Cari Massimo D'Alema e Massimo Bray le persone si vogliono avvicinare ma non si vogliono sottomettere






Porto all’attenzione di tutte le mie amiche ed amici le riflessioni di Massimo D’Alema di venerdì 24 gennaio al "DemFestival" di Empoli e quelle di Massimo Bray sul Corriere della Sera di oggi Sabato 25 gennaio 2020.
Massimo Bray chiede al suo partito di recuperare l’identità che secondo lui è stata perduta. Tale perdita sempre secondo lui, sarebbe la causa dell’allontanamento delle persone che una volta militavano e si sentivano membri di una Comunità che si definiva “LA SINISTRA”.
Faccio presente che dal 1948 al 1986, quando conquistò il potere con il governo Prodi, la comunità detta “LA SINISTRA” non aveva mai governato l’Italia. Stiamo prendendo in esame ben 38 anni di vita repubblicana in cui mai nessuna delle persone che si appellavano “LA SINISTRA” hanno avuto incarichi di Presidente del Consiglio, Ministro o sotto segretario.
E’ vero che nelle cosiddette REGIONI ROSSE e nei comuni c’erano persone de “LA SINISTRA” che sono state Presidente di Provincia, Presidente di Regione, Sindaco o assessori provinciali, regionali o comunali, ma anche in questo caso, tutti erano al potere negli Enti Locali ma, allo stesso tempo, erano L’OPPOSIZIONE del governo occupato quasi militarmente dalla Democrazia Cristiana affiancata a fasi alterne dai vari partitini il più grosso dei quali era il PSI e poi via via il PLI, il PRI, il PSDI.
I partiti sono organizzazioni di persone che hanno la finalità di conquistare il potere in competizioni con altri partiti che hanno la stessa finalità.
La conquista del potere è una competizione violenta che vede chi vince e chi perde. A chi vince va tutto il potere, mentre chi perde viene escluso.
Questa è l’identità di tutti i partiti: la lotta per la conquista del potere.
La circostanza di vedere per 38 anni “LA SINISTRA” essere puntualmente battuta, vinta nella lotta per la conquista del potere, ha dato alle persone l’impressione secondo cui essere ne “LA SINISTRA” significasse automaticamente ESSERE CONTRO IL POTERE.
Invece dal 1986 “LA SINISTRA” ha lottato e vinto e anche perso il potere. “LA SINISTRA” entrando nella competizione, nell’agone della lotta per la conquista del potere e finalmente VINCENDO LA POLTRONA ha di fatto perso quella che sembrava essere la sua identità, ovvero quella che faceva sentire “PERSONE CONTRO IL POTERE” le donne e gli uomini che frequentavano le sezioni di partito o i movimenti de “LA SINISTRA”.
Che dicono i “militanti DI SINISTRA della prima ora” che sono delusi e non vanno più a votare? Che hanno dato il potere ai loro beniamini Massimo D’Alema, Romano Prodi, Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Fausto Bertinotti, Matteo Renzi, Carlo Calenda (e mi perdoni chi non ho citato ma sono davvero tanti altri) per vedere gli stessi identici comportamenti DI POTERE che per 38 anni avevano sempre avversato.
Il fattore K italiano, figlio della Guerra fredda, ha accecato i dirigenti de “LA SINISTRA”, frustrati da 38 anni di esclusione dalla “STANZA DEI BOTTONI”, come la definì Pietro Nenni quando per la prima volta il PSI entrò in un governo italiano, al punto da non capire che i loro MILITANTI avevano chiaro CIO’ CHE NON VOLEVANO, proprio come le sardine di oggi, ma non avevano idea di quello che desideravano, almeno non riuscivano a enunciarlo perché consideravano che IL POTERE, era ciò che non gli permetteva di vivere nella legittimità e nel rispetto reciproco e che, una volta che i loro beniamini l’avessero conquistato, tale legittimità e rispetto reciproco si sarebbe realizzato d’incanto perché “I CATTIVI” sarebbero stati finalmente cacciati.
Oggi ho letto le analisi di Massimo D’Alema e di Massimo Bray ed entrambi affermano di aver capito cosa abbia allontanato le persone che militavano ne “LA SINISTRA”.
D’Alema ha una concezione pedagogica dell’attività di potere e ritiene che sia mancata la protezione dalle paure derivate dall’impoverimento del ceto medio, mentre Bray pensa che l’allontanamento delle persone sia stato determinato dalla conduzione dirigista della sinistra e dai pochi “ELEVATI” che fanno parte del cerchio magico (che poi sarebbero i pedagoghi che invoca D’Alema).
E’ mia opinione che entrambi, che sono stati uomini del PCI, abbiano perduto lo spirito di quei 38 anni sino al 1986 e che, conseguentemente, non abbiano più presente la vera identità di quelle donne e uomini che frequentavano le sezioni o simpatizzavano. QUELLE PERSONE ERANO TUTTE ACCOMUNATE DAL DISAGIO DEL DOVERSI SOTTOMETTERE AL POTERE.
Era una comunità che sperava di non doversi sottomettere e che era certa che, non avrebbe più dovuto farlo, se “LA SINISTRA” avesse conquistato il potere.
E qui la contraddizione in termini. IL POTERE SI CONQUISTA CON LA COMPETIZIONE ESCLUDENDO CHI PERDE ED ESERCITANDO IL DOMINIO CHE CHIEDE UBBIDIENZA E SOTTOMISSIONE A TUTTI.
La questione quindi è culturale. Se si rimane nella cultura della competizione le persone che non si vogliono sottomettere non si avvicineranno mai più.
Per chi lo desiderasse può leggere nel mio blog della cultura della collaborazione, che prevede che le elezioni determinino dei prescelti, a cui viene affidata la responsabilità della amministrazione e gestione dei beni comuni, in collaborazione con tutti, nessuno escluso. E’ mia opinione che se emergesse la cultura della collaborazione, le persone che desiderano assumersi la responsabilità di conversare per ottenere un progetto comune sulla amministrazione e gestione dei beni comuni, si riavvicinerebbero alla politica.

Antonio Bruno Ferro




Massimo D’Alema  venerdì 24 gennaio al "DemFestival" di Empoli

D'Alema: 'Salvini pericoloso, mi suscita ribrezzo e bisogno di tornare a combattere'
Massimo D'Alema interviene a una festa del PD a Empoli: 'Noi governiamo bene, ma a milioni di persone non gliene frega niente, vogliono sicurezza'.
di Maurizio Ribechini (articolo) e Massimo Fenris (video)
Aggiornato il 25 gennaio 2020 10:05
Nella serata di venerdì 24 gennaio al "DemFestival" di Empoli, si è svolto il dibattito dal titolo "Trent'anni dalla caduta del muro. Le promesse mancate della democrazia", con ospite principale Massimo D'Alema, ex presidente del Consiglio, il quale si è soffermato non solo sui temi "storici" legati alla fine del comunismo, ma anche sulla crisi della sinistra e su vari aspetti di attualità Politica.

Massimo D'Alema sulla fine del comunismo e le speranze della sinistra dell'epoca
Nella prima parte del dibattito empolese, D'Alema è stato stimolato a riflettere sulla caduta del Muro di Berlino nel 1989: "Quell'evento spiazzò prima di tutti gli americani, i quali avevano calcolato che l'URSS pur in crisi sarebbe durata ancora vent'anni.
L'accelerazione avvenuta fu legata molto alla figura di Gorbaciov, il quale era convinto della necessità di abbattere quel sistema. Io con lui ne ho parlato anni dopo, e mi disse che non c'erano alternative a cambiare".

Poi ha proseguito: "Il PCI era diverso dai sovietici, lo stesso Berlinguer da anni voleva un comunismo diverso e più democratico. Noi fummo però colpiti dalla fine del comunismo non tanto in quanto stalinisti o brezneviani - visto che non lo eravamo - ma in quanto anche l'idea di una riforma democratica del comunismo era stata spazzata via.


In quel momento prevalse l'idea che la fine di quel mondo aprisse una grande fase di prospettiva positiva per l'umanità. Pensavamo che il modello democratico progressista avrebbe prevalso, e quasi che dalla caduta del comunismo avrebbe potuto trarne beneficio la sinistra democratica e non il capitalismo. Questa idea negli anni Novanta ebbe un fondamento, se pensiamo che Clinton era alla Casa Bianca e la gran parte dei paesi europei era governata da partiti dell'Internazionale Socialista.

Purtroppo a distanza di trenta anni quella si è rivelata un'illusione".

L'ex premier D'Alema sulla crisi della democrazia: 'Non ci si può basare su umore popolare temporaneo'
D'Alema ha spiegato che negli ultimi anni la diseguaglianza nel mondo è cresciuta dappertutto, aggiungendo però che: "In Cina 800 milioni di persone sono uscite dalla povertà e c'è un'aspettativa generale che i figli staranno meglio dei genitori, quindi la società resta coesa.


Da noi in Occidente invece le classi medie e quelli lavoratrici si sono impoverite, mentre in pochi hanno accumulato ricchezze incalcolabili".

Poi ha proseguito: "C'è un problema enorme di ripensamento della democrazia. La democrazia non è affidarsi al popolo. Questa idea della democrazia è distrutta alla radice da un testo fondamentale come il Vangelo. Quando ci si rivolse al popolo, vinse Barabba. La democrazia è invece un processo di costruzione del consenso, in cui l'opinione popolare si forma anche in base ai partiti, ai sindacati e dei gruppi intellettuali, mentre non ci si può fondare sull'umore temporaneo popolare.

Il problema della sinistra è che ha seguito la moda. Spesso ha puntato solo sulla cultura delle opportunità, che però parla solo a una parte minoritaria della società, che vive nelle aree urbane e si concentra nella parte più colta della popolazione. Questa parte vota per il centrosinistra. Poi c'è una parte della società che vive i cambiamenti come qualcosa che genera paura e che chiede protezione: questa parte di popolazione ha abbandonato la sinistra. C'è un mondo di sotto che noi non percepiamo neanche più e che scopriamo solo alle elezioni".

D'Alema: 'Salvini che citofona fa orrore ed evoca il fascismo, ma per parte degli italiani è messaggio di rassicurazione'
D'Alema ha poi aggiunto: "C'è una frattura. Solo un pezzo della società ci ha seguito, mentre una maggioranza ha visto il cambiamento come una perdita di sicurezza esistenziale. C'è una società che parla due lingue diverse. Salvini che citofona al tunisino per noi è orrore ed evoca il fascismo. Ma per una parte degli italiani è un messaggio fortissimo di rassicurazione, lo vedono come l'uomo forte che li difende e offre certezze. Siamo in una società spaventosamente bipolare.

La sinistra non ha capito in tempo tutto questo (...) Probabilmente dal 2008 in poi, con la crisi economica, dovevamo marciare nella direzione opposta di quella che ha invece fatto. Lo dico con autocritica. La sinistra doveva recuperare la propria funzione storica: se il capitalismo ha mostrato le proprie contraddizioni, allora occorreva che la sinistra recuperasse una cultura critica del capitalismo, con il senso della misura, come condizione culturale per rifondare un'azione politica più efficace. Invece ce ne siamo andati dalla parte opposta. Dobbiamo ripartire da lì. La sinistra deve ritrovare una sua ragione d'essere".

Proseguendo: "La drammaticità esistenziale della crisi riproponeva la necessità di partiti ideologici. Cosa c'è di più ideologico della Lega? La Lega mica ha un programma di governo! Il Governo del centrosinistra nei territori è ottimo, ma dall'altra parte c'è la forza di un messaggio ideologico. Noi abbiamo operato un disarmo unilaterale pensando che fosse finita la guerra è invece cominciava. E' stato un grave errore. Non c'è dubbio che noi governiamo bene, ma a milioni di persone non gliene frega niente, perché hanno bisogno di un messaggio che li rassicura. Abbiamo dismesso i nostri valori, non abbiamo più una comunità che li faccia vivere.

Quindi se di fronte alla barbarie della destra si evocano i principi di umanità e solidarietà, essi non arrivano alla percezione della gente. Noi parliamo ad un uditorio razionale che già ci vota. Ma a chi ha problemi di reddito, prospettive, malattia e incertezza noi non comunichiamo più. Occorre un forte elemento identitario, l'idea di fare dei partiti non ideologici è stata una scemenza. Altrimenti diventano comitati elettorali".

'Siamo all'anno zero, oggi il mondo avrebbe bisogno della sinistra, va redistribuita la ricchezza'
Riguardo alle imminenti evoluzioni nel Partito Democratico, D'Alema ha detto: "Io esprimo la mia piena umana solidarietà a chi nel PD oggi si trova davanti a una sfida difficilissima, ma serve un'operazione di ricostruzione culturale e non può che partire da un dato identitario.

Ma anche dal ripensamento del rapporto fra Stato e mercato. Occorre la consapevolezza che oggi siamo a un anno zero, come ci trovammo noi nell'89, siamo a un punto di ripartenza. Se non capiamo questo sarà difficile ricostruire un centrosinistra in grado di vincere in questo Paese".

Parlando ancora di attualità politica, D'Alema ha detto: "Bisogna ricominciare bisogna partire dai fondamenti. Si pensi a cosa sta facendo il Papa, una figura straordinaria di oggi. E meno male che la Chiesa non è democratica, altrimenti non verrebbe eletto. Lui sta rivoluzionando la Chiesa, ha un coraggio enorme e lo fa nel nome del Vangelo.

Lui è una testimonianza del Vangelo senza compromessi. E quindi proprio oggi che la sinistra non va più di moda, essa sarebbe necessaria. Perché serve una forza politica in grado di regolare e imbrigliare lo sviluppo capitalistico: una pura logica di mercato non garantisce la sopravvivenza del pianeta. Il mondo avrebbe massimamente bisogno della sinistra. E questo bisogno si manifesta in modi diversi, per cui non essendoci una grande forza politica che impone la necessità del cambiamento radicale del modello di sviluppo, è normale che una parte dell'opinione pubblica si rivolge a Greta Thunberg (...) L'ideologia produttivistica che aveva anche il PCI oggi non va più bene, oggi serve redistribuire di più la ricchezza per alimentare i consumi, altrimenti il meccanismo si inceppa.

Lo Stato e il pubblico devono riprendere in mano le cose, questo andrebbe fatto anche a livello europeo. E se l'Europa non lo fa, facendo politiche che scontentano i ceti popolari e avvantaggiando la destra, occorre farlo noi ed avere una strategia economica e industriale per il Paese. Anche così possiamo recuperare un rapporto con la nostra gente che non si sente rappresentata e protetta".

Il paragone fra Berlusconi e Salvini secondo D'Alema
In conclusione D'Alema ha fatto un confronto fra il Salvini di oggi e il Berlusconi del passato, spiegando: "Non ho dubbi che Berlusconi aveva mille difetti, ma a modo suo era un democratico in quanto non ha mai incitato alla violenza.

Mentre con Salvini c'è un elemento nuovo: lui ha introdotto nel Paese un clima di intolleranza e violenza. Io trovo intollerabile il fatto di aver gestito l'immigrazione come ha fatto lui. Nel suo anno al Governo sono sbarcate appena 5.000 persone, eppure per ogni nave che arrivava ha imposto sofferenze inutili, per creare tensione nel Paese e la percezione falsa che siamo invasi. Ha creato un clima di violenza contro gli immigrati in molte città. Salvini è pericoloso per quello ha già fatto, più che per quello che può fare. L'idea che un soggetto di questo tipo possa diventare capo di questo Paese, suscita in me un certo ribrezzo e il bisogno di tornare a combattere".





Articolo di Massimo Bray sul Corriere della sera del 25 gennaio 2020

C’è bisogno di politica, identità e coraggio nelle stan-ze del Pd. È da tem-po che leggo un ricco e generoso di-battito su come il Pd, per ri-conquistare il suo elettorato e intercettare l'interesse delle nuove generazioni, debba «aprire le sue porte alla socie-tà civile, alle esperienze di vo-lontariato, alle molte virtuose pratiche di partecipazione e cittadinanza attiva». Apprezzando lo sforzo in at-to, riterrei utile confrontarsi non solo sull'apertura delle porte, ma anche su cosa si do-vrà fare all'interno delle stan-ze «dopo aver preso la decisio-ne di aprirsi». Cominciando da cosa voglia dire «aprire»? Perché il problema è, ancora una volta, quello di dare peso alle parole. Paradossalmente nelle ulti-me legislature abbiamo assi-stito a una grande apertura: decine, se non centinaia di ca-si di trasformismo, di notabili che si sono spostati da un par-tito a un altro, sulla base della convenienza del momento e della difesa delle poltrone. I partiti si sono mostrati quindi molto aperti a difendere gli interessi di qualcuno in nome del primato del «vincere» a ogni costo, del «successo» personale, rischiando di far scomparire la propria identi-tà, caricando chiunque a bor-do. Una delle prime parole su cui soffermarsi è quindi «ap-partenenza»: in questi anni ha finito con il significare la dife-sa degli interessi dei partiti, della loro classe dirigente e non un modo di sentirsi parte di una comunità capace di
condividere i bisogni, le atte-se, le speranze e le paure dei cittadini. Un altro motivo che ha por-tato l'elettorato di centrosini-stra a non votare, a non crede-re più nella politica, a non par-tecipare alla vita di partito, è dato dal fatto che la scelta dei rappresentanti sia stata fatta non sulle loro capacità e com-petenze, sul loro impegno po-litico e sociale, sul vivere la politica come missione al ser-vizio dei cittadini, ma sulla creazione di rapporti «perso-nali» o di cerchi magici. Anco-ra una volta un uso distorto della parola appartenenza. Procedendo in questo modo,
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Risposte Perché una persona dovrebbe passare ore in un partito se il suo impegno non incide sulla linea politica?
il senso di comunità, il sentir-si parte di un mondo di idee e obiettivi, definiti insieme in una casa comune, ha finito con il non avere più valore. Leggendo in questo modo la realtà, si capiranno i motivi per cui non si sia riusciti a convincere le energie migliori del nostro Paese a entrare nei partiti e intere generazioni ab-biano preferito impegnare le proprie energie nel mondo del volontariato, piuttosto che prendere una tessera e parte-cipare all'attività di un circolo. Penso - e lo dico con dolore - che chi è rimasto fuori ab-bia in definitiva fatto bene, perché in questi anni si è an-
dati nella direzione opposta a quella che Gianni Cuperlo ha definito correttamente come una «concreta cessione del potere», cruciale per ridare un senso ai partiti. Perché una persona avreb-be dovuto passare ore del pro-prio tempo in un partito se il suo impegno non avrebbe avuto riscontro sulla linea po-litica? Perché avrebbe dovuto partecipare a una simulazione della democrazia quando le candidature sarebbero state decise altrove, in un altrove inaccessibile? Perché ciò che accadeva nel più remoto avamposto di un partito in pe-riferia non è stato oggetto di attente analisi a Roma? Perché le forme di partecipazione online, teoricamente mature a ogni latitudine, sono state tra-sformate in una specie di gi-gantesco televoto, tra piatta-forme che obbligano a ratifi-care decisioni prese da altri e copie artefatte di meccanismi di democrazia diretta che in realtà non portano a un vero coinvolgimento dei cittadini? Perché non è possibile che i partiti, e tutti i loro rappresen-tanti, siano chiamati in modo sistematico e verificabile a un conftonto permanente sulle grandi questioni del nostro tempo, dalle politiche am-bientali a una nuova visione del mondo del lavoro, dalle ri-forme per definire una buro-crazia vicina ai cittadini a un patto sociale tra Stato, sinda-cato e imprese per far ripartire il Paese? E colpa dei tempi del-la politica, si è detto: gli scena-ri cambiano così in fretta da impedire una consultazione permanente. Questo a me sembra un alibi. Se èvero che i tempi attuali sono incerti per definizione, è altrettanto vero che la politica sa comunque
essere (e talvolta con dolo) più lenta del necessario: basti pensare all'andamento della discussione di queste settima-ne, oramai ridotta senza di-stinzioni a un «ne parliamo dopo le regionali in Emilia-Romagna». L'apertura non riguarda al-lora solo l'apertura delle por-te, ma i comportamenti di una classe dirigente: fino a quan-do non si tornerà a condivide-re l'idea che un partito sia una comunità di donne e uomini che con passione, lealtà e fi-ducia reciproca difendono un'ideale di società, valori, speranze e una visione del mondo. Per far questo si do-vranno creare spazi accoglien-ti in cui donne e uomini giova-ni e meno giovani possano ri-trovarsi a discutere i temi della contemporaneità. Discutere di quello che sarà un nuovo modello di Stato sociale capa-ce di garantire una sanità di qualità, di definire una politi-ca industriale che crei svilup-po sia nel Sud che nel Nord, che investa nel sistema scola-stico e in quello formativo. Luoghi che formino una clas-se dirigente che viva la Politica (con la P maiuscola) come missione, come tutela del be-ne comune, difesa dei diritti, delle pari opportunità, con-vinzione che il conftunto con l'esterno arricchisca, che la fa-tica dell'ascolto possa garanti-re una qualità migliore del processo decisionale. Se quello che i cittadini tro-veranno in questi luoghi, una volta aperte le porte, sarà un'energia stimolante, coin-volgente, e il loro impegno, le intelligenze, le competenze saranno vissute come patri-monio da mettere in comune, gli sforzi per cambiare non sa-ranno vani. RIFROCUZIOM RtSERVATA

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