Può accadere anche a noi ciò che accade oggi in Israele
Può accadere anche a noi ciò che accade oggi in Israele
GABRIELE SEGRE ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano DOMANI di oggi 16 ottobre 2023 per affermare L’OBBLIGO DELLA CONVIVENZA TRA ESSERI UMANI, ma leggiamo le sue parole:
“Proprio nel momento in cui ogni progetto di dialogo e di pace pare sepolto per sempre, emerge con la forza dell'evidenza una considerazione capace di rovesciare la prospettiva ancor prima di evocare l'affermazione di una chiara intenzione la parola 'convivenza" indica una precisa condizione di necessità. Esistono mondi in cui si è -obbligati a convivere: un vincolo dettato da una certezza insuperabile incontrovertibile e soprattutto indipendente da qualunque volontà.”
Secondo Segre ci sono Mondi in cui si è obbligati a convivere. Ma se la nostra convivenza si basa sulla competizione, ecco che accade ciò che osserviamo sta accadendo in Israele e nella Palestina.
Se al contrario NON SIAMO COSTRETTI ma vogliamo vivere e, soprattutto vogliamo vivere insieme democraticamente, dobbiamo essere in questo desiderio sia nel conscio che nell’ inconscio perché queste sono le dimensioni operative intime che eseguono ciò che desideriamo. E il nostro vivere insieme democraticamente accadrà nella misura che abbiamo istituzioni esplicite e implicite che provengono dal nostro conscio e inconscio.
È questo atteggiamento che ci permette di pensare e riflettere sui nostri desideri di convivenza. La convivenza in questo desiderio la agiamo anche di fronte al cambiamento storico di conoscenza e abilità tecnologiche che viviamo. In definitiva la convivenza nella democrazia è un’opera d'arte in campo di vita e coesistenza sociale umana, questo è fatto e conservato solo quando la persona lo vuole e in tal modo consapevolmente vive e vive in questo stato.
La competizione ha come esito una convivenza basata sul rapporto dominatori - sottomessi e tale rapporto è praticato come modo di vivere. Questo modo di vivere quindi prevede anche la guerra come possibilità di arrivare a sottomettere chi non vuole sottomettersi, portando anche questo principio alle estreme conseguenze della cancellazione dalla faccia della terra di chi resiste.
Se non viene meno la competizione tutto quello che chiamiamo convivenza è solo dominio di VINCITORI su altri che si sottomettono dopo essere stati VINTI.
Quello che accade in questi giorni in Ucraina e nel Medio Oriente è UNA COMPETIZIONE finalizzata a sottomettere.
Un’ultima riflessione. Nella nostra convivenza, ogni giorno accade di essere in competizione. Ogni giorno c’è chi vince e domina e c’è chi perde che si sottomette.
Può accadere anche a noi ciò che accade oggi in Medio Oriente. Può accadere se qualcuno non ci sta’, se qualcuno non intende sottomettersi.
Buona riflessione
CONDANNATI A CONVIVERE QUESTA GUERRA NON POTRA’ MAI ELIMINARE L’ALTRO
GABRIELE SEGRE
FONDAZIONE Vittorio Don Segre
Come è possibile per un paese travolto dal conflitto riuscire a conservare il proprio spirito civile? La risposta non è mai scontata quando lutto e costernazione dilagano e straziano gli animi. Per Israele si tratta di una questione cruciale, proprio ora che il mondo ne invoca il carattere più singolare: unica nazione, tra quelle del Medio Oriente, democratica e in guerra sin dalla nascita.
E’ necessario guardare ai Mesi antecedenti l'orribile attacco del 7 ottobre per capire lo sforzo che questa prova richiede ovunque nel monda le nazioni commettono errori, ma è la capacità di riconoscerli e correggerli a tracciare la distinzione tra regimi democratici e non. In Israele controversie ruvide e dure su giustizia libertà e convivenza con "l'altro". all'interno e oltre i propri confini, hanno mosso la ricerca di nuovi equilibri tra le diverse anime e visioni del paese. Un processo dl comprensione e critica che. per la sua natura ribelle e lacerante ha incarnato la forma più manifesta di confronto democratico nella storia dello stato. Quando il bieco fanatismo dello storico nemico ha scelto di sprigionarsi nella forma di un massacro pianificato tutta questa sfibrante ricerca è finita al macero, soffocata dalla necessità di sopravvivere, dalla paura dalla rabbia e volontà di giustizia. L'esercizio di una cultura democratica matura richiede e pretende spazio per i dubbi e piazze per esternarli: condizioni difficili da trovare rinchiusi in un angusto rifugio. In guerra. ogni possibile interrogativo viene schiacciato da due sole alternative giusto o sbagliata legittimo o turpe. Una sorte spietata. che tutto investe e nulla risparmia dinanzi al riduzionismo dell'antitesi più crudele 'o con noi o contro di noi". E non viene difficile credere che la ferocia inaudita di sabato scorso mirasse a questo esito precisa di fronte a tale desolante appiattimento. verranno perduti i richiami alla convivenza che, ancor tenui, si iniziavano ad udire nel clamore delle diverse istanze e che, col tempo, sarebbero potute emergere con tono distinto. Un progetto lungo e laborioso. ma destinato a crescere ed evolversi, proprio in virtù di un dibattito così riccamente articolato in una vasta gamma di sfumature da quelle semplici e liete, convinte di poter vivere abbracciati l'un l'altro a quelle rigide e severe che vogliono una coesistenza all'insegna del dominio di una parte a scapito di chi resta non ultime quelle che sentenziano il rifiuto radicale della convivenza nella ferma intenzione di destinare l'altro" all'oblio. Oggi anche queste sfumature sono state cancellate, ma forse da ciò può affiorare una visione diversa.
Proprio nel momento in cui ogni progetto di dialogo e di pace pare sepolto per sempre, emerge con la forza dell'evidenza una considerazione capace di rovesciare la prospettiva ancor prima di evocare l'affermazione di una chiara intenzione la parola 'convivenza" indica una precisa condizione di necessità. Esistono mondi in cui si è -obbligati a convivere: un vincolo dettato da una certezza insuperabile incontrovertibile e soprattutto indipendente da qualunque volontà. La storia è piena di elaborati progetti di sterminio tutti falliti. Perché anche quando l'obliterazione di un popolo si compiesse per mano del suo prossimo, continuerebbero a convivere forzatamente le memorie di entrambi -L'altro" esisterà sempre, quantomeno nel risentimento che ha originato. Nessuno può oggi dire se la pace sarà mai realizzabile e se sarà quella della diplomazia o quella dei cimiteri, ma l'essenza stessa della guerra ci presenta quell'unica disarmante consapevolezza siamo tutti condannati a convivere. Una semenza che racchiude in sé una flebile speranza: chissà che una volta acquisita questa cognizione, la convivenza non possa tornare ad essere progetto. Quando. un giorno le armi taceranno e tornerà il tempo delle domande, dovremo allora saperci chiedere come si fa a convivere anche quando domina l'odio.
IL DISORDINE GLOBALE E IL RUOLO AMERICANO
MASSIMO CACCIARI
L’attacco di Hamas ha segnato una svolta nello storico con flitto tra Israele e Pale stinesi. Si tratta di una vera e propria azione di guerra, che travalica, per organiz zazione e dispiegamento di forze, i suoi caratteri ancora propriamen te terroristici. Conflitto in atto dal 1947, come noto, ma se guerra, nel senso tradizionale, vi è stata, questa è stata condotta fino a ora da una parte soltanto, come per l’invasione del Libano del 1982; lo scontro si è svolto sempre nella for ma tipicamente asimmetrica di quello tra Stato e eserciti regolari contro “movimenti”, le diverse In tifada, o parti e gruppi “estremi sti”. Oggi l’asimmetria rimane so lo tra forze militari, per il resto sembra si sia giunti a una lotta tra Stati. Questo rende del tutto illuso ria l’idea che il conflitto possa veni re “incapsulato”. Ciò vale per que sta tragedia come per quella, ov viamente di natura del tutto di versa, ucraina.
Soltanto decisioni che derivino da intese tra grandi po tenze possono permettere di pensare a vie d’uscita. Ma proprio il “disordine globale” sembra rendere que sta prospettiva nient’altro che una speranza. Qualsia si nuova road-map, a partire dall’arresto della guerra, può es sere oggi realisticamente tracciata soltanto se gli Stati Uniti vorranno in qualche forma riaprire la strategia che portò pri ma a Camp David e poi alla firma dell’accordo transitorio di Oslo 2 nel 1995. È del tutto evidente che se invece si ritiene qualsiasi accordo ormai impraticabile, non vi è alternativa al la guerra – e a una guerra infinita, a meno di non mirare all’im possibile, e cioè all’annullamento della nazione palestinese. Si deve riconoscere che sono crollati i pochi fattori che soste nevano quegli accordi, in base ai quali iniziò l’autogoverno pa lestinese nella fascia di Gaza. Alcuni dei protagonisti di quella fase, tra cui Rabin, assassinato da un estremista religioso ebrai co, sono morti, altri non si sono mostrati all’altezza del loro compito, come Arafat, che morì nel 2004, e l’intero gruppo diri gente dell’OLP, incapaci di contrastare Hamas, delegittimati sempre più agli occhi del loro popolo per corruzione e incompe tenza, e isolati sul piano internazionale a causa di colossali errori, come l’appoggio all’Iraq nel la prima guerra del Golfo. È chiaro che la matas sa poteva essere sbrogliata soltanto se presa da questo bandolo: formare una Autorità palesti nese ferma sul principio, da realizzarsi gradual mente, “sicurezza in cambio di terra” e in gra do di mostrare che il riconoscimento del diritto dello Stato di Israele aveva assunto valore storico, strategico. Parallelamente, dall’altra parte – e in questo senso proseguiro no gli accordi di Oslo -, occorreva favorire il processo di formazio ne di una vera sovranità statuale palestinese, inesistente fino a quando si fosse ridotta a una serie di enclaves divise tra loro da strade divisorie, e Israele, cioè un altro Stato, avesse mantenuto il controllo di commercio, forniture, flusso dei lavoratori, spazio aereo. Inutile ricordare le condizioni della popolazione a Gaza, denunciate per anni da tutte le organizzazioni umanitarie inter nazionali, e destinata oggi a subire un altro, atroce esodo, con dotta alla disperazione. Zeev Sternhell, storico dell’Università ebraica di Gerusalemme, disse: solo una mente malata può spe rare che l’occupazione possa portare alla pace. Le occupazioni portano alla guerriglia infinita. Altrettanto delle ideologie irreali stiche, buone forse a tenere a galla falliti gruppi dirigenti, ma so prattutto ad affossare i propri popoli. Un dirigente di Hamas ha detto: combatteremo Israele fino al giorno del Giudizio – poteva dire: condanneremo i palestinesi alla miseria e alle sofferenze fi no a quando saremo tutti morti. È altrettanto irrealistico e causa inesorabile di sciagure pensare che lo Stato di Israele possa veni re distrutto, che credere che possa restare “in pace” una nazione privata di ogni reale sovranità. Ma Oslo è morto, sentenziò già Sharon nel lontano 2002, e da allora non ha fatto che continuare a morire. Vuol dire che l’ostili tà non conosce più limiti? Che l’inimicizia ha fagocitato tutto? An che se così fosse per i diretti contendenti, questo non potrebbe va lere per noi, poiché questa guerra può avere incalcolabili conse guenze sul destino di tutti. La storia pone anzitutto agli Stati Uni ti una domanda concreta: conviene ai suoi attuali disegni geo-po litici mantenere tra Israele e palestinesi una situazione che, la sciata a sé stessa, potrebbe concludersi soltanto in base al “classi co” principio: “i confini del mio Stato sono definiti soltanto dai li miti della mia forza” e al suo interno non tollero altri Stati ma al più solo dei ghetti? Dovrebbe risultare chiaro da ogni nostra azio ne che combattiamo Hamas o Hezbollah proprio perché la loro strategia annulla ogni possibilità di pace ed è contraria agli inte ressi della nazione palestinese, interessi legittimi, che la comuni tà internazionale deve di nuovo ribadire, e proprio in questi tragi ci frangenti, fondati sul diritto alla dignità e sovranità. Gli Stati Uniti sono oggi impegnati nel ridisegnare un Nomos della Terra nel confronto sempre più pericolosamente ravvicinato con impe ri in evidente decadenza e altri invece in crescita con potenzialità difficilmente calcolabili. Che una faglia così decisiva come quel la che corre tra Israele e Palestina resti aperta, con i conseguenti terremoti che può sempre suscitare in tutto il Medio-oriente, ap pare contraria ai loro interessi, a ogni linea di Realpolitik. Gli uni ci soggetti in grado di far riprendere la strada della trattativa so no loro, piaccia o no; la Russia è fuori gioco, la Cina da lontano as siste al moltiplicarsi delle difficoltà dell’Occidente, l’Europa an che assiste, ma per impotenza. Il grande politologo Raymond Aron rispondeva a chi gli do mandava perché non avesse mai fatto politica: «Perché voglio pensare». Con tutto il cuore dobbiamo augurarci che la leader ship politica americana sia oggi in grado di smentirlo
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