La Storia della Società Mutuo Soccorso fra Lavoratori di San Cesario di Lecce
La Storia della Società Mutuo Soccorso fra Lavoratori di San Cesario di Lecce
a cura di Ottorino Forcignanò
UNA SVOLTA NELLA COSCIENZA SOCIALE
Costituita da agricoltori, operai e negozianti, nel 1882
nasce a San Cesario la Società Agricola Operaia di Mutuo Soccorso, sulla scia
di quella già operante a Lecce e di quelle che da poco si erano formate in
provincia: Nardò nel 1873, Galatina nel 1879 ed Otranto nel 1881, nonché nel
resto d’Italia.
Lo Statuto della Società si ricollega idealmente
all’esperienza delle Confraternite; da esse mutua soprattutto i concetti di
fratellanza e di solidarietà, sostenuti però, non da una motivazione religiosa
ma dal senso di appartenenza alla stessa classe sociale, quella degli
agricoltori, operai e artigiani, per un impegno nella comune difesa dei propri
diritti e nel reciproco aiuto.
La nostra Provincia – come tutto il Meridione negli anni
postunitari – viveva un periodo molto
buio per le tristi condizioni economiche, per la mancanza di lavoro e per un
alto indice di povertà.
Sollievo momentaneo alle gravi situazioni di disagio
economico erano alcune forme di assistenza gestite dalle Congregazioni di
Carità quali i “sorteggi”, destinati solo a precise categorie di sancesariani.
Questi avvenivano pubblicamente, in date prestabilite nella Chiesa Matrice dove
sotto il nome di maritaggi, orfanaggi e sussidi, si assegnavano degli aiuti che
consentivano a pochi fortunati il superamento di gravi o temporanee difficoltà.
Curiosando tra gli Archivi Storici apprendiamo per esempio
che il giorno dell’Epifania, la domenica di Pentecoste e l’8 settembre di ogni
anno si procedeva al pubblico sorteggio di una dote di lire cento ciascuna da
conferire alle zitelle povere, orfane di padre, in virtù del legato di Don
Giuseppe Manno fondato con testamento del 24 gennaio 1797. Con gli stessi
fondi, nei giorni delle estrazioni si procedeva alla distribuzione di elemosine
in denaro, in viveri e in medicinali agli iscritti negli elenchi dei poveri. La
distribuzione delle elemosine era pubblica, fuorché per i “poveri vergognosi”
cui veniva portata direttamente in casa. Un dosaggio di lire cento ogni due
anni in favore delle orfane residenti a San
Cesario riveniva invece
dall’Opera Pia Nicola Maria Capone per testamento aperto il 14 marzo 1622. Alle
medesime finalità venivano utilizzate il
19 marzo di ogni anno sia le rendite del legato Toma Martini del 6 giugno 1645,
sia, nella giornata di tutti i Santi, quelle rivenienti dal testamento di Paolo
Totarofila del 26 novembre 1778. Due doti di centoventisette lire in favore di
povere vedove e tre doti di ottantacinque lire per zitelle erano invece
sorteggiate in forza del più recente legato Giacinta Capone fondato con
testamento aperto il 22 aprile 1833.
Così le Istituzioni di Carità, fondate generalmente per
volontà testamentarie, alcune delle quali risalenti anche ai primi decenni del
seicento, consentivano la pratica della beneficenza.
La Società Agricola di Mutuo Soccorso nasce proprio dalla
necessità di superare queste forme di carità per porsi in senso più generale i
problemi comuni, tentandone una risoluzione sistematica fondata sulla
solidarietà che nasceva tra persone della stessa condizione economica.
E’ questo salto di qualità che consentirà la maturazione di
una maggiore coscienza sociale e civile. Oltre a dettare queste norme
comportamentali per una condotta di vita ineccepibile dal punto di vista
morale, la Società di propone di intervenire con provvidenze a favore di
disoccupati, di sussidi alle famiglie bisognose per malattia o per morte del
capofamiglia, di aiuto materiale in tutti i casi in cui se ne presenta la
necessità. Promuove inoltre tra i soci la tolleranza e il rispetto delle idee
altrui, nonché quello verso le Istituzioni, proponendosi di fatto come momento
importante di formazione civica.
Sono senza dubbio questi motivi di forte aggregazione
sociale, con scopi mutualistici ed educativi, comuni a tutte le Società di
Mutuo Soccorso operanti in Italia, a suggerire al Legislatore gli adempimenti
che bisognava osservare per il riconoscimento giuridico e gli obblighi degli
amministratori. Con Legge del 15.aprile 1886 veniva stabilito che “Art.1.
Possono conseguire la personalità giuridica, nei modi stabiliti da questa
legge, le Società Operaie di Mutuo Soccorso che si propongono tutti od alcuni
dei seguenti fini: Assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, di
impotenza al lavoro, di vecchiaia; Venire in aiuto alle famiglie dei soci
defunti. Art.2. Le Società Operaie di Mutuo Soccorso potranno inoltre cooperare
all’educazione dei soci e delle loro famiglie; dare aiuto ai soci per
l’acquisto degli attrezzi del loro mestiere ed esercitare altri uffici di
previdenza economica.”
A dieci anni di distanza dalla nascita della Società, nel
1892 se ne costituisce un’altra e sotto la denominazione di “ Società Operaia
Risparmio e Lavoro” raccoglie soprattutto operai, negozianti, artisti e
industriali.
Ma la vivacità dei sancesariani continua a stupire ancora
perché pochi anni dopo, nel 1898 se ne costituisce un’altra che, per la sua
forte connotazione religiosa assume il nome di “Società Agricola Fede e
Lavoro”.
Le tre diverse
Società sono state distinte fino al 1936, anno in cui si fusero per costituire
l’attuale “Società di Mutuo Soccorso Fra Lavoratori”.
Da “LE SOCIETA’ DI MUTUO SOCCORSO A SAN CESARIO”
ASSISTENZA E BENEFICENZA A SAN CESARIO TRA FINE OTTOCENTO E
INIZI NOVECENTO
Precedentemente
abbiamo ampiamente trattato della nascita delle tre Società di Mutuo Soccorso a
San Cesario, inserendole nel contesto della grave crisi economica che
attanagliava tutto il Meridione d’Italia sul finire dell’Ottocento.
Indubbiamente positivo fu il ruolo che le Società di mutuo
soccorso esercitarono nel contesto sociale di San Cesario. Tuttavia, la loro
azione non andò mai al di là dell’intervento puramente ricreativo–culturale
nell’ambito del dopolavoro, di quello assistenziale con elargizioni di prestiti e sussidi, o di quello di sostegno nei momenti del lutto dei
soci. Il sorgere, nel volgere di pochi anni, di ben tre di esse nello stesso
comune è, comunque, indice di una vivacità di presenze di diversa matrice
culturale, che intendevano affermare una propria soggettività politica,
senza sconfinare dall’ambito
strettamente sociale.
Gli interventi delle
Società di mutuo soccorso non erano, peraltro, diversi da quelli della ben più
forte Congregazione di Carità presente a San Cesario. In pratica, agli
interventi delle famiglie dei vari Licastro, De Bonis, Russo, Saponaro e di
altre di possidenti che si avvicendavano ai vertici della Congregazione di
Carità, destinati solo ad alcune categorie sociali, si aggiungevano quelli
delle Società che elargivano ai lavoratori - dalle prima escluse - quei sussidi indispensabili per il
superamento di gravi emergenze economiche.
In altri Comuni,
invece, le Società di mutuo soccorso non solo sperimentavano la costituzione di
scuole serali per operai, la istituzione
dei cosiddetti “smerci sociali” ( veri
e propri magazzini di vendita e consumo), di cooperative di consumo e di
concessione di prestiti, ma esprimevano una forte leadership locale pure nelle
istituzioni dello Stato. Emblematico il caso della Società Operaia di mutuo
soccorso di Nardò che, per più legislature, portò al Senato del Regno prima, e
all’amministrazione comunale poi, il proprio presidente nonché fondatore on.
Giovanni Zuccaro.
LA CONGREGAZIONE DI CARITA
Proprio in quegli anni
la Congregazione di Carità, pressata da richieste sempre più numerose,
aveva ulteriormente ristretto i titoli
per l’accesso alla pubblica beneficenza. Così, invece di avventurarsi in
coraggiose politiche innovative e di riordino, la Congregazione preferiva controllare e utilizzare le consistenti
risorse economiche dei lasciti, ricorrendo all’elaborazione di ancora più
rigide griglie d’accesso alla beneficenza pubblica, in favore dei poveri. Ciò
le consentiva un forte controllo sociale che era finalizzato al perpetuamento
del potere della classe politica dominante di cui la Congregazione di Carità
era espressione. Grave testimone
dell’estrema povertà di quegli anni, diventa ad esempio, la revisione del
regolamento dei sorteggi per le vedove e le zitelle. In base ad esso si stilava
un elenco di venti vedove che dava la priorità alle “vecchie, le storpie, le ammalate e a quelle
con famiglia numerosa”. Da esse dovevano essere tuttavia immediatamente ed
“espressamente escluse quelle che avessero figli maggiori di anni 15 atti al
lavoro e dai quali potessero essere alimentate”. Analogamente veniva formato un
elenco di venti zitelle in ciò preferendo le maggiorenni e le più bisognose.
Tuttavia, chiunque fosse stata tanto sventurata da non essere “favorita dalla
sorte per tre estrazioni consecutive” perdeva ogni diritto al sorteggio,
venendo cancellata dal registro. Titolo indispensabile per essere ammessi alla
beneficenza e all’assistenza era la nascita e la residenza nel comune di San
Cesario, con possibilità di deroga soltanto alle “esposte nate e battezzate
altrove, purché tenute a balia in questo paese” e purché “non vi fossero orfane
da sorteggiare”. Al termine dei sorteggi, che avvenivano pubblicamente nella
Chiesa Matrice, si procedeva anche alla distribuzione delle elemosine - in
denaro, in viveri o in medicinali - agli iscritti negli elenchi dei poveri.
PAPA ARCANGELO
Coraggiose politiche innovative di riordino erano state
sperimentate invece a Lecce, il vicino capoluogo. Qui, il Principe Sebastiano Apostolico,
chiamato a presiedere la Congregazione di Carità nel 1897, aveva immediatamente
proceduto alla separazione dei bilanci dei vari enti assistenziali,
rinegoziando l’affido di gran parte della beneficenza con la Conferenza di San
Vincenzo e ottenendo maggiori entrate per l’ospedale prima utilizzate per i
sorteggi. Questo provvedimento, quantunque impopolare, gli consentì di pensare
anche ad una nuova sistemazione dell’ospedale di Lecce. Al contempo, il sindaco Pellegrino tentò
l’ammodernamento dell’organizzazione della beneficenza leccese, fondando
l’Istituto infanzia abbandonata, che
venne annesso a quello per sordomuti
e affidato alla direzione delle Suore
Salesiane dello Smaldone.
Forse sulla scia di quanto avveniva a Lecce, anche a San
Cesario un generoso sacerdote, don Arcangelo Taurino, cominciò a sollevare il
problema della gestione della beneficenza suggerendo la delega di alcune
funzioni alle Suore Figlie della Carità. Queste, già da qualche anno, erano
riuscite ad ottenere commesse dal capitolo della Chiesa Madre e dalla
Confraternita dei Sacri Cuori di San Cesario per apprezzati ricami su arredi
liturgici. Don Arcangelo intende far venire le Suore della Carità a San Cesario
ed alla riunione della Congregazione del 2 giugno 1899 espone il progetto di
utilizzare più proficuamente alcuni fondi del legato Manno suggerendo di affidare ad esse “la
elargizione delle elemosine urgenti; poiché penserebbero le predette Suore di
elargire esse stesse questo ramo di beneficenza, sia in denaro, sia in alimenti
ai poveri ammalati o in estrema miseria nelle loro quotidiane visite per il
paese”. L’esecutivo della Congregazione respinge, tuttavia, qualsiasi tentativo
di riforma della gestione della beneficenza pubblica “non essendo né conveniente né legale
vincolare la volontà dei futuri amministratori della pubblica beneficenza”.
Il rifiuto di qualsiasi tentativo di innovazione nella
Congregazione di Carità dovette essere
un vero affronto per il vecchio parroco che, da quel momento, si distinse per
il voto contrario sulle deliberazioni della Congregazione che escluse dal suo testamento. In esso
nominava erede il Comune di San Cesario: “…Voglio che il casamento ove ha
abitato sempre la mia famiglia, fosse adibito a ricovero di tante zitelle
povere di questo paese, che rimaste
nubili, orfane senza beni di fortuna, per la loro avanzata età e aggiaccate di
salute, che a stento possono lucrare la vita, non possono avere come pagare
l’affitto di una meschina casetta per ricoverarsi. E perciò sarà il detto casamento
diviso in modo, e ben si presta, da fare tante stanze e abitazioni separate
indipendenti, dividendone alcuna più grande in due, mettendo due persone nella
stanza, riducendo i locali attuali, facendone di nuovi come meglio si
crederà..…Degli introiti annuali della intera mia proprietà…si provvederà
anche, nell’entrata nel ricovero di ciascuna zitella o vedova, qualora non
l’avesse, di una semplice lettiera, cioè due scannette di legno, due tavole e
un paglione pieno di paglia lunga….”. Esecutore testamentario, il parroco.
L’asilo per vedove e zitelle, da subito chiamato “Papa
Arcangelo”, entrò immediatamente in attività e già nel 1909 l’amministrazione
comunale, pressata dalle richieste di lavoro di operai disoccupati, deliberò
l’ampliamento dello stabile, utilizzando lire duemila, rivenienti dalle rendite
del legato Taurino.
L’OSPEDALE
Le riforme tanto volute da don Arcangelo, divennero un atto
obbligato nei primi giorni del novecento, quando una grave diceria si diffuse
nel paese sul conto dell’infermiere dell’ospedale.
Con lascito testamentario del 13 novembre 1858, Giuseppe
Cascione aveva consentito la nascita del nosocomio dotandolo di rendite con lo
scopo di ricoverare e curare gli ammalati poveri del paese. Le vicende
politiche dell’unificazione italiana e il combattuto avvio della legge del
1862, che istituiva le Congregazioni di carità, ne ritardarono l’apertura fino
al 1867. Le attestazioni di ricovero, conservate presso l’Archivio di Stato di
Lecce, registrano la presenza di un massimo di quattro ricoverati all’anno.
Il 18 gennaio 1900
l’esecutivo della Congregazione decide all’unanimità la chiusura
dell’ospedale. “Alle signorie vostre –dichiara il presidente Erminio Russo- è
noto come da alcuni giorni circolasse nel paese una diceria abbastanza
infamante a carico dell’infermiere di questo ospedale, Vincenzo Rollo. Non
crederei sin qui informare la Congregazione, onde prendere un provvedimento per
tutelare la dignità dell’ospedale, non costando a me nulla relativamente al
fatto di cui si voleva addebitare l’infermiere. Ma ora che un giudizio si è già
iniziato al riguardo presso questa pretura, ed io stesso sono stato chiamato a
deporre come testimonio, sebbene ripeto nulla conosco; perciò ho riunita la
Congregazione per deliberare quel che occorra fare in questo momento.” Si
decide “sospendere ogni provvedimento fino all’esaurimento del giudizio, e
chiudere provvisoriamente l’Ospedale, facendolo sgombrare dall’infermiere e
dalla di lui famiglia.”
Si cercano quindi nuove soluzioni per la gestione
dell’ospedale. Il 3 maggio 1900 il Sindaco incalza e ne sollecita la riapertura
“trovandosi nel paese poveri che hanno assoluto bisogno di essere ricoverati”.
Il 14 maggio la Congregazione delibera di affidarlo alle Suore Salesiane,
incaricandole dell’assistenza degli “ammalati poveri sia ricoverati sia
esterni”.
Le suore dello Smaldone erano già presenti a San Cesario
dove avevano riaperto una casa nel 1897. Esse
dovevano essere tanto apprezzate
per le loro attività e il diligente impegno che il presidente della Congregazione minacciò le
sue dimissioni (dinnanzi alle obiezioni
di don Arcangelo) se l’affido non si fosse attuato “essendosi già impegnato
verso le autorità, e verso il paese, che ha accolta la notizia favorevolmente,
e attende di vederla attuata.”
L’avvio della nuova gestione è straordinario. Già il 29
dicembre dello stesso anno si registra che “coll’aver affidato il servizio alle
suore, l’importanza dell’Ospedale ha preso tale incremento che si sono avuti
persino quattro ammalati contemporaneamente, mentre per il passato se ne sono
avuti a stento quattro in tutto l’anno, per cui le spese non sono state
sufficienti allo scopo.” Anche Vito Fazzi che, spesso e disinteressatamente, si
offre nell’ospedale a vantaggio dei poveri, chiede ed ottiene di aprire una
sala chirurgica.
La soddisfazione anche della Chiesa per il buon andamento
dell’ospedale è compendiata nella relazione della visita pastorale di mons.
Trama. E’ il 28 aprile 1905: prima di rendere visita al Consiglio Comunale di
San Cesario, il Vescovo e don Filippo Smaldone vanno a visitare l’ospedale:
“tutto è serbato con somma pulizia e ordine inappuntabile: vi sono le suore
salesiane.” Va bene a tal punto che, quando nel 1908 si decide di costituire un
consorzio per la costruzione del nuovo Ospedale di Lecce, il comune di San
Cesario rifiuta di aderire “facendo notare che da più anni nel nostro paese si
è istituita una sala apposita, nella quale i valenti chirurghi dottori Vito
Fazzi e Raffaele Licastro hanno eseguite importanti e difficoltose operazioni.
E sin dallo scorso anno si è completato il reparto di chirurgia. E da diversi
Comuni vengono ammalati per importantissime operazioni del prof. G.Stasi.”.
UN SIGNIFICATIVO RUOLO DI CONTROLLO SOCIALE
Esaminando i pochi documenti rimasti dei primi decenni di
attività dei sodalizi, balza evidente la necessità, per le Società, di
attenersi scrupolosamente allo Statuto per connotarsi non soltanto come
indispensabile soggetto di mutuo soccorso, ma anche come momento di crescita
culturale, sociale e morale.
La “Società” si proponeva, di fatto, ai sancesariani, come
soggetto educativo e come Istituzione importante e seria che, al pari di quelle
religiosi, civili e militari esistenti nel territorio, esigeva il rispetto.
Cosi’, se da un lato l’assemblea dei soci “ approva un
sussidio per un socio costretto a recarsi a Napoli in ospedale per malattia
nervosa” ( S.A.O. 24.5.06), dall’altro è categorica nell’invitare “i soci
possessori di somme o mutuo a risanare i loro effetti” (S.A.O. 02.07.07). Con
deliberazione del 24.10.1907 si stabilisce che “ i soci, in caso di malattia, non
possono avere diritto al sussidio (0,90 al giorno a partire dal secondo giorno
di impedimento al lavoro) se il loro arretramento nel pagamento delle rette è
superiore a due anni”.
Il rispetto delle regole è quindi sostanziale e non formale.
Altrettanto rigore è osservato nei confronti dei soci,
obbligati a mantenere sempre un comportamento corretto, pena l’espulsione.
Tra le numerose testimonianze conservate nell’archivio,
scegliamo di riproporre, quasi integralmente, il deliberato di due
assemblee della Società Agricola Operaia
in merito ai comportamenti interni.
La prima è del 26 febbraio 1908. In essa il Presidente,
relaziona che: “per decoro dell’Associazione alla quale ci sentiamo onorati di
appartenere è tempo di mettere riparo ad alcune sregolatezze che succedono e da
tempo già si notano che qualcuno dei nostri associati abusandosi della mancata
disciplina, ardisca sempre più di lanciare parole offensive a disprezzo dei
soci e sodalizio insieme.
E’ consacrato nella storia dei tempi che ogni qualsiasi
Istituzione mira sempre al benessere degli associati e, perciò, deve regnare
l’ordine, l’amore e la concordia. In questa nostra società tutte queste cose
mancano assolutamente.
……La sera di lunedì ventuno febbraio, al momento di
insediarsi il comitato dei sussidi per affari ben noti, il nominato, passando
vicino alla sala, nel beffeggiarsi delle luci che stavano fuori a segnale,
pronunciò le testuali parole:” E finalmente si è aperto il bordello dopo tanto
che non si apriva più”.
E qual disprezzo peggiore di questo? La sala delle nostre
riunioni non è un bordello ma il tempio della concordia. E se diversamente da
costui si ritiene bordello, lo si metta fuori per non contaminarsi”.
Il Comitato dei sussidi invita a votare l’espulsione.
L’assemblea approva.”
Ma, unitamente al potere di espulsione, l’assemblea
sovrana ha anche il potere di grazia. Il
24 maggio 1906, chiamata ad approvare le sanzioni emesse dal Consiglio “ per
mantenere una forte disciplina sia nella sala che fuori” il Presidente “invita
l’assemblea dei soci a graziarli essendo padri di famiglia e nello stesso tempo
vecchi fedeli soci del nostro sodalizio”. Quindi “fatta una ramanzina ai soci
colpevoli, l’Assemblea all’unanimità li grazia”.
Ma, anche fuori dai locali della società il socio è
obbligato a comportamenti irreprensibili.
Nell’Assemblea dei soci del 28.01.1906 si decreta
l’espulsione di un socio “perché, da informazioni assunte non gode una stima
intemerata verso i paesani e poi per i maltrattamenti verso la famiglia e in
particolare verso la moglie che, essendosi
essa stessa lagnata verso il presidente stesso e come ancora le autorità
principali del paese hanno esortato il presidente stesso a radiarlo dall’albo
dei soci e fa leggere una lettera del
sindaco locale.” Si procede a votazione segreta con il metodo delle palline e
con 33 voti su 33 si decreta l’espulsione.
La Società, interferendo nel privato, si accredita
anche come ente morale di controllo sociale di fenomeni di devianza
esattamente al pari delle altre Istituzioni
(particolarmente Chiesa Parrocchiale e Municipio) che intervenivano per
richiamare a comportamenti più corretti o per richiedere, in casi estremi, l’intervento delle autorità tutorie. Tra le
testimonianze di simile consuetudine conservate negli archivi storici citiamo
soltanto, per i particolari risvolti drammatici e di moralità pubblica, una
richiesta all’Intendente da parte dell’arciprete Raffaele Albanese, della prima
metà dell’ottocento, di richiamare a Lecce nel luogo dell’altre meretrici una sancesariana, la quale non
avendo ubbidito al marito Oronzo Nicola Capone che con le buone l’avvisava di
non ammettere in casa gli uomini adulteri, sinceratosi più fiate disubbidiente
ai suoi comandi venne alle
bastonate uscendo ambi sulla pubblica
via con urli e schiamazzi tali che gli spettatori temevano omicidi Con tutto
ciò la rea moglie prosegue nella tresca non solo, ma minaccia il marito di
farlo uccidere e dopo, togliere la vita a un figlio accusatore dei suoi
misfatti.
La Società partecipa attivamente a tutte le principali
manifestazioni del paese. Mentre il
Municipio, nel 1907, intitola la piazza principale del paese a Giuseppe
Garibaldi, con deliberato dell’assemblea dei soci la Società ne commemora il
centenario della nascita comunicando al figlio, generale Garibaldi Ricciotti la
nomina a socio onorario. Anche il cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia
viene commemorato nominando, Presidente onorario della Società, Vittorio
Emanuele III .
Quando, nel 1911, si tenta di ridar vita a San Cesario alla
banda musicale, la Società versa lire 50 a titolo di avvio e di incoraggiamento
per ricostituire in San Cesario la “Compagnia musicale.”Ma l’esito è negativo.
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