Otranto, 28 luglio 1480: ecco la ricostruzione storica


Otranto, 28 luglio 1480: ecco la ricostruzione storica
di MARIA PIA SCALTRITO

Sono Santi oggi i Beati Martiri di Otranto. In Piazza san Pietro finalmente ci saranno i loro nomi. Lo aveva annunciato Benedetto XVI mentre rendeva al mondo la sue umane dimissioni. Con questa proclamazione religiosa e con gli studi storici appassionati versati per oltre cinque secoli parrebbe non esserci altro da dire.

E invece non è così. Quella pagina di storia del Regno di Napoli non ha mostrato la dignità epica di tutti i suoi protagonisti. Quella pagina di resistenza italiana quando il nome Italia era scritto già nella letteratura nelle arti e nelle coscienze ancor prima che nel governo non ha onorato i nomi di tutti i suoi protagonisti. Di quali?

Otranto, 28 luglio 1480. Nella città della della Puglia i pescatori dalla spiaggia capiscono a vista d’occhio che quelle duecento vele in mare stanno mutando le sorti del borgo. Ma pure del Regno di Napoli dove nessuno credeva che il Turco sarebbe venuto. Nessuno, neanche re Ferdinando, si aspettava che le Signorie italiane potessero tramare complice Venezia. E certo un Maometto II, Signore di Puglia e Campania, non avrebbe permesso ai re francesi e spagnoli cattolici di giocare a scacchi sul suolo italiano senza il suo permesso. Dunque la storia italiana e di Roma avrebbero avuto altri destini: Otranto non meno di Lepanto è un punto di non ritorno. Ed in due fonti che qui faremo parlare scopriremo i protagonisti mancanti.


Il primo autore scrive nel 1881. Cesare Foucard (Venezia 1825- Firenze 1892), docente di Paleografia nell’Archivio generale di Venezia, ha un talento geniale nel ritrovare documenti. Colpito dalle feste che su e giù per l’Italia ormai unita si susseguono dal 1860, si ferma a riflettere anche sui festeggiamenti che un anno prima si erano tenuti ad Otranto. Si chiede, nel 1881, se fu quello un evento glorioso, se vi fu eroismo, se il martirio subìto da tante persone deve credersi «un sacrificio offerto all’idea religiosa o un fatto comune della crudeltà musulmana».

E pubblica una serie di fonti ormai introvabili negli archivi aragonesi. L’ultima è La Relazione della presa di Otranto, scritta dal Commissario del Duca di Bari, al Duca stesso, Ludovico Sforza. Da Bari, 1480, 13 ottobre.

Il secondo documento viene ritrovato da Cesare Colafemmina nella Biblioteca Comunale di Bitonto e conferma quanto scritto nella prima fonte.


Otranto era al tempo circondata da una prima cinta di mura che chiudeva la cittadella. La chiamavano la Città delle Cento Torri per quei bastioni antichi. Oltre si aprivano gli orti i bellissimi giardini con «alberi di marange cedri e lomoncelle», ma c’erano anche le case basse del borgo dove stavano pescatori e contadini. Lo sbarco del 28 luglio 1480 riversa sulle coste di Puglia una prima moltitudine di 10.000 soldati turchi sceltissimi che diverranno poi 20.000. Erano state impegnate 150 navi che con i legni per cavalli saranno 200. I cavalli da corsa sono 400. I numeri raccontano da soli l’imponenza dell’operazione e lo scopo finale: Otranto è solo una testa di ponte.

El Bassa, così viene chiamato lo schiavone Ahmed Gedik (un aggettivo che vuol dire «fessura, breccia», perché era sdentato), vuole conquistare il territorio del Principato di Taranto. Vuole cioè titolarsi signore di Otranto, di Brindisi, conte di Lecce, principe di Taranto e duca di Bari. Per conto di Maometto II.


I cavalli da corsa corrono di casale in casale quel mattino del 28 di luglio. Si razziano viveri per l’assedio. In duemila si contano le prede umane di quella prima giornata di guerra. Gli uomini già l’indomani vengono mandati a Valona poi a Costantinopoli. Si tengono molte donne per farci fare il pane e non solo. Di notte vengono legate per capelli con grande strazio e con i panni tagliati fino alla cintura al di sopra delle natiche e del pube, soprattutto le vergini. Le più belle sono risparmiate e riservate alla lussuria dei principi. I vecchi vengono tagliati in due pezzi. I fanciulli spediti direttamente a Costantinopoli. Le bombarde cominciano a funzionare notte e giorno. L’olio copioso razziato dai casali della ricca terra serve a raffreddare le bombarde. Dopo 15 giorni dallo sbarco e dopo una tempesta senza tregua si aprono squarci sui punti più deboli della muraglia. Francesco Zurlo, il comandante della difesa aragonese, fa suonare a festa come se avesse avuto segno che i soccorsi erano vicini. I Turchi attendono poi, non vedendo alcuno, seguitano a preparare l’ultimo attacco. Tra il fumo acceso da loro stessi, gli assalitori entrano nella cittadella.

Lanciano quelle grida spaventose «con cui le gru si sogliono immergere nelle tiepide acque del Nilo». Nella maggiore ecclesia c’è l’Arcivescovo Stefano con alcuni preti vecchi e lui vecchissimo per la paura muore. E da morto gli tagliano la testa per mostrarla…

Il giorno seguente el Bassa prende tutti i prigionieri, li fa legare a due a due e comincia così a far tagliare «a chi la testa a chi per megio», come meglio veniva il colpo. Qualcuno che poteva ben pagare ha salva la vita con una taglia. Ma sono appena 20 persone. Gli altri 900 vengono ammazzati, come pure il Console Veneziano.

Sono fatti ben conosciuti, fatti su cui si è concentrata la leggenda e la fede popolare. Quali sono allora i protagonisti di cui si tace? Sentiamo le parole del Commissario del Duca di Bari: «Persa la terra, molti ne furno morti in quello acto et la magior parte presa, et tenuti per quello dì, salvo li preti et li zudei che statim li amazorno». Sono fatti, scrive il Commissario del Duca di Bari, raccontati da testimoni oculari, quelli che hanno fatto taglia e si muovono liberamente con una carta in mano.

Ma il racconto continua. Presa Otranto per restarci, cominciano le scorrerie lungo la costa con cinquanta vele. Arrivano fino a Biesti (Vieste) e Rhodi( Rodi Garganico). Non trovando abitanti vi bruciano la terra. Tutti sono fuggiti, salvo vecchi e ammalati, che vengono ammazzati. Di ritorno, sbarcando tra Trani e Malphetta, bruciano una bella chiesa con dentro «figure e crocifissi».

Volevano, dice il Commissario, bruciare il borgo di Molfetta. Questo si salva per caso. Manfredonia, Barletta, Trani non hanno cittadini dentro.

Tutti hanno abbandonato le terre per la peste, per mancanza di soldati e «perché son la maggior parte chripstiani novelli che anchora teneno de la vilità giudaica», scrive il Commissario. Ma pur nell’infelice dispregio, ci consegna un dato storico importante: le città di Puglia hanno un gran numero di cristiani novelli, cioè di ebrei che hanno accettato il battesimo (quasi sempre forzoso).

E dunque gli ebrei e i preti ad Otranto vengono ammazzati immediatamente. E insieme. Eccoli i protagonisti celati cui pochi prestano attenzione. E invece un dettaglio da poco non è, poiché il numero e l’importanza della comunità ebraica di Otranto erano notevoli. Solo tre secoli prima erano 500 le famiglie ebraiche idruntine, tante come solo a Napoli. Quindi, pur ammettendo una diminuzione, comunque dovevano essere centinaia e centinaia i giudei schiantati «all’istante» con i preti.

La costernazione e il terrore degli eventi restano scritti in un secondo documento del 4 agosto 1482. Un documento, ritrovato da un altro scopritore geniale, Cesare Colafemmina, in cui la Università della Giudecca di Lecce chiede al re Ferdinando «che sia difalcato ad essi i pagamenti che toccavano fare alla Iudea di Otranto atteso che tutti i Giudei furono ammazzati dalli turchi e non se ne rimase di essi nessuno».


Ad Otranto preti e zudei vengono uccisi insieme. Anche su quel pavimento musivo della Cattedrale dove il monaco Pantaleone aveva trascritto i libri dell’intera umanità. Pantaleone, che veniva dal Monastero di San Nicola di Càsole, poco distante, lì ce li aveva messi proprio tutti i libri del tempo, consentiti e non: libri greci arabi ebraici indiani cristiani. E ad Otranto erano di casa da secoli i libri ebraici e gli ebrei. Avevano una Accademia Talmudica, avevano una Scuola di Copisti in dialogo con quel Monastero di Casole di Pantaleone che proprio questi turchi distruggono.


Ad Otranto essi lasciavano primati eccellenti: la più antica forma di scrittura ebraica con grafia quadrata italiana; la più antica Mishnah oggi esistente con le glosse in dialetto salentino (ossia il volgare giudeo-italiano di Otranto), del secolo XI; la più antica epigrafe ebraica che si conosca, della fine del III secolo. Dedicata a Glyka, nome greco che vuol dire «mia dolcezza».


Ebbene, quei protagonisti di Otranto cosa furono? Eroi? Santi martiri? Patrioti? La storia ci dice di sicuro che lì, preti zudei marinai soldati vergini fanciulli, c’erano proprio tutti. E che quelli erano idruntini, pugliesi, finanche tutti italiani. Anzi, al pari di quel raffinato mosaico pavimentale, tessere di una sola umanità.


Fonte: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/notizie-nascoste/458446/otranto-28-luglio-1480-ecco-la-ricostruzione-storica.html

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