I giornalisti che raccontano la politica? Pretendono di vendere frigoriferi in Siberia.



Perché i giornalisti non sono più quelli che fanno sapere come stanno effettivamente le cose? Già!
La domanda che ognuno di noi si fa di fronte a un fatto, a una notizia, è che vogliamo sapere ciò che è accaduto, lo vogliamo sapere perché tutto ciò che accade agli umani in qualunque parte del Mondo avvenga, sollecita la curiosità degli umani.
Vogliamo sapere tutto, a partire da quello che accade al vicino di casa, o all’amico, al parente, al paesano o all’italiano o al cittadino del Mondo, ovunque esso sia, tutto, ma proprio tutto, ci fa fare una domanda che è quella di sapere come stiano effettivamente le cose.
Allora io mi chiedo, e chiedo a tutti, perché mai professionisti che hanno come mission, come scopo principale del loro lavoro, raccontare agli altri ciò che accade, raccontare quindi come stiamo effettivamente le cose, dicevo come mai queste persone che dovrebbero essere cercate, corteggiate, lusingate allo scopo di vedersi rivelato ciò che i giornalisti sanno sia accaduto, dicevo come mai i giornalisti non li ascolta più nessuno, non se li fila più nessuno?
Forse esagero? No, penso proprio di non esagerare se penso che al massimo l’ascolto riservato ai giornalisti, l’attenzione per ciò che hanno da raccontare si limita a poche righe, per cui, se non c’è qualche frase in grado di sollecitare una emozione, tutto cade nel vuoto più assoluto, nell’inutilità del lasciato andare.
Ma cosa dovrebbero raccontare i giornalisti?
Vediamo ad esempio le elezioni, a qualunque livello, a partire da quelle Comunali sino alle Europee cosa dovrebbero raccontare delle elezioni i giornalisti?
Forse della campagna elettorale potrebbero raccontarci la spinta propulsiva, la cognizione, la mente, la coscienza e l’etica dell’impegno dei raggruppamenti oltre che dei singoli candidati?
Oppure ci potrebbero raccontare di una festa e una battaglia, una celebrazione e una competizione, un momento sacro e un rito pagano, facendoci assistere al terreno d’azione che è quello della lotta senza esclusione di colpi messa in atto da folle e singoli leader, condotta da eserciti di volontari e ristretti staff di professionisti?
Insomma abbiamo bisogno delle cronache di guerra tra bande di donne e uomini decisi che si battono senza esclusione di colpi per la conquista del potere? Oppure di una epistemologia, cioè di una teoria della conoscenza di come si fa la conoscenza, che sia basata sul cervello, sulle sue straordinarie possibilità creative quando si specifichino le forme della mobilitazione cognitiva?
Ci sono in atto dei tentativi di dare una risposta a questa domanda ma non ci sono giornalisti che li interiorizzino, che li facciano propri e che generino con i loro scritti conversazioni.
Un esempio è quello che ha scritto Fortunato Aprile (*)
“La crisi della politica è dovuta proprio a un lungo processo di graduale involuzione dello spirito democratico: quello del confronto condotto in termini culturali e di approfondimento, sostituito da strategie furbesche, producenti immense coltri di fumo che non fanno vedere il vedere. […..] Una riforma della politica, quanto mai urgente a fronte del suo attuale degrado, deve prevedere e definire le forme di quella “mobilitazione cognitiva” delle relazioni interne come precondizione di minima per lo svolgimento delle relazioni esterne, interpartitiche, che hanno una sede istituzionale primaria che è il Parlamento.
[……] in prevalenza, il ceto politico, partitico, si è andato componendo di un esercito di furbetti del quartiere, peraltro prodotti da istituzioni formative che vanno sempre più sfornando non cittadini colti della convivenza civile, ma in gran misura con le caratteristiche della plebe.”
È solo un esempio ma se ne potrebbero fare tanti altri.
I giornalisti riportano quotidianamente le cronache delle guerre senza esclusione di colpi tra uomini e donne dei diversi partiti, per conquistare il potere. Ma queste guerre ormai accadono in diretta Facebook, e sono immediatamente di dominio pubblico, perché i contendenti, sui loro profili Facebook e Twitter, si precipitano a pubblicare l’ultimo colpo inferto al nemico che sperano sia quello definitivo, quello che escluderà quel nemico per sempre dalla lotta per il potere consentendo al sopravvissuto di ottenere tutto il bottino in un delirio di onnipotenza.
La cosa curiosa è che le cronache di guerra autobiografiche dei politici hanno escluso, “fatto fuori”, i cronisti professionisti, quelli che raccontavano dell’ultima pugnalata o dell’ultimo sgambetto dello spietato furbo che si arrampica sempre più su per avere il dominio di tutto. Questi giornalisti adesso cercano di vendere frigoriferi in Siberia, perché quello che hanno da vendere c’è già liberamente scaricabile e visionabile da Facebook.
Quindi questi giornalisti cronisti delle lotte e degli omicidi politici sono estinti, ininfluenti.
Solo che non sorgono i giornalisti che ci raccontano com’è la democrazia. Non sorgono ancora i giornalisti che descrivono un'opera d'arte per generare un progetto comune nel reciproco rispetto e nella collaborazione reciproca. Non sono sorti ancora giornalisti che si sono dati il compito di generare quel tipo di coesistenza. Io sono uno di questi faccio questo ogni volta che ne ho la possibilità. C’è qualcun altro? Si faccia vivo, potremmo fondare un giornale.

Antonio Bruno Ferro

(*) Fortunato Aprile, dopo una lunga esperienza nell’insegnamento, condotto sempre in forma sperimentale, scopre come affrontare la crisi drammatica della scuola attraverso robuste cognizioni che attingono dal costruttivismo ermeneutico, dalla fenomenologia e dall’epistemologia basata sul cervello. Psicopedagogista e psicologo dell’educazione, diventa prima direttore didattico e poi dirigente di un istituto comprensivo.

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