Parole, soltanto parole, parole tra noi
Hanno analizzato il linguaggio di questi tempi: volgare, sboccato, violento e pare che sia la reazione all'ipocrisia di una retorica che cambiava le parole ma non il senso. Insomma parole nuove con significati vecchi.
Non è sufficiente ottenere che si abbia un linguaggio con parole rispettose. Bisogna che il senso di quelle parole derivi dal rispetto effettivo che deve essere ciò che effettivamente si pensa. Infatti l’ipocrita, il finto rispettoso, il molliccio, il viscido, il mellifluo quando è percepito, quando è scoperto può essere apostrofato in ogni modo e, comunque, lascia l’amaro in bocca e il senso del tradimento in chi si accorge che a quelle parole rispettose proferite da quelle persone non corrisponde un pensiero altrettanto rispettoso.
Per questo è fondamentale dire quello che si pensa a pena di risultare il peggiore dei falsi ipocriti.
E’ legittimo chiedersi come mai, a questa ipocrisia del passato prossimo, sia succeduta la violenza verbale, la parola piena di offese, gridata ai quattro venti dei tempi odierni.
Non è umana questa parola. La parola serve per coordinare il nostro comportamento con gli altri, per cooperare, per collaborare con tutti gli altri: basti pensare a quando la Torre di Babele stava per essere completata attraverso il linguaggio che aveva come effetto il coordinamento dei comportamenti. Tutti ricordiamo il momento del racconto in cui ci venne detto che intervenne “la confusione delle lingue”; tutti annuivamo quando ci dissero che quegli uomini non riuscivano più a capirsi perché parlavano lingue diverse con la conseguenza che non fu più possibile realizzare quell’edificio che aveva l’ambizione di superare la grandezza di Dio stesso.
Non basta fingere di essere rispettosi, prima o poi si viene scoperti. Bisogna che il rispetto dell’altro che convive con noi sia legittimazione di ciò che dice o fa, anche quando quello che dice o fa non è da noi preferito, anche quando è da noi definito “non desiderabile”.
Se l’altro non è legittimo quando ho una convivenza con lui, ecco che io lo escludo, lo elimino dalla convivenza usando le parole, le stesse parole che stanno emergendo nelle invettive, nelle denunce che si vomitano nelle piazze e che tracimano dagli altoparlanti delle nostre Tv.
La società umana è fatta di collaborazione, rispetto e cooperazione. Le parole che si gridano di questi tempi vengono dall'antagonismo, dalla rivalità, dalla concorrenza che ha la finalità di eliminare l’altro. Anche le parole edulcorate di qualche tempo fa erano frutto dell’antagonismo, della rivalità, della concorrenza anche se travestite da un senso di finta collaborazione.
E’ questo il vero punto su cui tutti dovremmo riflettere: non è umana una società fondata sulla concorrenza.
Possiamo riflettere per ottenere un comportamento che ci metta nelle condizioni di collaborare e cooperare e quindi scongiurare il pericolo delle parole che escludendo parte di noi impoveriscono la nostra società umana.
Per prima cosa possiamo dire sempre quello che pensiamo, sempre, a ogni costo, costi quel che costi.
Ma attenzione!
Prima di dirlo possiamo riflettere su ciò che desideriamo dire facendoci una domanda:
“Se dirò quello che desidero dire, queste parole possono infliggere dolore a qualcuno? Posso in tal modo fare del male ad altre persone?”.
Ecco ciò fatto non avremo più scuse, se diciamo ciò che può fare male agli altri delle due l’una: o siamo consapevolmente malvagi; oppure siamo semplicemente SCEMI.
Non è sufficiente ottenere che si abbia un linguaggio con parole rispettose. Bisogna che il senso di quelle parole derivi dal rispetto effettivo che deve essere ciò che effettivamente si pensa. Infatti l’ipocrita, il finto rispettoso, il molliccio, il viscido, il mellifluo quando è percepito, quando è scoperto può essere apostrofato in ogni modo e, comunque, lascia l’amaro in bocca e il senso del tradimento in chi si accorge che a quelle parole rispettose proferite da quelle persone non corrisponde un pensiero altrettanto rispettoso.
Per questo è fondamentale dire quello che si pensa a pena di risultare il peggiore dei falsi ipocriti.
E’ legittimo chiedersi come mai, a questa ipocrisia del passato prossimo, sia succeduta la violenza verbale, la parola piena di offese, gridata ai quattro venti dei tempi odierni.
Non è umana questa parola. La parola serve per coordinare il nostro comportamento con gli altri, per cooperare, per collaborare con tutti gli altri: basti pensare a quando la Torre di Babele stava per essere completata attraverso il linguaggio che aveva come effetto il coordinamento dei comportamenti. Tutti ricordiamo il momento del racconto in cui ci venne detto che intervenne “la confusione delle lingue”; tutti annuivamo quando ci dissero che quegli uomini non riuscivano più a capirsi perché parlavano lingue diverse con la conseguenza che non fu più possibile realizzare quell’edificio che aveva l’ambizione di superare la grandezza di Dio stesso.
Non basta fingere di essere rispettosi, prima o poi si viene scoperti. Bisogna che il rispetto dell’altro che convive con noi sia legittimazione di ciò che dice o fa, anche quando quello che dice o fa non è da noi preferito, anche quando è da noi definito “non desiderabile”.
Se l’altro non è legittimo quando ho una convivenza con lui, ecco che io lo escludo, lo elimino dalla convivenza usando le parole, le stesse parole che stanno emergendo nelle invettive, nelle denunce che si vomitano nelle piazze e che tracimano dagli altoparlanti delle nostre Tv.
La società umana è fatta di collaborazione, rispetto e cooperazione. Le parole che si gridano di questi tempi vengono dall'antagonismo, dalla rivalità, dalla concorrenza che ha la finalità di eliminare l’altro. Anche le parole edulcorate di qualche tempo fa erano frutto dell’antagonismo, della rivalità, della concorrenza anche se travestite da un senso di finta collaborazione.
E’ questo il vero punto su cui tutti dovremmo riflettere: non è umana una società fondata sulla concorrenza.
Possiamo riflettere per ottenere un comportamento che ci metta nelle condizioni di collaborare e cooperare e quindi scongiurare il pericolo delle parole che escludendo parte di noi impoveriscono la nostra società umana.
Per prima cosa possiamo dire sempre quello che pensiamo, sempre, a ogni costo, costi quel che costi.
Ma attenzione!
Prima di dirlo possiamo riflettere su ciò che desideriamo dire facendoci una domanda:
“Se dirò quello che desidero dire, queste parole possono infliggere dolore a qualcuno? Posso in tal modo fare del male ad altre persone?”.
Ecco ciò fatto non avremo più scuse, se diciamo ciò che può fare male agli altri delle due l’una: o siamo consapevolmente malvagi; oppure siamo semplicemente SCEMI.
Antonio Bruno Ferro
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