Pensione malattia invece della libertà




Ci ho riflettuto e, fatti i conti, tra 17 anni se sarò ancora vivo, dovrei avere 80 anni. Non sono moltissimi 17 anni, anche perché ho fatto mente locale degli ultimi 17 e ho avuto la percezione di un tempo inesistente, come se tutto fosse accaduto adesso, al massimo pochi istanti fa.
Insomma forse è perché questi 80 anni li percepisco incombenti, sto riflettendo sulle morti di questi giorni, quelle di tanti anziani avvenute nelle case di riposo. Ma in genere rifletto sulla circostanza che hanno più di 80 anni la maggioranza delle persone morte di coronavirus.
Anche tu che magari hai 40 anni. oppure venti. dovresti riflettere sulla circostanza che hai un’aspettativa di vita tale per cui è molto probabile che arriverai anche tu a 80 anni. Quindi il fatto che ci sia la probabilità di divenire tutti vecchi, se non si muore prima, è un problema che riguarda la totalità di noi abitanti della penisola che si immerge nel grande lago salato.
Vecchio, diranno che sei vecchio! È una frase di una canzone di Renato Zero di molti anni fa, forse non se la ricorda nessuno. Diranno che sei vecchio, sempre che si riesca a raggiungere l’età in cui si è vecchi. Ma ammesso e non concesso che la si raggiunga, qual è la prospettiva di un ottantenne nella cultura Patriarcale e della competizione?
Lavoriamo tutti, non abbiamo tempo. Tutti in fila in scatole di metallo grandi come treni o autobus, o piccole come le automobili, verso la produzione o verso i consumi. Produrre e consumare è il comandamento nuovo che ci ha dato il capitalismo e la finanza globale. Ogni giorno poi i notiziari ci avvisano che stanno rallentando i consumi, conseguentemente tutti ci sentiamo in colpa perché stiamo fermando la crescita che, secondo la narrazione in voga, deve essere infinita con grafici in impennata simile ad un’erezione artificiale da viagra.
Tutto questo lascia ai margini gli 80enni che consumano farmaci, mangiano poco cibo, non viaggiano più e acquistano poco abbigliamento, solo quello indispensabile. Pensate che hanno lavorato anche loro come noi, l’hanno fatto per ottenere quella pensione che doveva servire a realizzare i sogni di una vita finalmente libera e felice, fatti durante i 40 anni di duro e frenetico lavoro che è servito per la crescita del Pil, ma che invece gli serve per pagare la badante o la retta della casa di riposo.
Secondo la ricerca dell’Università di Harvard sulla felicità  (https://osservatoriosenior.it/2019/01/la-ricerca-di-harvard-sulla-felicita/) per chi di noi raggiungerà gli 80 anni, non conterà tanto il livello del colesterolo ma la soddisfazione nelle relazioni. Infatti i risultati, alla fine della ricerca, hanno evidenziato che sono le buone relazioni a mantenere sani, più che i soldi e il successo.
Insomma noi stiamo sbagliando tutto. Ogni giorno ci svegliamo e iniziamo a correre per inseguire il successo e la ricchezza, che ci porterà in dono tante belle malattie. Invece se finalizzassimo la nostra vita all’ottenimento di buone relazioni, avremmo più probabilità di rimanere sani, di arrivare alla morte nelle migliori condizioni di salute!
Se invece del successo e della ricchezza inseguissimo le relazioni, i nostri vecchi genitori, sarebbero a casa nostra e non a casa loro, con una badante rumena. Se avessimo a cuore le relazioni con chi ci vuol bene, i nostri vecchi genitori, non sarebbero ospitati in case di riposo che, nelle cronache di questi giorni, vengono descritte a tinte fosche tali, da suscitare denunce alla magistratura da parte dei parenti degli anziani in esse ospitati. Io mi chiedo e vi chiedo: per quanto queste strutture siano professionali ed efficienti, potranno mai dare ai nostri vecchi l’amore che gli potremmo dare noi se fossimo più liberi, meno frenetici?
Si tratta come sempre di chiedersi cosa vogliamo conservare. Vogliamo conservare la possibilità di correre da mattina a sera alla ricerca del successo e della ricchezza? Oppure vogliamo conservare le nostre relazioni con le persone a noi care?
Buona riflessione a tutti.

Antonio Bruno Ferro


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