Appunti da "Emozioni e linguaggio in educazione e politica" di Humberto Maturana e Ximena Davila
La vita di ogni essere umano, come sappiamo, si basa sul raccontare.
Ognuno di noi, quando torna a casa, si sente dire:
-Come è andata oggi?
E la risposta, se vogliamo veramente comunicare, non è il
solito ‘bene’ di chi vuole essere lasciato in pace, bensì una storia; cioè, si
parte raccontando il vissuto della giornata:
“-Pensa, mi è successo questo e quell’altro, e
quell’altro”….
E così raccontando, costruiamo e modifichiamo la forma della
nostra vita, confermando l’etimologia della parola poiesis, che in greco
rinviava, più che ad un testo poetico, ad una forma di azione rituale che, con
il canto, si trasformava in in-cantesimo.
Per questo motivo,
poesia e magia erano, in passato, strettamente collegate, e qualcuno ha potuto dire
che “se noi ripercorressimo a ritroso il cammino della società giungeremmo al
punto in cui non sapremo disgiungere l’ispirazione poetica da un rituale
magico, dal mito, dalla religione”( Cfr. Le parole di A. Seppilli,
in Dona’, M., Magia e filosofia,
Milano: Bompiani 2007, p. 36.).
Quindi nel raccontare noi modifichiamo e deformiamo la realtà,
magari senza esserne consapevoli dato che ogni percezione è già una costruzione
e si basa sui nostri filtri cognitivi.
Appunti da "Emozioni e linguaggio in educazione e
politica"
di Humberto Maturana e Ximena Davila
Le emozioni, dal punto di vista biologico, sono disposizioni
corporee dinamiche che definiscono gli ambiti di azione (e di pensiero)
all’interno dei quali ci muoviamo, cambiando emozione cambiamo ambito d’azione.
Le nostre riflessioni, parlando di emozioni, si riferiscono
alle azioni possibili dell’altro (es: “non chiederglielo oggi perché è
arrabbiato”).
Non c’è azione umana senza emozione che la renda possibile.
Il fondamento
emozionale del razionale è la sua condizione di possibilità.
Ogni sistema razionale si costituisce come costrutto
coerente nell’operare (ricorsivo e ricorrente) di premesse accettate a priori a
partire da un’emozione, non dalla ragione (mi oppongo al governo totalitario
non perché sia nell’errore, ma perché comporta un mondo che non accetto).
Ci arrabbiamo soprattutto quando il disaccordo non è
soltanto logico (errore di applicazione delle regole operative derivate da
premesse accettate da tutte le persone in disaccordo) ma quando implica una
minaccia esistenziale, quando i fondamenti della propria coerenza razionale, in
cui ci immedesimiamo, sembrano minacciati.
- Quando si rivendica
per la propria ideologia un fondamento razionale, si dimentica di aver
scelto/desiderato emozionalmente le proprie premesse.
- Ogni volta che
affermiamo di avere difficoltà a fare, in realtà abbiamo difficoltà a volere
(che resta occultata da argomentazioni razionali sul fare).
Il linguaggio è un operare in coordinazioni consensuali di
azioni consensuali: sappiamo che due persone conversano quando si vede che il
corso delle loro interazioni è un fluire di azioni coordinate.
I simboli sono secondari, per operare con simboli dobbiamo
stare già nel linguaggio.
Senza una storia di
interazioni ricorrenti in cui ci sia riconoscimento reciproco, il linguaggio
non può nascere (non nasce linguaggio nella competizione).
La competizione è un fenomeno culturale che implica
contraddizione e negazione dell’altro (vittoria come sconfitta dell’altro), non
c’è in ambito biologico perché non è fondamentale come modalità di relazione
per chi mangia che l’altro non mangi.
L’autocoscienza, la psiche, appartiene allo spazio
relazionale che si costituisce nel linguaggio.
Evoluzione: cambiamento del modo di conservare la vita nella
costituzione di un linguaggio di organismi congruenti con la situazione.
L’amore (il mio ri-spetto, o accorgersi del volto altrui,
riconoscere l’altro) è l’emozione che costituisce l’ambito di azioni nel quale
le nostre azioni ricorrenti con l’altro lo riconoscono legittimo nella
convivenza e stabilizzano la convivenza.
Senza riconoscimento dell’altro nella convivenza non c’è
fenomeno sociale.
Educarsi: processo continuo e reciproco nel quale la
persona, convivendo con l’altro, si trasforma spontaneamente cosicché il suo
modo di vivere diventi, nello spazio di convivenza, più congruente con quello
dell’altro.
La giustizia non è un valore trascendente, è un ambito di
azioni nel quale non si usa la menzogna e si crea un mondo che ammetta l’errore
e sia in grado di correggerlo (es: sopruso).
Libertà e responsabilità intervengono nella riflessione che
espone il nostro fare nell’ambito delle emozioni al volerle o non volerle, in
un processo in cui ci accorgiamo che il modo in cui viviamo dipende dai nostri
desideri.
Esseri umani: siamo osservatori e conoscitori per il fatto
di osservare e lo facciamo nel linguaggio, il nostro vivere ci accade nel
linguaggio, nell’esperienza di essere osservatori nel linguaggio.
Siamo senza essere
fino a quando non riflettiamo sull’essere.
Nell’esperienza non possiamo distinguere tra illusione e
percezione -> cos’è conoscere?
Spiegazione: nel descrivere ciò che ci succede uniamo la
spiegazione all’esperienza che vogliamo spiegare (es: uniamo la spiegazione
“siccome l’auto andava veloce” all’esperienza “è comparsa di botto un’auto”).
Spieghiamo sempre un’esperienza: chi descrive quello che spiegherà, descrive
ciò che si deve fare per vivere l’esperienza che si intende spiegare.
Nessuna proposizione è esplicativa in sé, la spiegazione è
costituita dall’accettazione conscia o inconscia dell’osservatore.
La conoscenza non porta al controllo, ma all’intesa.
OGGETTIVITA'SENZA PARENTESI: l’osservatore agisce come se il
distinto preesistesse alla sua distinzione (“quello che dico è valido in quanto
oggettivo, non perché sono io a dirlo; è la realtà che dice che sbagli, non io,
non ne sono responsabile”).
In questo ambito le relazioni umane non si verificano nel
mutuo riconoscimento, o si è ‘con’ o si è ‘contro’, neghiamo il mondo
dell’altro senza essere responsabili delle nostre emozioni. Al massimo lo
tolleriamo, rinviamo la negazione.
Presupposti dell'oggetività senza parentesi:
1. il nostro operare cognitivo è una nostra proprietà
costitutiva
2. il corpo appare come strumento, e come limitazione, di
espressione di tale proprietà
3. c’è una sola realtà ed è indipendente da me che la
osservo
4. nell’affermare richiedo obbedienza
5. non io, ma la realtà nega l’altro, non ne sono
responsabile, rimango innocente.
6. il bisogno di controllo nasce dalla sfiducia nella natura
e nella nostra capacità di convincerci, <-> in esso si crea la cecità
verso l’altro e se stessi che non ci permette di vedere la possibilità di
convivenza.
OGGETTIVITA' FRA PARENTESI: l'osservatore riconosce che la
validità della spiegazione sta nella sua accettazione, che il nostro spiegare
ha a che vedere con il modo di incontrarci con l’altro. Se ti nego ne sono
responsabile.
C’è caos quando perdiamo il nostro riferimento emozionale e
non sappiamo ciò che vogliamo fare.
- Riflettere vuol dire porre nel campo delle emozioni i
fondamenti delle nostre certezze, esponendoli ai nostri desideri, in modo da
poterli scegliere rendendocene conto.
- Differenti punti di vista, in un ambito di discorsi aperto
che consente di riconoscere gli errori, permettono di riconoscere differenti
classi di errori nella realizzazione del progetto comune.
- Il fatto di non avere accesso ad una realtà oggettiva non
significa che non possiamo definire criteri di azione, anzi, significa che
siamo responsabili della scelta dei criteri adottati, perché essi non sono
validi di per sé, ma in quanto li consideriamo validi.
Presupposti dell’oggettività fra parentesi:
1. il nostro operare cognitivo è la risultante di
coordinazioni
2. il corpo permette la realizzazione come esseri viventi
coscienti che esistono nel linguaggio
3. -ci sono diverse realtà, egualmente valide ma non egualmente
desiderabili
4. nell’affermare mi coordino responsabilmente: invito
l’altro ad entrare in un certo ambito di coerenze operative
5. non pretendo di essere innocente e che la mia
preoccupazione per l’altro non abbia a che vedere con i miei desideri
6. la responsabilità ha a che vedere con la consapevolezza
dei propri desideri, nasce dalla riflessione in cui si pongono i desideri
all’esame dei desideri stessi (-> integrità)
Apprendere comporta la trasformazione della nostra
corporeità: cambiamenti strutturali che avvengono in noi in modo contingente
alla storia delle nostre interazioni (es: muoversi da italiano o da inglese)
per mantenerci congruenti all’ambiente -> se cambio io cambia la mia
situazione, che cambia solo se cambio io (es: dello zio intubato all’ospedale,
che è in vita solo se mantiene congruenza con l’ambiente che si è trasformato
in maniera congruente a lui; es: l’eventuale morte del sindaco cui mettiamo in
testa un elmetto, non dipende dal mattone che cade, altrimenti modificheremmo
il mattone invece che la testa del sindaco).
- Le abitudini hanno a che vedere con l’inerzia corporea.
Ci si incontra come esseri indipendenti, ma ci si incontra
solo nello spazio in cui storicamente non lo siamo.
Il riconoscimento dell’altro come legittimo non è un
sentimento, ma un modo di agire, è aprire uno spazio di interazioni ricorrenti
con l’altro nel quale la sua presenza è legittima.
Non è un fenomeno culturale, ma biologico.
Il rifiuto e il riconoscimento non sono alternativi, perché
l’assenza di uno non implica la presenza dell’altro, entrambi hanno come
alternativa l’indifferenza. Ma sono opposti quanto a conseguenze sulla
convivenza, il rifiuto la nega, il riconoscimento la costituisce.
Es: problema nella guerra di trincea in cui i tedeschi
conversavano con gli inglesi o francesi e la guerra non poteva più continuare;
il torturatore deve insultare e denigrare il torturato; il cane dei ricchi
abbaia sempre ai poveri, avendo imparato a reagire ai nemici del padrone, a
coloro che sono negati da lui nella sua dinamica emotiva.
- Senza riconoscimento non può esserci coincidenza di
desideri, convivenza armoniosa e libertà sociale.
- Ci riconosciamo quando ci incontriamo su un piano umano
sufficientemente basilare (es: in un terremoto aiuteresti anche un leghista).
Le relazioni di lavoro, e quelle gerarchiche, non sono
relazioni sociali, è per questo che sono necessarie leggi che le regolino, che
definiscano meccanismi di coordinazione dove non ci sono.
- La competizione non è e non può essere sana perché si
costituisce sulla negazione dell’altro.
- I rapporti di potere non sono rapporti sociali.
C’è obbedienza in un rapporto di potere quando qualcuno fa
qualcosa che non vorrebbe fare per mantenere tale rapporto.
- I rapporti di lavoro non sono rapporti sociali.
Sono definiti da emozioni differenti che specificano
differenti ambiti d’azione.
L’etica ha fondamento emozionale: la preoccupazione etica si
costituisce nella preoccupazione per l’altro, avviene nello spazio emozionale.
Consiste nell’includere altri nel proprio mondo (M: non puoi odiare qualcuno,
volerlo fuori dal mondo, perché tu sei nel mondo) (la carta dei Diritti
dell’uomo convince solo chi è già convinto), cosa che si può fare se ci si
mantiene stranieri.
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