Lu Panieri, un tassello della mia storia
E' da poco che sono arrivato. Confesso che ancora non sono
uscito a fare due passi nelle vie del paese più bello del Mondo. A scanso di
equivoci, San Cesario di Lecce è per me il paese più bello del Mondo perché qui
ci ho passato la mia infanzia, non c’è un solo altro motivo che giustifichi
tale assolutizzazione.
Fare due passi il giorno della Fiera di San Cesario di Lecce
che in concomitanza con la festività religiosa di San Giuseppe te la stiddrha
diventa “lu panieri” è un rito importantissimo perché la domenica subito dopo Pasqua
qui nel 1963 e anni seguenti eravamo tutti con il vestito nuovo a passeggiare
tra “cotume”, “seggie”, “mobili” e “campanieddrhi” mentre i baresi che giungevano
a frotte sbattevano forte, forte piatti e ciotole su una cassa di lamiera, e
imbandivano tavole con centinaia di piatti messi magicamente gli uni sugli
altri che, a guardarli, ti veniva la paura che si sarebbero rotti tutti quanti
da un momento all’altro.
Ma i piatti non si rompevano e noi bambini non ci annoiavamo
mentre seguivamo, le evoluzioni delle parole lanciate dai baresi che parevano
reggere i piatti che volavano per aria in quella frizzante festa di primavera.
Poi venne il tempo dei napoletani che vendevano pacchi nel
cui interno c’erano le sorprese. I primi pacchi erano riempiti con ogni ben di
dio di valore. Questi pacchi preziosi erano acquistati per poche lire dai
compari dei venditori appostati nelle vicinanze. Noi che avevamo visto acquistare
per pochi spiccioli radio, tv e registratori eravamo pronti ad accettare la sfida
lanciata dal napoletano, che ripeteva tante volte la domanda: “Se sicuro di
volere questi pacchi?” e poi ancora “guarda che dentro potrebbe esserci un bel
nulla!” e noi ipnotizzati a dire si, e ancora si! E si, che te la prendevi la
fregatura. La cosa più bella era al ritorno a casa con quelle cianfrusaglie
senza valore che i genitori con un sorriso prendevano a motivo per insegnarci
che per essere fregati bisogna essere in due a volerlo: chi ti frega e tu che
ti fai fregare.
E poi le giostre, il Tagatà e le gonne delle bambine che
svolazzanti lasciavano intravedere segreti inconfessati che divenivano disponibili
al ritmo dei balzi dei pistoni ad aria compressa.
Ed io che la guardavo, e che la desideravo fremendo, e che rimanevo
fermo, paralizzato ad osservarla, senza aver mai avuto il coraggio di dirle
quanto l’amavo.
Antonio Bruno Ferro
Commenti
Posta un commento