“Lu Zacheli” Ezechiele Leandro e il Santuario della pazienza di San Cesario di Lecce




Ero indeciso se scriverne oppure no. Era un cittadino nato a Lequile, paese dove sono nato io e vissuto a San Cesario di Lecce, paese nel quale ho vissuto e vivo io.
A me non piaceva quella sua aria sempre arrabbiata e in rivolta contro tutto e tutti . Il suo apostrofare i cittadini di San Cesario di Lecce sol perché non gradivano le sue opere, lo trovavo violento e assurdo.
Nel 2016 ho organizzato un evento nell’unica istituzione laica che ha come missione quella di dare la sepoltura ai sancesariani, la società operaia di mutuo soccorso fra lavoratori, in cui tutti hanno parlato di lui. Hanno parlato cittadini semplici, non tutti questi professori veri e aspiranti critici al soldo di quel solito partito, nel quale i critici usano sostare, in attesa di improbabili, se non impossibili, fortune economiche. E tapini, una volta che si rendono conto di ciò, cercano di depredare quanto più possibile amministrazioni in cerca di etichette che le accreditino come culturali d’eccellenza, ma che al più sono in cerca di successo o parenti di artisti anche loro in cerca, ma questa volta del vile danaro, che non puzza mai.
A me il carattere “te lu Zacheli” non è mai piaciuto e men che mai mi sono piaciute le sue opere che trovavo e trovo tutt’ora brutte e per certi versi mostruose. Sempre inquietanti.
Quando ero giovanissimo il Sindaco di allora mi confidò di aver ricevuto frotte di cittadini della via in cui “lu Zacheli” stava realizzando il suo santuario, che gli chiedevano di fare un’ordinanza per costringerlo a smetterla e demolire quelle mostruosità che stava costruendo, oppure in alternativa a celarle per impedire il disgusto di chi le osservava dall’esterno. A quei cittadini sancesariani di quel tempo, quelle mostruosità, rendevano impossibile la vita tranquilla in quella strada.
Quando il Sindaco di allora chiamò “lu Zacheli”, ottenne da lui la costruzione di un doppio alto muro che decretò la separazione tra il Mondo “te lu Zacheli”, che lui chiamò il santuario della pazienza, ed i cittadini di San Cesario di Lecce che, invece, la pazienza l’avevano persa a furia di osservare mostri e brutture di ogni sorta quando si affacciavano alla finestra o al balcone.
Ma perché questo mio scrivere te “lu Zacheli” e del suo Santuario della pazienza?
Perché qualche giorno fa alcuni cittadini sia di San Cesario di Lecce che della Provincia, hanno manifestato per ragioni opposte a quelle che spinsero “lu Zacheli” a separarsi da questo paese i cui cittadini non apprezzavano il frutto della sua arte e del suo ingegno. Questi cittadini vogliono rendere fruibile il santuario e soprattutto che ci siano interventi da parte della pubblica amministrazione al fine di salvaguardare e valorizzare questa opera.
Ennio Bonea in un articolo per il giornale l’alambicco del febbraio 2002, appena diciotto anni fa, riferisce che “lu Zacheli” si lamentava con lui perché i sancesariani dicevano che fosse pazzo. Bonea riferisce che “lu Zacheli” si fosse giustificato per aver fatto nel Santuario solo il purgatorio e l’inferno perché il paradiso non poteva farlo con la pietra. Secondo me uno che imita Dante solo per purgatorio e inferno, e si lascia cadere dalle mani il paradiso, è perché non riesce a farlo emergere da dentro sé stesso, è perché quel paradiso non può crearlo dal nulla. Nessun umano è in grado di creare qualcosa se quel qualcosa non è dentro sé stesso. È scientificamente provato.
Sempre Bonea riferisce quello che “lu Zacheli” gli aveva rivelato ovvero “faceva mostri e figure mostruose, perché riteneva di fare gli uomini di dentro. Sono brutti come il peccato e li rappresento come nei sette vizi capitali”(Ennio Bonea ne l’alambicco di San Cesario di Lecce febbraio 2002).
Aggiungo la descrizione “te lu Zacheli” fatta sempre in quell’articolo del 2002 da Ennio Bonea:
“L'uomo non era umile, pur senza essere superbo; aveva una dignità umana che lo vedeva mortificato per il mancato riconoscimento che soprattutto i suoi compaesani gli negavano, diceva di sentirsi meritevole per le sue qualità artistiche di creatività istintiva. Egli era felice della definizione che gli avevo dato di "primitivo', come sentirsi uomo delle origini, e non era del pari contento di sentirsi chiamato "naif' come se fosse seguace di qualcuno. L'artista era eccentrico nella originalità espressiva; esagerato ed esuberante per la molteplicità dell'essere pittore, scultore, scrittore, disegnatore.”
In conclusione io una cosa so, per averne avuto contezza a contatto di un’artista che me l’ha rivelata. Ognuno di noi disegna, scolpisce, scrive e dipinge, quello che gli piace.
Bonea titolava il suo articolo del 2002 “con il paradiso nel cuore” riferendosi a “lu Zacheli” ma se così fosse stato le sue sculture, disegni, scritti e dipinti sarebbero stati la rappresentazione plastica di ciò che amava perché era nel suo cuore. Perché “Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.” Il tesoro di Ezechiele Leandro è nello scrigno del santuario della Pazienza e li c’è inferno e purgatorio, ci sono gli uomini del suo Mondo, del suo Mondo infernale o al più bisognevole di penitenza per scontare il peccato. Del paradiso in Ezechiele Leandro non c’è traccia se non nella sua funambolica giustificazione della mancanza dei materiali adatti a rappresentarlo. Il materiale per le rappresentazioni si chiama cuore e quello di Ezechiele Leandro era nell’inferno o tuttalpiù nel purgatorio, nulla di paradisiaco era in lui.
Tra i racconti del 2016 fatti dai cittadini nella Società Operaia me ne è rimasto impresso uno. C’era un sancesariano che faceva dei lavori che gli venivano chiesti da Ezechiele Leandro e lui, per riconoscenza, donava delle sue opere a questo mio concittadino. Ebbene, una volta che Ezechiele si allontanava quelle sue opere venivano immediatamente bruciate.
Ora mi rivolgo a coloro i quali godono della visione delle opere di Ezechiele Leandro, a quelli che le hanno acquistate a caro prezzo e le hanno messe in bella vista appese ai muri delle loro belle e signorili case. Anche per voi vale la stessa cosa ovvero ognuno di noi guarda ciò che gli piace.
A me le opere di Ezechiele Leandro non piacciono. Io gli uomini “di dentro” non li vedo come li vede lui.

Antonio Bruno Ferro








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