Sulle ali delle parole di Maria Francesca Mariano




Maria Francesca Mariano, nata a Galatina (Lecce) giudice penale presso la Corte di Assise di Lecce, è stata il più giovane magistrato d’Italia. Ha scritto racconti, poesie i romanzi: 
‘Ha visto e non ha taciuto’, ‘Nel nome di Dio-un giudice penale e un sacerdote mago’, e la raccolta di racconti ‘Salento, racconti dal sud del Mondo’. Autrice di numerosi testi teatrali in tema di giustizia e in tema sacro. Il suo testo ‘Falcone e Borsellino, storia di un dialogo’ è il testo ufficiale del Centro P. Borsellino di Palermo.

Alessandro Porri scrive:
“La poesia sociale è un “mezzo” attraverso il quale gli autori esprimono il proprio disagio nei confronti di una società che si presenta confusa e dolente nella quale non si identificano. Il confine tra poesia lirica e poesia sociale è però molto sottile, infatti, nel momento stesso in cui il poeta denuncia un suo disagio personale, questo disagio non è altro che la raccolta implicita di “una sofferenza” che vive e si alimenta nella società del suo tempo fino a diventare stimolo per una denuncia a volte una spinta al cambiamento. “
E forse Maria Francesca Mariano scrive poesie sociali come nella sua “Ulivo sacro”:
Ogni tua ferita è la mia trafittura,
ogni tua piaga è la mia crocefissione,
e ad ogni angolo secco della tua vita
c’è la mia che combatte per farti rivivere.
Vivendo della vita di quest’albero che convive da sempre con le genti del Salento, che l’ha vista nascere e crescere, la Mariano soffre delle sofferenze che vedono protagonista l’olivo in questo tempo e richiama la sua identità a quella del paesaggio, nicchia nella quale tutti viviamo.
Oppure la tensione verso l’altro, chiunque esso sia, l’altro che ha bisogno, che siamo tutti noi che sempre abbiamo bisogno e non per una volta sola. Si legge nella poesia “Lo sbarco”:
Sto tendendo la mano verso di te
per tirati a riva.

E ancora si preoccupa di avvisare tutti sulla pericolosità del potere, tanto agognato e cercato ma che alla fine può divenire un gorgo nel quale ci si può perdere come è possibile leggere nella sua poesia “Il veggente bambino”: 
Fammi entrare,
bimbo triste,
nell'innocenza del tuo cuore
perché quando arriveranno le tenebre
del potere
io possa portarti in dono
quell'innocenza che avevi
da bimbo triste
ai bordi della favela.
Tutti ci siamo stretti a corte con Maria Francesca Mariano e abbiamo danzato con lei, leggeri come l’aria, sulle note ossessive della taranta che libera i gesti e il corpo rendendolo libero.
Con le sue parole in questa serata di maggio abbiamo assaporato la leggerezza dell’essere esseri viventi, immersi nelle relazioni tra noi, e gli altri esseri viventi, in questa nicchia che si trasforma insieme a noi, trasformandoci, così come è accaduto con le parole di Maria Francesca Mariano.

Antonio Bruno Ferro

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