Non è democrazia

 

Non è democrazia



Ho letto attentamente l’articolo del Prof. Luca Ricolfi (*), pubblicato sul quotidiano “La Repubblica” di oggi 6 marzo 2023. Il Prof. Ricolfi ha fatto una serie di distinzioni tra cittadini che si autodefiniscono di destra e cittadini che si autodefiniscono di sinistra, che non trovano riscontro nelle mie poli annuali osservazioni.

E se vi ho incuriosito leggendo qui di seguito potrete sapere perché.

Quando nel 1985 fui indicato Segretario della locale sezione della Democrazia Cristiana, indicato e non eletto in quanto fui l’unico candidato al Congresso Sezionale, un mio collega che aveva fatto con me l’università e che frequentava il mio paese mi disse:

“Antonio, hai visto già l’andamento delle elezioni Comunali del 1985, non sei stato eletto invece sono stati eletti altri democristiani e, secondo me, sono stati eletti non perché siano più disponibili al servizio pubblico rispetto a te, ma perché hanno fatto favori”.

Nella nostra cultura patriarcale l’impegno per la gestione della “cosa pubblica” è visto come UNA LOTTA TRA MANIPOLI DECISI DI DONNE E UOMINI PER LA CONQUISTA DEL POTERE, conseguentemente i cittadini votano a chi vogliono dare il POTERE per avere in cambio dei FAVORI.

Candidandosi alle elezioni si accetta DI FARE UNO SCAMBIO, il cittadino vota chi ritiene possa, una volta che abbia conquistato il potere, fargli IL FAVORE.

Le mie vicende personali mi hanno convinto che per essere eletti e conquistare IL POTERE ci si deve concentrare sulla capacità che si ha di proporre ai cittadini uno SCAMBIO.

Non ero interessato in passato e, meno che mai, lo sono adesso, al punto che non ho accettato la proposta di candidatura che mi è stata fatta da una lista civica.

Perché non ho accettato?

Perché io parto dal presupposto che la democrazia sia un modo di vivere nel quale si deve collaborare e per far questo si deve reciprocamente riconoscersi legittimi e quindi rispettarsi.

Questo modo di vivere che io chiamo democrazia in Italia non c’è perché non c’è il reciproco riconoscimento di legittimità e nemmeno il rispetto. C’è una guerra tra manipoli decisi di donne e uomini per conquistare IL POTERE A OGNI COSTO COSTI QUEL CHE COSTI.

Conclusioni

Per la nostra cultura patriarcale ci si FA LA GUERRA tra MANIPOLI DI CITTADINI per conquistare il potere. I cittadini votano i candidati che è loro opinione possano fargli favori. Tutti i partiti sono composti per la stragrande maggioranza di cittadini che vogliono conquistare il potere ed escludere i vinti esercitando il dominio suo cittadini che saranno favoriti nella misura in cui si sottometteranno.

Tutti i cittadini che sono tenutari di una carica pubblica, da Consigliere Comunale a Capo del Governo, sono nella nostra cultura patriarcale, quelli che la carica pubblica ancora non ce l’hanno sono di due tipologie:

Tipologia UNO: aspettano di poter conquistare un incarico di POTERE;

Tipologia DUE: danno una mano a quelli che hanno il potere ricevendo in cambio FAVORI.

Ora chiedo al Prof Ricolfi in quale occasione ha osservato DONNE E UOMINI che seppur abbiano conversato allo scopo di addivenire a un PROGETTO COMUNE per ottenere benessere per tutti, si sono spaccati perché NON AVENDO RAGGIUNTO UNA SINTESI HANNO PROPOSTO PROGETTI DIVERSI?

Mi hanno raccontato la trattativa per tentare una UNICA LISTA a San Cesario di Lecce tra fuoriusciti dalla maggioranza e sinistra.

Non hanno raggiunto LA FORMULAZIONE DI UN PROGETTO COMUNE PER IL BENESSERE DEI CITTADINI DI SAN CESARIO PERCHE’ NON HANNO MAI PARLATO DI PROGETTI PER SAN CESARIO.

Di cosa abbiano parlato è facile ad intuirsi, ma con certezza non hanno litigato su quali iniziative fare per favorire il benessere dei cittadini di San Cesario.

Buona Riflessione

(*) Luca Ostilio Ricolfi è un sociologo e politologo italiano. Ha fondato l’Osservatorio del Nord Ovest e, insieme a Silvia Testa, la rivista di analisi elettorale Polena. È stato direttore dell’Osservatorio del Nord Ovest, della rivista di analisi elettorale Polena e membro dell'EAS.

I rapporti tra i partiti

Gli interessi a destra i valori a sinistra

di Luca Ricolfi

Se ripercorriamo il trentennio della seconda Repubblica, e rivisitiamo gli otto grandi appuntamenti elettorali che, dal 1994 al 2022, ne hanno scandito la storia, non possiamo nonregistrare due importanti regolarità.

La prima è che la destra è sempre andata unita alle elezioni, salvo nel 1996, quando Bossi, che aveva fatto cadere il primo governo Berlusconi, preferì far correre la Lega da sola, consegnando il Paese all’Ulivo di Prodi.

La seconda regolarità è che le forze ostili alla destra sono sempre andate divise alle elezioni politiche, salvo nel 2006, quando il nuovo sistema elettorale (proporzionale + premio di maggioranza) rese improvvisamente convenienti le aggregazioni.

Il cosiddetto Porcellum, concepito da Roberto Calderoli, permetteva infatti ai partiti di preservare la propria identità (perché l’elettore era obbligato a scegliere un partito), e al tempo stesso stimolava le aggregazioni, per incassare il premio di maggioranza.

È anche il caso di notare che la difficoltà a formare una vasta coalizione anti-destra non ha riguardato solo l’annoso effetto-Bertinotti, per cui ci sono sempre uno o più partitini di sinistra, duri e puri, che rifiutano sdegnosamente l’alleanza con il Pds-Ds-Pd, ma ha spesso riguardato anche i rapporti con il mondo cattolico e il centro moderato.

Nel 1994 la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto non riuscì a stabilire alcuna alleanza con il Patto Segni.

Nel 2013 la lista Italia Bene Comune, guidata da Bersani, non fu capace di stabilire un’alleanza con la lista civica e

centrista di Mario Monti.

Per non palare dei rapporti fra Pd e Movimento Cinque Stelle, comprensibilmente burrascosi fino alle elezioni del 2018, ma ben poco comprensibilmente ostili alle elezioni del 2022, dopo la normalizzazione del movimento di

Grillo.

Ed eccoci alla domanda: perché questa asimmetria fra le politiche delle alleanze della destra e della sinistra?

Io credo che la risposta stia nelle concezioni che destra e sinistra hanno di sé stesse.

La destra, pur richiamandosi a un universo di valori (primo fra tutti la libertà individuale), pensa sé stessa essenzialmente come portatrice di un progetto economico e culturale, che prevede ad esempio meno intervento statale, meno tasse, più controllo nei confronti delle devianze, freni all’espansione dei diritti civili.

La sinistra, al contrario, pensa sé stessa essenzialmente come soggetto etico, portatore di principi di civiltà: eguaglianza, giustizia, inclusione, lotta allo sfruttamento, apertura al diverso, diritti civili, tutela dell’ambiente. Con la cruciale complicazione che, per ogni componente dell’arcipelago progressista, le priorità sono differenti e quasi mai facilmente armonizzabili (si pensi, per fare un solo esempio, agli enormi costi sociali delle politiche green

più avanzate).

Da queste due differenti concezione di sé stesse, derivano alla sinistra a alla destra due differenti attitudini nei confronti della politica delle alleanze.

Alla destra non è troppo difficile tessere la rete delle alleanze, perché i contrasti al suo interno non vertono quasi mai su questioni di principio, su cui sarebbe difficile se non impossibile accettare compromessi. Le “diverse sensibilità” dei tre maggiori partiti di destra sono quasi sempre ricomponibili pragmaticamente, cercando punti di equilibrio e mediazioni.

Non così a sinistra. In quanto pensano sé stesse come portatrici di istanze etico-morali, le maggiori forze di sinistra hanno enormi difficoltà a ricomporre le differenze. Proprio perché si sentono impegnate in battaglie di civiltà, risulta loro arduo scendere a compromessi. Può accadere, così, che singoli provvedimenti – la

settimana di 35 ore, i voucher, l’amnistia, le unioni civili, i porti aperti, il Ddl Zan, il reddito di cittadinanza, i termovalorizzatori, le trivellazioni – assurgano a bandiere identitarie di questa o quella forza politica, così trasformandosi in istanze non negoziabili e non modulabili.

Ed è interessante che questa percezione della sinistra e della destra, per cui la sinistra difenderebbe valori mentre la destra difenderebbe interessi, non sia appannaggio esclusivo della sinistra, ma faccia talora capolino anche a destra.

Giovanni Sartori, forse il più autorevole fra i politologi di matrice liberale, scriveva ad esempio:

“In linea di principio sinistra è la politica che si richiama all’etica e rifiuta l’ingiusto (…). Sinistra è fare il

bene altrui, altruismo, mentre destra è fare il bene proprio, egoismo”.

Aveva ragione Sartori, o la sua era una visione delle cose eccessivamente benevola con la sinistra, e ingiustamente severa con la destra?

Su questo ognuno avrà le sue opinioni, ma resta un fatto: a destra le controversie fra alleati sono quasi sempre di natura programmatica, e quindi ricomponibili, a sinistra sono quasi sempre di principio, e quindi tendenzialmente non ricomponibili.

Finché questo stato delle cose perdurerà, la destra avrà sempre un vantaggio, e per la sinistra risulterà estremamente difficile presentarsi unita alle elezioni.

Sotto questo profilo, la recente vittoria di Elly Schlein potrebbe segnare un punto di svolta importante: i valori del nuovo Pd sono vicinissimi a quelli dei Cinque Stelle e delle altre mini-formazioni di sinistra, ma lontanissimi da quelli del Terzo Polo.

Tutto starà a vedere se, senza l’apporto di Renzi e Calenda, il nuovo campo progressista raccoglierà abbastanza consensi per competere con la destra.

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