al piano nobile quella leggiadria e quel risalto necessari alla stia funzione.
Si può vedere così, alle semplici sagome rinascimentali, alle superfici piane che contornano il portale e le finestre del piano terreno, succedere, nel primo piano, alcuni elementi barocchi, la cui armonica scansione dei pieni e dei vuoti si fa più serrata dalle ali verso il centro; le cui decorazioni si infittiscono, le sagome si movimentano ed inturgidiscono, senza cadere nel trito e nel superfluo.
Cominciando dalle critiche si può vedere, nel balcone centrale, la grande lastra del piano di calpestio, malgrado le scanalature a forma di triglifo in essa praticate, e le ventotto rosette ad otto foglie scolpite sulla fascia sovrastante, essere pesante e togliere respiro agli elementi di trabeazione elegantemente sbocciati dalle colonne e dalla serraglia centrale dell'arco. I balaustri della balconata sono pressappoco rinascimentali, piuttosto tozzi; mentre i cinque « acroteri » (pilastrini di ripartizione) sono di sagoma prettamente barocca. Qualora il complesso della balaustrata fosse stato più leggero e situato in posizione lievemente più arretrata, si sarebbe avuto un effetto molto migliore: uno dei più bei balconi su uno dei più bei portali d'Italia. Ma, la perfezione, si sa, non è di questo mondo.
Il « neo » della balaustrata viene ampiamente compensato dal brillante motivo delle nicchie e delle finestre poste ai lati del balcone centrale.
Sono quattro grandi nicchie ad arco a tutto sesto e ad incavo semicircolare, di differente altezza, poggianti su pseudo capitelli a rilievo il cui abaco è il prosieguo della cornice di parapetto del balcone.
Tra le nicchie vi è una porta finestra con parapetto a filo muro formato da cinque balaustri di tipo analogo a quelli del balcone centrale; motivo inquadrato dalle cornici d'imposta e di parapetto e da due finti modiglioni ad « S ».
Il complesso di questi tre elementi architettonici differenti: nicchia-finestra-nicchia, strettamente accostati, dagli stipiti ed architravi sagomati in maniera più decisa di quelli del piano terra, dai fregi con targhe e rosette, dalle cornici con modiglioncini ed intagli; sfalzate in altezza con ritmo crescente verso il centro; il tutto, dalla linea rinascimentale e di sapore barocco, forma un insieme strutturale-decorativo notevole per finezza e buon gusto e quasi unico nel suo genere.

Entro le nicchie: quattro statue in pietra leccese di intonazione classicheggiante. La prima a destra è una copia riveduta e... scorretta del celeberrimo « Ercole Farnese » del Museo Nazionale di Napoli che, come è noto, è attribuita allo scultore ateniese Glycon, e raffigura un Ercole stanco per le molte fatiche, la testa piccola e reclinata, lo sguardo vitreo per la incipiente follia, il possente corpo muscoloso quasi abbandonato sul fido sostegno della grande clava adorna della pelle del leone nemeo.
L'Ercole di San Cesario, invece, ripropone senza eccessive pretese artistiche e correttezze anatomiche, un Eroe saldamente in piedi, tra una fatica e l'altra, dalla testa possente, crinita e barbuta, dallo sguardo sereno e severo di semidìo, sottobraccio ad una clava alta quanto lui.

Nella nicchia di sinistra fa simmetrico e degno riscontro un'altra grande statua virile: quella del biblico Sansone, barbuto e « capellone », in fiero atteggiamento di sfida contro « i Filistei tutti e le loro colonne », ad una delle quali appoggia il gomito sinistro e protende il braccio destro in una stretta minacciosa.
Nelle due nicchie estreme, più piccole, vi sono due figure muliebri: Minerva e Venere in atteggiamento « naturale e disinvolto di perfette spogliarelliste ».


La materia in cui le quattro statue sono scolpite: la pietra leccese, non può rivaleggiare con gli effetti luministici e le finezze plastiche del marmo (tutta la statuaria salentina in pietra locale lo dimostra). Le statue di San Cesario, però, se fossero state di marmo, avrebbero avuto funzione puramente decorativa, sarebbero state un più o meno prezioso superfluo » anziché una modesta ed insostituibile « necessità ». Esse si immedesimano, coloristicamente e volumetricamente con le loro nicchie, vivono insieme all'intera composizione architettonica del primo piano, sono così bene « mimetizzate » con esso che è difficile a prima vista rilevare i difetti anatomici delle sculture.
Purtuttavia attirarono, molti anni fa, l'attenzione delle « Sante Missioni » in una loro visita a San Cesario. I buoni Padri Missionari, infervorati da uno zelo puritano forse eccessivo, tanto tuonarono dal pulpito, tanto susurrarono dal confessionale che riuscirono a strappare alle « Autorità competenti » il decreto di «vestizione » delle statue. Uno zelante « Brachettone » locale confezionò degli « indumenti » di stucco, materiale desueto nel regno della pietra leccese. Il suo sanfedismo non dovette essere minore di quello dei buoni Padri Missionari perché, in luogo degli ariosi e movimentati panneggi in un certo senso consoni alle statue seicentesche, modellò su di esse i due « cilizi » e le due « cinture di castità » che ora è dato vedere.
L'operazione suscitò non poche frecciate umoristiche (a dir poco) in epoca di riviviscente paganesimo carducciano e di edonistico dannunzianesimo. « Vedrete — si diceva in paese — che un giorno o l'altro non si contenteranno delle sole brache e imiteranno la tartufesca pudicizia delle dame inglesi che fanno coprire di stoffa le « gambe » dei tavolini e dei pianoforti per non vedere « nudità », oppure faranno come i gallipolini che tengono vestiti di tutto punto i loro « Buon Ladrone» e « Mal Ladrone » a fianco del Redentore in croce nella Chiesa di San Francesco »... Su questo punto c'era chi era pronto a scommettere che la parte di « Mal Ladrone » (quella cioè di « stracciarsi » miracolosamente i vestiti ogni anno) sarebbe toccata alla signora Venere; e sarebbe stato un bel vedere.
Non si conosce il nome del Daniele da Volterra in sedicesimo che, a San Cesario, ebbe partita vinta. Poco male, la Storia dell'Arte non ne scapita.
I suddetti motivi architettonici e scultorici del primo piano inquadrano la grande porta finestra del balcone centrale. Essa ha i piedritti a doppia serie di cornici: quella interna come stipite ed architrave di classiche sagome e proporzioni, quella esterna si innesta alla linea delle mensole barocche dal concavo scanalato e dal dorso a foglie d'alloro, riccio, gocce ecc. Tra le mensole spicca il fregio centrale con targa e rosette sormontato da una elegante ed originale cornice baroccamente sagomata ed intagliata.

Sulla cornice poggia la grande nicchia a lieve incavo dentro cui è allogato lo scudo araldico dei Marulli: « il leone illeopardito sotto la Croce di Malta », contornato da festoni e cartigli ad altorilievo, sormontato dalla grande corona ducale, cimiero e lambrecchino di forte effetto chiaroscurale e di gusto prettamente barocco. Questa nicchia ed il suo scudo sono gli unici elementi architettonico-decorativi che si permettono di interrompere la elegante fila degli archetti pensili e di invadere una parte della fascia terminale. Noblesse oblige. Anomalia architettonica che denota l'applicazione del fastoso emblema gentilizio in epoca posteriore alla costruzione del palazzo. Ma di questo si parlerà in appresso.
Lo stesso motivo dello scudo araldico sormontato da una grande corona a tutto tondo o ad altorilievo si può vedere, a Lecce, in Santa Croce, Santa Chiara, San Matteo, Santi Nicolò e Cataldo ed altri monumenti dell'età barocca.
Per completare la descrizione della parte centrale si nota che il piano attico del palazzo, alto appena una diecina di filari, è conchiuso tra le due paraste verticali centrali già note ed è sormontato da una cornice di lieve aggetto. Ha tre finestre basse incorniciate da stipiti ed architravi di eguale sagoma, nel cui centro campeggia una conchiglia di pretto gusto barocco.
Sempre al primo piano, le due ali dell'edificio, hanno due grandi balconi di fattura analoga a quello centrale, ma poggianti ciascuno su sei robusti mensoloni di pietra intagliata. Su ogni balcone si affacciano due porte finestre, delineate e decorate come le altre a fianco.
AI di sopra del loro architrave, e sulle due porte finestre della parte centrale, si vedono sei nicchiette a tutto tondo ed a mezzo incavo adornate dai soliti busti di dimensioni un pò maggiori e di fattura un po’ più accurata di quelli del piano terreno.
Il risvolto del corpo di fabbrica su Via A. Russo ha un altro balcone e due porte finestre, nicchie e busti come i precedentemente descritti. Si conclude con due porte finestre dalla balaustrata a filo muro, simili alle altre due tra le grandi nicchie.
Una fila di « ammorzature » di pietra preludevano le intenzioni di continuare quell'ala del fabbricato. Idea tradotta in pratica nel secondo decennio di questo secolo con la costruzione dell'edificio scolastico: un ben triste e democratico « vicino » alla nobile casa dei Marulli.

Tratto da Giulio Laudisa, Il Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce

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