Credi che la specie umana abbia una natura essenzialmente incline alla pacificazione o essenzialmente incline alla violenza?
Credi che la specie umana abbia una natura essenzialmente incline alla pacificazione o essenzialmente incline alla violenza?
Massimo Giannini ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica di oggi 13 ottobre 2023 in cui dopo un lungo ragionamento si chiede:
“Ma l’alternativa qual è? Il mondo in fiamme? Servirebbe il “Terzo per la Pace” di cui parlava Norberto Bobbio. Il mediatore forte e riconosciuto, il Defensor pacis che inchioda le parti al compromesso. “Nell’attuale sistema internazionale questo Terzo non esiste, né se ne profila uno credibile all’orizzonte”. Il grande filosofo torinese lo scriveva nel 1989. Oggi, purtroppo, è ancora più vero di allora.”
HUMBERTO MATURANA scrisse che il neonato non nasce con paura o aggressività, nasce con la fiducia che c'è un adulto amorevole che aspetta ad accoglierlo, proprio come la farfalla che, uscendo dal bozzolo, nasce fiduciosa che ci saranno fiori e nettare che gli arriveranno. Il neonato sembra dire: eccomi, amami e sarò un adulto amorevole; il ragazzo o la ragazza che arriva all'asilo, o alla scuola dell'infanzia, o a scuola, o all'università, a meno che non sia stato cresciuto nell'aggressività, nella sfiducia, nella competizione o nell'ambizione, dice la stessa cosa e vuole la stessa cosa.
Il filosofo francese Edgar Morin studia da anni la natura della nostra coscienza, come funzioniamo e come pensiamo. Esprime la complessità della conoscenza e dei rapporti con la società e la storia.
Unendo la citazione di Maturana con quella di Morin, di seguito, partiamo da una premessa importante per questo fondamento: è il connubio tra biologia e cultura che ci plasma come esseri umani.
L’uomo è un essere pienamente biologico e pienamente culturale, che porta con sé l'unidualità originaria. È super e ipervivente: ha sviluppato in modo sorprendente le potenzialità della vita. Esprime in modo ipertrofico le qualità egocentriche e altruistiche dell'individuo, raggiunge i parossismi della vita nell'estasi e nell'ebbrezza, ribolle di ardore orgiastico e orgasmico, ed è in questa ipervitalità che l'homo sapiens è anche homo demens. L’uomo è quindi un essere pienamente biologico, ma se non avesse una cultura completa sarebbe un primate del livello più basso. Edgar Morin (il metodo 5 - l'umanità dell'umanità)
E’ opinione diffusa che la specie umana abbia una natura essenzialmente incline alla violenza. Ma è veramente così?
Robin Grille è una psicologa e neuroricercatrice che indaga percorsi scientifici verso una società libera dalla violenza attraverso la formazione di genitori ed educatori. Lo fa, demistificando l’erronea convinzione che l’essenza umana sia incline alla violenza – anche se ne è capace.
L'aggressività può essere considerata un'importante conquista evolutiva, responsabile della sopravvivenza della specie, che ci ha spinto a fuggire da animali più forti, costruire strumenti e trappole, stimolando lo sviluppo di abilità che ci differenziano dagli altri animali: memoria, autoconsapevolezza, complessità pensiero, pianificazione ed equilibrio emotivo. Ma l’aggressività ha le sue luci e le sue ombre. Deve essere un mezzo, non un fine in sé. Sono gli stimoli dell’ambiente e gli scopi a cui serve che lo incanalano verso l’evoluzione o la distruzione.
Oggi le sfide della sopravvivenza non sono più legate alla competizione con altri animali. Ma piuttosto per convivere in un mondo dove le risorse sono sempre più scarse e in continua trasformazione.
Il processo evolutivo è costante e la plasticità, la flessibilità e l’adattabilità umana consentono a queste sfide ambientali di alterare il nostro codice genetico con il passare delle generazioni.
Credendo che sia nostra responsabilità affrontare la questione della violenza e della guerra (...), tenendo conto delle mie osservazioni e degli studi di ricercatori di diverse ho elaborato questo manifesto sulla violenza (...). Il mio punto di vista è qui espresso sotto forma di proposizioni (...):
È scientificamente errato dire che abbiamo ereditato la tendenza alla guerra dai nostri antenati animali (...).
È scientificamente errato affermare che la guerra, o qualsiasi altro comportamento violento, sia geneticamente programmato nella natura umana (...).
È scientificamente errato affermare che nel corso dell'evoluzione umana vi sia stata una selezione di comportamenti violenti più che di altri tipi di comportamento (...).
È scientificamente scorretto dire che gli esseri umani hanno un cervello violento (...).
È scientificamente errato dire che la guerra è causata da istinti o da qualsiasi motivazione isolata (...).
Buona riflessione
Bobbio, la guerra e il mediatore
di Massimo Giannini
Siamo tutti israeliani. Che altro
si può dire, di fronte ai
cadaveri violati e martoriati,
sgozzati e bruciati a Kfar Aza e a
Be’eri? Che altro si può pensare,
di fronte al pianto straziato di Noa
che tende le braccia al suo
ragazzo mentre i suoi aguzzini la
portano via in motocicletta, o al
corpo nudo e smembrato di Shani
Louk che giace inerte sul pick-up
mentre i suoi carnefici le sputano
addosso? All’indomani del Black
Saturday irrorato dalla pioggia di
sangue di un eccidio chiamato
“Diluvio Al Aqsa”, sappiamo bene
da che parte stare. È la parte del
buon senso e della Ragione, del
diritto e dell’umanità, di cui ha
scritto David Grossman ieri.
Quello che accade oggi è
certamente la “materializzazione
del prezzo che Israele paga per
essersi lasciata sedurre per anni
da una leadership corrotta che
l’ha trascinata sempre più in
basso”, che ha demolito le sue
istituzioni giudiziarie, il suo
esercito, il suo sistema scolastico.
●continua a pagina 33
I segue dalla prima pagina
Ma con tutta la rabbia accumulata nel tempo nei confronti di
Bibi Netanyahu, “le atrocità di questi giorni non sono causate
da Israele”.
Quando massacri a freddo ragazzi che ballano nel deserto di Reim,
stupri e bruci ragazze indifese, ammazzi a coltellate in pancia
donne incinte nei kibbutz, leghi le mani e poi uccidi decine di
bambini inermi, non c’è e non ci può essere “causa” che tenga. Non
c’è Allah e non c’è povertà, non c’è sopruso e non c’è schiavitù, che
spieghino questo orrore. L’hanno paragonato all’11 settembre, e poi
a Bucha, ed è così: dall’America all’Ucraina al Medio Oriente, chi
decide consapevolmente di sterminare civili non ha scuse. Compie
solo un atroce atto di guerra e di mostruoso terrorismo. Hamas l’ha
compiuto e l’ha rivendicato. Nessuna tolleranza è possibile, nei
confronti di quegli assassini tagliagole che si professano “difensori
della Palestina”, mentre sono i peggiori nemici del popolo
palestinese, come scrive Tahar Ben Jelloun.
Spiace dirlo, in faccia alle poche anime nere che in qualche
sottoscala della politica e in qualche redazione di giornale
aggiungono solo odio all’odio. Ma su questa linea, che è insieme di
umanità e di responsabilità, l’Italia sta tenendo. Pensiamo a quello
che succede negli Stati Uniti, dove nelle migliori università del
Paese, da Harvard a Chicago, l’intero corpo studentesco sforna
comunicati che denunciano “il regime di Israele totalmente
responsabile di tutte le violenze causate da vent’anni di apartheid a
Gaza”. O a quello che accade a Parigi, dove il leader Mélenchon
schiera l’intera France Insoumise dalla parte di Hamas. Qui da noi,
almeno ad oggi, questo peloso cupio dissolvi non è scattato. Le
mozioni parlamentari diverse e incrociate, tra maggioranza e
opposizioni, non ci possono scandalizzare: è legittimo che ci sia
un’enfasi maggiore su alcuni aspetti essenziali di questo nuovo,
sanguinoso conflitto israelo-palestinese. Chiedere che il governo di
Tel Aviv non sospenda le forniture di acqua, cibo, luce e gas nella
Striscia, non vuol dire sostegno ai terroristi guidati da Mohammed
Deif, ma garanzia di aiuto umanitario per la gente che a Gaza vive
sotto i missili di Tsahal.
Sta tenendo la sinistra, che un tempo scendeva in piazza “a
prescindere” con la kefiah inneggiando all’Olp e Arafat, e oggi con
Elly Schlein — stavolta capace di una parola chiara e inequivoca —
condanna la strage del 7 ottobre e aggiunge «confondere i
palestinesi con Hamas sarebbe fare un torto alle aspirazioni di un
popolo». Sta tenendo la destra, almeno quella di Giorgia Meloni, che
da capo del governo stavolta non specula sulle tragedie e sulle
divisioni altrui. In compenso, purtroppo, lo fanno le destre rissose
che gli si agitano accanto. Le destre leghiste, ansiose di farsi
perdonare le fuitine a Mosca di Capitan Salvini, che si lanciano nella
“battaglia dei Palazzi”, considerando sacrilego che qualche
comune, insieme alla bandiera di Israele, issa anche quella
Arcobaleno. Le destre ex missine, prigioniere del “mito della forza”
di Moshe Dayan ma anche della spada dell’Islam brandita dal Duce
in Libia: nel tentativo di nascondere sotto il tappeto la polvere di
casa loro (vedi l’irriducibile capo di Forza Nuova, Roberto Fiore, che
dice «i cecchini col deltaplano non volevano eliminare gli ebrei, ma
solo creare una presenza simile alla Svizzera dei Cantoni»)
approfittano di questo immenso disastro per giustificare il pugno
duro contro i migranti (vedi l’ineffabile sottosegretario Fazzolari,
che dice «adesso i terroristi hanno più facilità ad arrivare sui
barconi»). E infine le destre giornalistiche, che da giorni sparano
titoli come proiettili. Descrivono i macellai di Hamas come
“comunisti islamici”. Chiamano “Intifada delle tende” il corteo di
qualche centinaio di liceali che minaccerebbero “la democrazia”. E
trattano Patrick Zaki — certo protagonista di un giudizio
inaccettabile su Israele — non come un giovane studente egiziano,
ma come fosse il leader dei progressisti italiani, colpevole di “alto
tradimento” verso la nazione che lo ha liberato dalle prigioni del
Cairo. Ma chi tradisce chi, continuando ad avvelenare i pozzi con le
notizie false e le forzature ideologiche? Chi dà una
rappresentazione esasperata e bugiarda del Paese, intossicando un
discorso pubblico che si vorrebbe appassionato, sì, ma anche reale e
razionale, non cieco e isterico, com’è già successo per la Russia?
Perché al dunque, pronunciata e condivisa la condanna senza
appello di Hamas, per il mondo, per l’Occidente, per l’Europa e
persino per la piccola Italia restano due domande cruciali. La prima
domanda, che non serve a mitigare la solidarietà con Israele ma a
non sbagliare le mosse future: perché siamo arrivati a questo,
dimenticando la Questione Palestinese o illudendoci che
l’avremmo risolta semplicemente con quella che lo stesso
Grossman ha chiamato “la pace dei ricchi” che passa sulla testa dei
popoli, cioè gli accordi di Abramo e il patto tra Israele e Arabia
Saudita? La seconda domanda, che serve a scongiurare la “fine della
Storia”: che fare, adesso che forse non basta più morire per Kiev, ma
forse servirà farlo anche per Gerusalemme? Adesso che, tra la
sporca “operazione speciale” di Putin e l’orribile offensiva di Hamas,
la Terza Guerra Mondiale non è più solo l’ossessione di Papa
Francesco, ma forse un pericolo vero per l’umanità intera? Adesso
che, a partire dalla mattanza del “Diluvio Al Aqsa”, pare saldarsi la
più terrificante delle alleanze, quella tra il Cremlino — forse non
estraneo all’ideazione o al supporto strategico all’attacco a Israele —
l’Iran sciita dei Guardiani della Rivoluzione, la rete militare di
Hezbollah, la Siria, il Qatar? Blinken e Netanyahu sono concordi,
comprensibilmente: Hamas è come l’Isis. Vuol dire che con l’Isis non
si tratta, si combatte. Vuol dire che la controffensiva di Israele — su
una Gaza distrutta dove sono già cadute seimila bombe e dove
muoiono altre decine di bambini innocenti, proprio come negli
insediamenti ebraici della Cisgiordania — sarà senza pietà. Anche a
costo di sacrificare ostaggi e civili.
È vero. Non possiamo chiedere a Israele ferita a morte di porgere
l’altra guancia. Ed è forse altrettanto vero che il bagno di sangue di
oggi dimostra la sostanziale inutilità del sacrificio del falco Sharon,
che nel 2005 cedette i territori di Gaza all’Anp. Ma l’alternativa qual
è? Il mondo in fiamme? Servirebbe il “Terzo per la Pace” di cui
parlava Norberto Bobbio. Il mediatore forte e riconosciuto, il
Defensor pacis che inchioda le parti al compromesso. “Nell’attuale
sistema internazionale questo Terzo non esiste, né se ne profila uno
credibile all’orizzonte”. Il grande filosofo torinese lo scriveva nel
1989. Oggi, purtroppo, è ancora più vero di allora.
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