I comportamenti delle cittadine e dei cittadini a Natale nel tempo del Covid
Mauro Marino ha scritto sulla La Gazzetta del Mezzogiorno del 20/12/2020
L’eccesso e il consumo regolano il nostro tempo. La vita che viviamo ci porta a pensare che abbiamo e possiamo pretendere “tutto”, che siamo capaci di dominare “tutto”, che il nostro corpo sia, in questa dimensione del “tutto”, inattaccabile, forte, bello! La fragilità non è contemplata, non è un valore: non vogliamo sentirne parlare, la confiniamo, la oscuriamo, riguarda altri, bene che vada ci salviamo con una chiamata d’occasione alla solidarietà o esponendo il tricolore sui balconi, risvegliando un sentimento nazionale che alla verifica si manifesta finto, senz’anima, senza vera appartenenza. Poco altro. Ciò che pare veramente contare, è il rappresentarsi capaci di essere interpreti del “tutto”: consumarlo, possederlo, ostentarlo quel “tutto”, guai a mostrarsi rispettosi della regola, capaci di umiltà, sobri, si rischia d’essere considerati dei “meschini” non all’altezza della vita. Guai a far critica, solo la lamentela conta, la rivendicazione del denaro perso, il “ristoro”, la pretesa che sempre alla “crisi” debba rispondere qualcun altro, nonostante noi.
Le cronache dei giorni del Covid, in particolare le più recenti, ci raccontano come nessun insegnamento sia venuto dalle regole che il confinamento ci ha imposto. La necessità di dover rinunciare ai nostri “privilegi” è diventata la paura di perdere quel “tutto” che ognuno, in piccolo e in grande possiede e gelosamente custodisce: il benessere, la capacità di consumo, i riti della mondanità. Pare grave rinunciare all’apericena; pare grave l’invito a festeggiare il Natale con sobrietà; pare grave rinunciare alla settimana bianca; terribile pare non poter sparare i fuochi d’artificio e via via, con le infinite lamentele di lesa libertà. La percezione del Tempo della Rinuncia si è “eternalizzata” in un alterazione percettiva che ha moltiplicato l’ansia. Il rispetto dell’altro, se nella prima fase della pandemia pareva esser divenuto un valore dopo l’estate è divenuto fastidio e le regole, in nome della libertà personale, son mutate in imposizioni da trasgredire. Le scene di questi giorni prenatalizi sono desolanti. È necessario reagire! E, allora, meglio scegliere il nulla, il vuoto, mettersi sul margine e da lì essere generativi, operosi. Sappiamo che la cultura della crisi matura la capacità dell’attesa. Mi ha molto colpito una frase letta nell’“Elogio del nulla” dello scrittore e poeta francese Christian Bobin: “L’attesa è un fiore semplice”. Sì, l’attesa e la semplicità, le due leve utili per una nuova costruzione di valori. L’attesa non esprime giudizio è capace di sguardo, di accudimento, sta dalla parte dell’Altro e del Tempo, li sente alleati, attraversandoli e conoscendoli matura la percezione della realtà, nella giusta distanza. La semplicità è l’altra leva, valore essenziale, necessario a ritrovare l’essenza dell’umano. Forse è vano, ma serve sperare e convintamente operare: dissodare il terreno per preparare la semina di nuove sensibilità capaci di crescere il Mondo.
Questo ci tocca: trovare una determinazione altra delle “cose”. La vita quotidiana e ciò che la regola, la politica, hanno necessità di ritrovare sintonia, reciproco ascolto, rispetto, considerando la realtà per ciò che è, per ciò che la Vita e il Mondo nella conseguenza dettano.
Dice bene Sergio Mattarella, non servono i nazionalismi, le piccolezze del politicismo se è la complessità a dettare l’Agenda, ignorarla è segno di mediocrità e di ignoranza politica.
MM_La Gazzetta del Mezzogiorno 20/12/2020
Antonio Bruno Ferro uno di noi CANTAR NON NUOCE ha scritto:
Cambiamo i nostri comportamenti desiderando di conservare la nostra esistenza sociale
Il presidente di Confindustria Macerata, Domenico Guzzini, parlando di Covid durante un evento on line dedicato alla moda ha detto: "Le persone sono un po' stanche e vorrebbero venirne fuori, anche se qualcuno morirà, pazienza".
Caro Mauro, quello che le persone fanno e che tu descrivi così bene, ha alla base la stessa emozione che ha fatto dire a Guzzini le parole che ho scritto.
E qual è questa emozione?
È l’indifferenza per le cittadine ed i cittadini che sono morti e per quelli che potrebbero morire perché non vengono riconosciuti come prossimi nella convivenza sociale.
Mi ha fatto riflettere moltissimo quanto accadde 112 anni fa nel mio paese San Cesario di Lecce, per esprimere la solidarietà alle popolazioni di Messina colpite dal terremoto del 28 dicembre 1908 che allego qui di seguito.
Ogni volta che accade una tragedia ai cittadini che percepiamo come facenti parte della nostra convivenza sociale, c'è una spinta fortissima alla collaborazione. Tutti diveniamo dimentichi delle passate competizioni. Leggere la Cronaca dei gesti e dei comportamenti dei miei concittadini di 112 anni fa, mi ha fatto stringere il cuore.
Ogni giorno muoiono a causa del Covid centinaia di persone. Una tragedia più forte di quella del Terremoto. Ci ho pensato, non ho potuto fare a meno di confrontare i comportamenti di allora con i nostri di oggi.
OGGI SICCOME NON SENTIAMO LE CITTADINE ED I CITTADINI PARTE DELLA NOSTRA CONVIVENZA SOCIALE NON AVVERTIAMO EMPATIA NEI RIGUARDI DELLE ALTRE PERSONE.
Facendo una prima approssimazione, si potrebbe dire che l'empatia è la capacità di comprendere i sentimenti e le emozioni degli altri, basata sul riconoscimento dell'altro come simile. È un'abilità indispensabile per gli esseri umani, tenendo presente che, come ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tutta la vita passa in contesti sociali complessi.
Lo sviluppo della comunità italiana è legato al suo essere un luogo in cui donne e uomini vivono insieme in modo sicuro, accogliente, collaborativo e stimolante, in cui ciascuno dei suoi membri è valorizzato. Se questa fosse L’ITALIA, saremmo in una comunità che cerca il dialogo e la risoluzione dei conflitti, per generare sorrisi, generando un ambiente cordiale, di fiducia e solidarietà, di buone relazioni, mostrando un atteggiamento positivo verso la diversità, che favorisce le interrelazioni.
Per ottenere tutto ciò, il primo passo da fare è riconoscere la diversità, che è sempre presente nel nostro Paese, è il primo passo per generare un'Italia inclusiva, dove tutte le cittadine ed i cittadini si sentano a proprio agio per partecipare, per poter esprimere anche di non essere d'accordo, per dialogare e costruire l’acquisizione di nuove informazioni ed accordi; arricchendo così le loro opportunità. Questa è la base minima necessaria che ci permetterà di avanzare verso l'ideale di una partecipazione democratica critica e significativa di cui si parla tanto e che può essere realizzata dapprima come conquista individuale; per poi diventare un processo collettivo, ampio e congruente con la natura sociale e umanistica nella convivenza sociale della nostra Società civile.
Questa è la criticità che il neoliberismo economico ha reso ancora più evidente e diffusa nel nostro paese e in tutti i paesi dell’occidente ricco e consumatore.
Mauro si tratta di partire da sé stessi, nessun movimento potrà imporre i comportamenti che ho descritto e che le circostanze richiedono. Le circostanze, bada bene, non sono solo quelle del Covid ma anche quelle della crisi ambientale che il pianeta attraversa e che mette a rischio la nostra vita.
Antonio Bruno Ferro
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