La dialettica tra Potere e Amore


 

Chi legge ciò che scrivo sa perfettamente che amore e potere, secondo il mio punto di vista, sono due culture distinte.

L'amore è la cultura umana e il potere è la cultura non umana. Naturalmente secondo il mio punto di vista.
Oggi su "la Repubblica" Eugenio Scalfari in un Editoriale temerario descrive un sincretismo delle due culture.
Secondo la mia opinione, la cultura dell'amore e quella del potere sono inconciliabili. Per essere più precisi, una volta che si abbandona "il piacere di essere serviti" che è l'emozione che ci fa agognare il POTERE, ecco emergere spontaneamente la legittimazione reciproca e il conseguente rispetto da parte di tutti per tutti. Comunque ve lo propongo perchè è mia opinione sia una lettura interessante:
Buona lettura

La dialettica tra Potere e Amore
di Eugenio Scalfari
Sono alle prese con una serie di quesiti molto interessanti per la mente, il cuore, le tradizioni culturali del passato, del presente e del futuro. E proverò a darvene conto cominciando da una riflessione che ha a che fare con Repubblica.
Il nostro giornale è di proprietà di una società editrice di grandi dimensioni e raggio di azione. “Cinque generazioni Agnelli”, ha scritto due giorni fa il giornale Sole 24 Ore, riferendosi al nostro editore. Bene. Credo che questa dimensione, questa “ampiezza”, siano molto opportune. Il nostro tempo richiede forza ed energie editoriali. Esattamente come accade quando ragioniamo, su un piano più astratto, del soggetto che guida l’oggetto.
Mi riferisco all’Io che personifica l’organismo.
Quando l’Io è morto, l’organismo muore con lui. Noi abbiamo il pensiero, la mente in grado di riflettere su sé stessa.
C’ è un’immagine suggestiva per comprendere bene il rapporto tra cervello e mente; l’immagine riguarda il rapporto tra un pianoforte o un violino o un qualsiasi strumento musicale e la musica che ne scaturisce. La musica nasce dallo strumento, ma senza la musica lo strumento sarebbe un oggetto non necessario e del tutto inutile. La variabilità dei suoni è strettamente connessa all’oggetto che li produce. Se il pianoforte è scordato anche i suoni lo saranno.
Ora, se riflettiamo con debita attenzione sulla nostra umana condizione, essa si può definire dicendo che il nostro desiderio desidera di desiderare. È questo ciò che ci distingue dalle altre specie animali. I loro desideri sono ripetitivi, mentre i nostri sono evolutivi. Noi desideriamo il tutto perché abbiamo un concetto del tutto. Siamo e ci sentiamo il centro del mondo perché guardiamo il mondo come il tutto che è esterno a noi. Terra di conquista se non vogliamo esserne conquistati.
***
Il mondo è dunque l’oggetto del nostro inesauribile desiderare. Il miraggio che eccita la nostra volontà di potenza. La “desideranza” che ci pervade coincide dunque con la vita. Desideriamo la vita perché sappiamo che moriremo. Gli animali non sanno di dover morire, non sanno di invecchiare, non sanno d’esser nati. Vivono il loro presente senza memoria di passato, né capacità di progettare il futuro che non sia l’appagamento dei bisogni primari: il cibo, l’accoppiamento, la difesa della prole.
La nostra coscienza non sempre è felice ma è comunque evolutiva. Ma noi — ecco la domanda — siamo ancora e nonostante tutto animali?
Mi sono posto innumerevoli volte a questa domanda.
E la risposta è: no, non siamo animali. Dalle nostre regioni dell’inconscio si staccano isole migrabonde che la mente percepisce. Goethe testimoniò nel Faust il rapporto tra noi stessi e il nostro demonio. Freud affrontò questa materia mettendola a disposizione della sua mente per ragionarvi sopra. La domanda vera concerne dunque la nostra natura. Ed è allora venuto probabilmente ora il momento di far entrare in scena Eros, il grande protagonista della nostra vita:
“In me Eros
che mai alcuna età mi rasserena
come il vento del nord rosso di fulmini

Eros, dolce amara indomabile belva”.
Così lo cantavano i greci del sesto secolo prima di Cristo. Ricorderete che Saffo scrive:
“Scuote l’anima mia Eros
mentre tramonta la Luna e le Pleiadi a mezzo della
notte”.
***
Chi è dunque Eros? Anzi, che cosa è? Le sue origini sono oscure. Non è un dio nella accezione classica e olimpica del termine. Per la mitologia più antica Eros è una divinità primigenia che domina gli dei e gli uomini suscitando in essi il desiderio. Figlio della Notte e dell’Erebo, signore degli istinti che si agitano nella caverna dell’inconscio dove prende la forma di Psiche. Eros è il signore degli istinti e Psiche è la sua creatura e la sua sposa. Eros infonde il desiderio di sopravvivenza in tutti gli esseri viventi ed opera in particolar modo sulla nostra specie, capace di pensare il desiderio e di desiderarlo.
Si può dunque dire che la curvatura erotica dell’essere genera il desiderio dell’amore e la brama del potere, le due forze che dominano il mondo e ciascuno degli enti che lo abitano.
Amore e potere significano vita.
Danno senso alla vita in tutte le sue forme e nei suoi diversi destini.
L’amore di sé merita ancora un momento di riflessione.
Si ama l’Io, il proprio naturalmente, e tutti viviamo, da che mondo è mondo, in vasi sorretti da questo solitario innamoramento.
Tra i filosofi moderni, quello che ha esposto e teorizzato con maggiore chiarezza questo problema è stato Benedetto Croce quando scrisse che tutti gli atti motivati da un impulso etico ci danno piacere anche se ci causano patimento.
«Lo spirito — così ragiona Croce — è spinto al fare dalla sua natura egoistica che resta presente anche quando vive un momento etico».
Ciascuno di noi può verificare nel proprio vissuto l’intreccio di questi istinti. Cerchiamo il nostro piacere e l’appagamento dei nostri desideri, ma cerchiamo anche il piacere di alleviare le sofferenze altrui. Consolare gli altri e alleggerire i loro dolori ci inorgoglisce, appaga un nostro bisogno, allevia i complessi di colpa che oscurano la nostra egoistica felicità.
Qualcuno ha scritto che Gesù di Nazareth e Francesco d’Assisi furono due grandiosi egoisti, così grandiosi da aver speso l’intera loro vita costellandola di sacrifici fino a quello estremo in favore del prossimo; due masochisti che realizzarono nel sacrificio il massimo del loro piacere.
C’è molta irriverenza in questo giudizio se lo si legge nella sua paradossale letteralità. Coglie tuttavia un aspetto reale: il nostro piacere non può mai essere assente dai nostri atti, altrimenti quegli atti non potrebbero esser compiuti.
Ogni atto è un elemento di vita, quindi di piacere. Il momento del dolore non va contro la vita. Il tedio, quello sì, è un sentimento contro la vita perché conduce inevitabilmente all’inerzia, niente più atti e niente più pensieri, ma solo un mare d’angoscia che sommerge l’Io fino ad annientarlo.
C’è dunque un momento etico dell’egoismo. Si può dire anche in altro modo: c’è un momento amoroso dell’egoismo, un egoismo nobile e sublimato.
E poiché l’egoismo si identifica con la brama di potere mentre l’etica si esprime con l’amore degli altri, ecco che ancora una volta constatiamo la convivenza dialettica del potere con l’amore. Eros li contiene e li esprime entrambi con la sua forza e la sua tenerezza, la sua potenza e il suo languore ed è suo il passo misterioso che tremando sentiamo camminarci sull’anima.


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