Come ottenere un grandissimo coinvolgimento delle persone nella gestione dei beni comuni
E’ che ci vuole qualcuno che ti chiama, qualcuno che si
preoccupa di invitarti. E poi, una volta provato il benessere che deriva dal
piacere di stare insieme, accade che tu torni ancora una volta e poi una volta
ancora ad incontrarti per il solo piacere di passare un po’ di tempo assieme ad
altre persone. Questo accade senza sforzo, semplicemente e spontaneamente e
soprattutto dura nel tempo. Quella che ho descritta era la sostanza che legava
gli iscritti ai circoli o club per il tempo libero che adesso sono in via di
estinzione.
Chiunque prima di invitare le persone a un incontro deve però
essere consapevole che "O conseguirà un grandissimo
coinvolgimento o servirà a poco" [Romano Prodi, La Stampa 15 gennaio 2020], perché se non c’è quel
coinvolgimento, che vedremo poi da cosa può essere determinato, agli incontri
dopo le prime riunioni, non verrà più nessuno. Magari all’invito le persone
opporranno varie giustificazioni come la scarsità di tempo, gli impegni
familiari o il concomitante impegno professionale, ma c’è un’unica certezza che quando inviti delle persone e queste, dopo le prime volte, non vengono più è perchè non c’è stato un grandissimo coinvolgimento, .
Scrivevo del coinvolgimento e delle motivazioni (desideri)
che lo informano, e promettevo un approfondimento ed eccolo qui di seguito. Le
persone si incontrano o per il piacere di stare insieme oppure perché hanno necessità
di organizzarsi per il conseguimento di un risultato di successo personale o
ricchezza.
Mi soffermerò su questa seconda motivazione che è quella
determinante nella definizione dei recinti, che i giornalisti chiamano più
elegantemente perimetri.
Il perimetro si crea con l’invito solo ad alcune persone
escludendo tutte le altre. Una volta che si sia fatto l’invito per formare un
consiglio di amministrazione di una impresa, queste persone si incontrano e si
coordinano sui compiti di ognuna di loro.
La riunione si conclude con alcuni che accettano il ruolo
che è venuto fuori nel coordinamento, e altri che lo rifiutano.
Chi accetta quel ruolo inizia la collaborazione che ha la
finalità di ottenere successo e ricchezza, per tutte le persone che sono nel
perimetro. Tale successo e ricchezza deve essere conquistato in aperta
competizione con altre persone che già sono organizzate per conseguire lo
stesso risultato.
La competizione può essere più o meno feroce, più o meno
violenta, ma ha come epilogo un gruppo che vince e altri gruppi che perdono e
vengono esclusi.
Nel gruppo che vince c’è lo stesso processo che è
finalizzato alla conquista del maggior successo e ricchezza possibile, in
competizione con le altre persone dello stesso gruppo. La competizione può ad
esempio avvenire per la conquista del posto di presidente.
Il processo che ho descritto è quello che contraddistingue
la maggior parte degli inviti per lo svolgimento di riunioni che hanno finalità
di coordinamento tra più persone. Il risultato del processo che possiamo
definire “ESCLUSIVO”, è appunto, la progressiva esclusione delle persone che
sono coinvolte che, se non intervenisse l’esclusione del gruppo ad opera di un
altro gruppo, arriverebbe al risultato finale per cui tutto il successo e la
ricchezza sarebbe accaparrata da una sola persona. La frase simbolo del
processo appena descritto potrebbe a ragione essere “Ne resterà soltanto uno!”
detta da Victor Kruger “Il Kurgan” nel film “Highlander - L'ultimo immortale”.
Salvini, Meloni, Berlusconi, Zingaretti, Renzi, Calenda, Di
Maio, Grillo, Fusaro, Rizzo e tutti
quelli che fanno l’invito ad altre persone per ottenere un coinvolgimento su un
progetto dovrebbero leggere queste mie osservazioni sul processo competitivo
finalizzato al raggiungimento della ricchezza e del successo. Lo scrivo perché
le persone che ho citato sono i responsabili di partiti che si propongono per
la gestione dei beni comuni, e proprio questa finalità vede interessate tutte le persone della
esistenza sociale, perché i beni di cui questi partiti dicono di volersi
occupare, sono di tutti e non di una parte sola delle persone che formano la Comunità.
Per questi beni comuni, il processo più adatto è quello
della collaborazione tra tutti, senza escludere nessuno e quindi senza
opposizione, poiché si abbandona la competizione.
Solo con la collaborazione si può ottenere,
conseguentemente, un grande coinvolgimento. E questo grande coinvolgimento è
descritto all’inizio di questo mio scritto, ed è quello che si determinava nei
circoli e club per il tempo libero. Ho letto la poesia di Franco Arminio
pubblicata sul settimanale “L’Espresso” in edicola, e ho gustato i comportamenti che il poeta descrive, che originerebbero una “Comunità Italia Nuova”. Quei
comportamenti possono diventare realtà solo con la collaborazione, e per
ottenerla non dobbiamo far altro che lasciarci cadere dalle mani la
competizione e accompagnare la sua scomparsa con un sorriso.
Antonio Bruno Ferro
Canto per l’Italia
nuova
La prima cosa, cara
Italia,
è rimanere sensuali.
La politica
deve accendere le
facce come fa un amplesso.
Lottare per la terra
senza essere sensuali
serve a poco, metti
giù altre parole, fai girare
formiche morte nel
sangue, e invece bisogna
alzare in alto le
chitarre come hanno fatto in Cile.
Ci vuole nelle piazze
un canto a oltranza
e baci e abbracci in
abbondanza.
La modernità non va
adulata né licenziata:
ci vuole una modernità
plurale,
le ragioni delle città
e quelle dei paesi,
la comunità che
intreccia indigeni e stranieri,
le ragioni dell’utopia
e quelle dei banchieri,
il muso delle vacche e
Piero della Francesca.
Fuori dal Parlamento
c’è l’Italia alta e
silenziosa,
l’Italia marina e
collinare,
industriale e
inoperosa.
Bisogna costruire un
tempo intimo e civile,
politica e poesia,
lo sguardo delle
regole
e le regole dello
sguardo,
la bellezza di ogni
spazio
più che la ruggine del
farsi spazio.
Bisogna subito
spiegare a chi vota
per i suoi nemici
che il cancro non
inisce
con nuove elezioni
e le acque si
alzeranno coi profeti
della crescita e delle
betoniere,
gli alberi caduti
raccontano
di una terza guerra
mondiale
in atto: la guerra del
clima.
Non ci sono eserciti
che si confrontano,
c’è il cielo contro
tutti,
un cielo senza angeli
e montagne senza
ghiaccio.
Ci vuole subito che la
parola terra diventi
il primo motto:
noi siamo la politica
della terra,
e questo dice anche
della cura per chi sta
nei campi col gusto di
fare cibo buono,
cibo per la salute.
Il secondo motto:
noi siamo la politica
della salute.
Con noi l’aria torna
pulita,
tornano puliti i iumi,
le api stanno meglio
noi le veneriamo come
fanno in Slovenia.
Ecco cosa vuol dire
essere moderni:
avere Milano e Matera,
l’alveare e la Rete.
Il terzo motto:
noi siamo la politica
della giustizia.
Noi siamo la politica
che in dieci anni
toglierà via
dall’Italia il crimine organizzato,
magari resterà qualche
folle, qualche malandato,
ma con noi in Italia
diventa ridicola
la furbizia, orribile
il reato.
Bisogna dire cose
grandi e dirle con gli occhi
accesi da entusiasmo,
non è vero che
vinceranno,
la loro candela si
allunga perché è alla ine.
L’uomo del futuro non
può essere nazionalista,
il pianeta può
salvarsi solo con un uomo conviviale,
l’uomo proittatore è
un rottame:
il capitalismo se
vuole restare in vita
deve arrendersi alla
poesia, alla gentilezza,
al mistero della
morte.
Gli umani che stanno
per venire
torneranno all’essere
più che al dire,
saranno di nuovo
attenti al dolore
degli altri, saranno
stui di inzioni,
sarà bello essere nudi
e sinceri.
Il quarto motto:
noi siamo la politica
che profuma di gioia,
noi opponiamo le
barricate della comunità
alla mestizia dei
consumi,
noi opponiamo ai loro
muri
una stretta di mano.
Il quinto motto:
noi siamo la politica
dell’attenzione,
attenzione alla
povertà e al dolore.
La destra è il tempo
dell’imbrunire
e la notte è
l’avvenire
di chi ora la conduce.
Noi siamo le due del
pomeriggio,
siamo le vie
senz’ombra,
siamo la politica
della luce.
FRANCO ARMINIO
Commenti
Posta un commento