La morte di Gene Hackman

 

La morte di Gene Hackman non è soltanto quella di un gigante di Hollywood. La morte di Gene Hackman è anche quella di un uomo malato e solo.

A sconvolgere il mondo non è stata soltanto la fine del grande attore, ma come questa è avvenuta. Fatto da parte il mistero iniziale, resta il dato di fatto che un uomo anziano - aveva 95 anni - e molto malato è stato per chissà quanti giorni, di certo più di sette, riverso in casa sua prima che due giardinieri si accorgessero di quanto era successo e dessero l'allarme.

Hackman era un uomo famoso, famosissimo. Gli amici - veri o presunti - solitamente non mancano.

Era un uomo ricco. Il personale domestico in genere è folto e solerte.

Ma Hackman era, soprattutto, il padre di tre figli. Figli che, si è scoperto solo dopo la sua fine, non lo sentivano da settimane. Ma per chi è distante anni luce da certe dinamiche, la domanda che continua a ripresentarsi è una sola: ma come è stato possibile?

Come è stato possibile che nessuno fosse in contatto con Hackman, o con la moglie? Come è stato possibile che nessuno si sia preoccupato, allarmato, per giorni e giorni? 👉

 

 

 

Allora se io non so amare, devo riconoscerlo e dire “non so amare, mi stanno tutti sul ca***o”. Nessuno vi punirà per questo. Siate onesti con voi stessi e non vi create delle croci che non esistono, l’amore è una questione di maturazione, non è una questione di bontà. L’amore non è “oddio come sono buona! Quanto sono brava!”. Amo tutti non è una cosa che si conquista andando dentro sé stessi, ascoltandosi, capendosi e se non capite voi stessi, se non capite i vostri figli, se non capite la vostra parte che non ama, non capite la parte dei vostri figli che magari non vi ama, che accade anche quello. Ma se voi tollerate che i vostri figli non vi amino, voi riuscirete anche a farvi amare.

Gabriella Tupini Psicologa, psicoterapeuta autrice del libro “Nella Tana del Lupo”

 

 

L’analisi dello scritto di Gabriella Tupini offre una chiave di lettura interessante per comprendere la vicenda della morte di Gene Hackman. Tupini sottolinea come l’amore non sia una questione di bontà o di sforzo, ma di maturazione e comprensione profonda, anche delle parti di sé che non sanno amare. Il suo pensiero invita a una riflessione su quanto sia importante accettare la realtà dei rapporti umani, senza idealizzarli o forzarli in schemi predefiniti.

Nel caso di Hackman, ciò che sconvolge l’opinione pubblica non è soltanto la sua morte, ma la solitudine in cui è avvenuta. L’indignazione sembra derivare dall’idea che un uomo ricco, famoso e con figli non possa, o non debba, morire in solitudine. Ma Tupini ci mette in guardia da un’interpretazione superficiale: il legame familiare non garantisce automaticamente l’amore, né il successo personale assicura una rete affettiva solida.

La domanda centrale—"com’è stato possibile?"—trova una risposta proprio nelle parole di Tupini: l’amore non è scontato, e i legami familiari non sono necessariamente basati sull'affetto incondizionato. Se Hackman non aveva rapporti frequenti con i suoi figli, ciò potrebbe derivare da dinamiche irrisolte, distanze affettive o scelte di vita. Invece di scandalizzarsi, dovremmo forse accettare che certe relazioni si consumano, si raffreddano o si spezzano, e che anche una figura pubblica può vivere e morire senza il conforto della vicinanza altrui.

Infine, il concetto espresso da Tupini riguardo all’accettazione della mancanza d’amore è cruciale: solo chi è in grado di tollerare l’assenza di amore—senza giudicarla o colpevolizzarla—può forse trovare la strada per essere amato davvero.

 

 

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