Al Parco di Belloluogo
Non ci ero mai stato e per la prima volta oggi mi sono
immerso nel Parco di Belloluogo a Lecce. Mi è venuto in mente l’antico
soggiorno in Belgio, Olanda e in Francia, gli studenti seduti su una coperta
stesa sui prati a leggere, conversare, camminare e stare insieme anche senza
parlare.
Sono stato bene per circa un’ora, in questa giornata
nuvolosa, con troppo vento. Alberi antichi, fichi, alloro, mandorli in fiore e
poi quella Torre antica, piena di mistero, liscia, colorata dal sole che
tramontava mentre qualcuno tentava di superare il cancello chiuso.
Una città per i giovani, per lo studio, per la meditazione,
gli spettacoli e lo stare insieme immersi nella natura, tra le piante, gli
alberi e l’erba di un verde inusuale per la nostra siticulosa Lecce.
Quella luce del tramonto che rende caldo il colore della pietra
leccese oggi mi ha ipnotizzato, mi sono fermato costringendo il mio amico di
camminata a rallentare, era troppo bello, un clima magico e pieno di mistero
nella luce del tramonto di questo Salento pieno di sorprese.
Le parole che emergevano da dentro di noi erano in armonia
con questi luoghi, conche ripide e pozzi privi degli antichi secchi, nuove
costruzioni che si alzano d’impeto ma senza trasgredire, senza fare a pugni con
il resto. Lo sguardo che passava da albero in albero, da fiore in fiore, da
costruzione in costruzione sino a giungere ai limiti della capacità di
trattenere tutta quella bellezza che traboccava dai miei occhi.
C’erano anche gli amici cani con i loro compagni di vita
umani, al guinzaglio certo, ma insieme a contatto con tutto il resto che si
faceva attraversare senza opporre resistenza. Anche gli altri umani sembravano
gradire quegli amici a quattro zampe.
Una donna gattara, in mezzo a loro in amore, piena di attenzioni
e di cibo per tutti, nella sua borsa stracolma di felicità felina. I gatti e i cani
convivono nel Parco per amore degli umani che ci vanno a soggiornare, che sono
di un lignaggio creatosi a furia di stare lì, trasformati da tutta quella
sfolgorante bellezza.
La memoria impressa
in ogni pietra, ogni albero, ogni strada, ogni pozzo che rivive sicura e
orgogliosa di sé, grazie all’estro di chi ha pensato quel luogo antico come
accoglienza per tutti quelli desiderosi di vedere la bellezza, l’armonia accanto
alla morte.
Una fila di cipressi e un muro fragile separa il Parco dal camposanto,
pieno di leccesi, stracolmo di ricordi, fisso nella sua eterna accoglienza per
chi fu vivo e vegeto nel Salento che fu.
Sai cosa ho scoperto? Che Lecce è tutta lì, al riparo della
competizione e del successo, presa solo dalla bellezza dello stare insieme per
il gusto di stare insieme.
Antonio Bruno Ferro
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