Non prendevamo mai appuntamento

 

Non prendevamo mai appuntamento

di Antonio Bruno Ferro

La piazza di San Cesario di Lecce, spazioso Largo del Palazzo, oggi piazza Garibaldi, per mio nonno Pietro “Lu largu te lu Palazzu.” Quando frequentavo le Scuole Elementari la vedevo come un punto d’arrivo, perché stazionavano le persone adulte che io chiamavo “i grandi”. Poi quando divenni ragazzo fu luogo di passaggio che mi portava al Centro di Lettura oppure al ping pong o al gioco di dama, o di carte napoletane come scopa e briscola delle Sale Parrocchiali di Via Mazzini o ancora al Flipper del Bar Margiotta, quello con le carte francesi. Infine da giovanotto divenne il luogo che dicevo di raggiungere quando mia madre mi chiedeva dove stessi andando quando uscivo la sera dopo aver finito di studiare e le dicevo “mamma, sta bbau alla chiazza”.

Tra i luoghi che raggiungevo c’erano anche i sedili che erano disposti sul marciapiede di Via Angelo Russo. Erano in ferro e sempre arrugginiti, oltre che oggetto di continui smontaggi ad opera di noi quando eravamo bambini e dei bambini quando noi divenimmo giovanotti.

Io e i miei amici, nel tempo in cui frequentavamo le scuole superiori a Lecce, avevamo preso l’abitudine di sederci allo scalino dell’ingresso di Via Angelo Russo, di quello che era l’ufficio postale di San Cesario di Lecce che aveva l’ingresso principale in Piazza Garibaldi.

D’inverno ricordo il freddo che il mattone di cemento battuto trasmetteva ai pantaloni gelando tutto. Ma noi eravamo li seduti imperterriti a discutere dei massimi sistemi dell’Ordine Mondiale, tra i quali le ragazze.

Si parlava tra ragazzi delle ragazze in loro assenza. Perché la piazza era un luogo di frequentazioni esclusivamente maschili. A mia memoria non ci sono stati mai capannelli di donne ferme in piazza a discutere dei massimi sistemi dell’Ordine Mondiale, tra i quali i ragazzi.

Questo vedersi tra ragazzi o tra uomini è ancora presente nella piazza di San Cesario di Lecce, solo che dalle centinaia di presenze dei tempi della mia giovinezza, si è passati alle decine di quest’inizio terzo millennio.

Il fatto che il numero delle presenze in piazza si sia ridotto comporta la conseguenza di ulteriori riduzioni. In effetti se c’è un buon numero di presenze, tra queste è più probabile che ce ne sia almeno una di persona con al quale si ha piacere di conversare, per il piacere di conversare. Inoltre non è detto che debba essere sempre la stessa persona. Ciò perché non è detto che si esca ogni sera. 

Il numero alto di presenze di quando ero ragazzo faceva si che io uscissi in piazza senza prendere alcun appuntamento, in quanto una volta giunto li, in breve tempo, avrei trovato qualcuno uscito come me senza prendere alcun appuntamento, con cui avere il piacere di conversare per il solo piacere di conversare.

Oggi dato il ristretto numero di presenze in piazza è meno probabile riuscire ad incontrare una persona con cui avere il piacere di conversare. Non con tutte le persone si prova piacere a conversare, quindi siccome è più probabile che possa accadere di uscire e di non incontrare la persona con cui conversare, a furia di non trovare nessuno, si giunge alla conclusione di non uscire più in piazza.

La parità e l’uguaglianza non sono sinonimo di perdita della propria originalità di essere ragazzo, uomo o ragazza, donna. Io adoro le donne, non per questo ogni istante della mia vita deve essere declinato in loro presenza. Allo stesso modo le donne.

L’altra sera parlavo con una parente esprimendo tutta la mia amarezza per la perdita della convivenza sociale di genere maschile. Lei mi ha confessato di avere sempre invidiato agli uomini questa possibilità di incontrarsi in piazza. Mi ha confessato che lei avrebbe desiderato avere una convivenza come quella che avevano gli uomini di San Cesario di Lecce in piazza.

Avete letto tutto? Bene allora a voi la riflessione.

Antonio Bruno Ferro

 

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