Dal Paese più bello del Mondo alle scuole superiori con il pullman
Con l’esame in terza finì la scuola media e con esso finiva la
scuola dell’obbligo che poteva essere frequentata nel paese più bello del
Mondo. Ognuno scelse un Istituto superiore e fu così che l’incontro con i
compagni di scuola si spostò da davanti al portone della scuola a vicino la
fermata dei pullman.
Per frequentare la scuola superiore ci si doveva spostare a
Lecce e tutti optavano di raggiungerla in pullman. A San Cesario c’è la
stazione ferroviaria ma è situata al confine del Centro abitato e quindi gli studenti,
nella quasi totalità, preferivano prendere la corriera della Sud Est. Alcuni
prendevano il pullman dell’Aeronautica riservato però ai figli e parenti dei
dipendenti dell’Aeroporto di Galatina.
Le fermate erano due, una nei pressi del Calvario, alla fine
di via Dante e l’altra in piazza Garibaldi. Ricordo la mattina la difficoltà
del risveglio e il pericolo costante di perdere il pullman per il mio arrivo in
ritardo alla fermata di Calvario.
Adoravo dormire, non mi andava di svegliarmi. Mia madre
cominciava a chiamarmi alle 7.00 ma io non riuscivo proprio a svegliarmi e
alzarmi dal letto. Ricordo che mi svegliavo per un pochino per poi
riaddormentarmi subito. Fu così che lei, per rendere il risveglio più veloce,
accendeva la Radio a transistor sintonizzata su Radio 2 che trasmetteva il
mattino gli ultimi successi di musica leggera.
Il viaggio da San Cesario a Lecce durava pochi minuti ma nel
pullman accadeva di tutto, scherzi tra i ragazzi, battute alle ragazze e con il
controllore.
Tutti avevamo l’abbonamento e il controllore passava per
forarlo in corrispondenza della data di quel giorno. La fermata all’arrivo a
Lecce era in Via Duca degli Abbruzzi e tutti da li ci spostavamo per raggiungere
i vari Istituti.
A tredici o quattrodici anni mi sentivo un uomo. Avevo in
tasca il mio pacchetto di MS e la mattina fumavo la prima delle tre che potevo
fumare in un giorno. Il lunedì ne fumavo solo due perché i pacchetti avevano
venti sigarette e i giorni della settimana erano sette. Per fumarne tre al
lunedì sarebbero dovute essere ventuno. Una la mattina, poi dopo pranzo e
infine una a sera. Come le pillole. Era la mia emancipazione, gli adulti fumavano,
io fumavo. L’anelito di diventare adulto era grandissimo! Il fumo era la
possibilità di sentirmi proprio così.
A scuola c’era una continua richiesta: “hai una sigaretta?”.
Ci provavano tutti e se la risposta comune era la consolidata “me ne sono
rimaste poche” c’era in conseguenza l’ultima richiesta “allora mi fai fumare?”
ed allora ecco che giunti a metà sigaretta la si passava al compagno. Le
sigarette, che forza che avevano in quegli anni!
Fumavamo e sospiravamo. Nel pullman si aveva chiara la
geografia dei fidanzamenti. I fidanzati sedevano accanto. Era un meraviglioso
attimo di intimità in mezzo a tutti. La ragazza seduta accanto al finestrino e
il ragazzo verso il corridoio.
E se non accadeva più, se una ragazza non sedeva più accanto a quel ragazzo,
ecco che tutti eravamo informati che quei due ragazzi non stavano più insieme.
Che belle queste due parole: “stanno insieme”. Sono bastevoli, perfette ed
esprimono quello che io provavo quando guardavo quella ragazza che, come diceva
Antonello Venditti, “filava tutti meno che me”.
Tredici o quattordici anni, chi l’avrebbe detto che ne avrei
scritto dopo tanto tempo, chi avrebbe detto che avrei rivissuto oggi, adesso,
quello che provavo allora. Un età meravigliosa, piena di sogni, di tenerezza e
di tumulti. Un età fantastica in cui sei un uomo non essendolo, in cui tutto
intorno il Mondo è un’occasione possibile, una strada aperta, un successo
sicuro, una carezza leggera.
Un età in cui non ti basti più, cerchi, vuoi condividere,
vuoi capire, vuoi provare, vuoi volare!
Tredici o quattordici anni, l’età di mia figlia, l’età di
tuo figlio o la tua età. Un sogno s’è avverato e quei giorni si sono
concretizzati in eternità.
E lo scrivo ancora, e non mi stancherò mai di scriverlo da
quando quell’amico me l’ha detto: eravamo felici…
Antonio Bruno
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