Le suore e la mescia degli anni 60
La foto è stata scattata nel cortile interno della scuola materna gestita dalle suore. Al centro Suor Elisa |
Qualsiasi impresa è
fortemente influenzata dall’amore
e qualsiasi obiettivo, anche dietro le più meschine maschere ciniche,
ha una sola destinazione
“ tornare a casa ed abbracciare le persone che amiamo.”
Virginio De Maio
e qualsiasi obiettivo, anche dietro le più meschine maschere ciniche,
ha una sola destinazione
“ tornare a casa ed abbracciare le persone che amiamo.”
Virginio De Maio
Prima di andare alle scuole elementari i miei genitori mi
portavano in casa al nonno Petruzzu e alla Nonna Memmi che erano i miei nonni
paterni e che abitavano “a rretu lu Nfiernu” proprio dietro alla nuova farmacia
di don Gennaro Pasca. Poi a un certo punto loro non potevano più tenermi ed io
andai dalle suore.
Le suore per il paese più bello del Mondo è l’odierna scuola
materna V. Vergallo che aveva l’entrata in una corte che dava in via Verdi e un’altra
nel portone in Via Dante accanto alla Banca.
Ricordo due cose di quella scuola materna.
La prima era che c’era all’interno un cortile su un lato del
quale c’era una sola fontanina a zampillo che era tenuta strettamente chiusa. Poi
per un periodo di tempo limitato veniva aperta e noi bambini avremmo potuto
bere in quel brevissimo lasso di tempo. Quando la fontanella iniziava a
zampillare tutti noi ci accalcavamo li intorno e i più forti
conquistavano i primi posti per bere. All’epoca io ero gracile e non riuscivo
mai a raggiungere l’agognato zampillo. Dopo i tentativi senza successo dei
primi giorni accadde che anche se aprivano la fontanella non mi avvicinavo più
per tentare di bere, tanto sapevo che non ce l’avrei fatta.
Era frustrante vedere la fontanina che zampillava, avere
sete e non riuscire a bere. La cosa più strana è che nessuno si occupasse di
fare bere tutti i bambini, sia quelli più esuberanti che quelli meno, categoria
quest’ultima a cui appartenevo e che rimaneva a bocca asciutta anche se la sete
era tanta.
Poi ricordo nella prima sala una vetrinetta tutta piena di
giocattoli. Io questi balocchi potevo solo guardarli perché erano esposti ma
nessuno di noi poteva prenderli per giocare.
Io so solo che non vedevo l’ora di tornarmene a casa e che
piangevo perché li non ci volevo stare. Mi raccontava mia madre che le suore mi
chiedevano quando fosse l’ora di far rientro a casa e che io rispondevo: “quando
suona la campanella” riferendomi al suono della campanella che decretava la
fine di quella permanenza che per me era un supplizio.
Questa cosa mi era raccontata continuamente da mia madre che
non capiva la mia esigenza di stare sempre con lei, tolleravo bene il tempo che
trascorrevo dai miei nonni, li mi sentivo a casa mia, ma la mamma mi mancava lo
stesso anche li, ma quando ero alle suore la mancanza era davvero forte e
quindi piangevo.
Ricordo però che quando bambini e bambine eravamo tutti
assieme nella prima sala io guardavo sempre una bambina che era anche lei li ad
aspettare, come me, la sua mamma, e mi piaceva tanto quella bambina. La osservavo
tutto il tempo, non le staccavo gli occhi da dosso.
Alle suore ci tornai per il catechismo e la catechista che
avevo era bellissima con una paio di occhi verdi nei quali annegavo mentre lei
tentava disperatamente di insegnarmi le risposte a quel catechismo della
dottrina cristiana, detto di Pio X, che è una formidabile sintesi della fede
cattolica.
Quella catechista riuscì a farmi riabilitare quel luogo, che
prima di averci visto dentro lei, era per me un vero e proprio tormento. Aveva un sorriso
bellissimo e un fidanzato gelosissimo che ogni tanto irrompeva durante la
lezione. Lei in un profondo imbarazzo lo guardava e gli faceva segno che
avrebbero parlato dopo. Io tra me e me pensavo che lei non doveva stare con
quell’energumeno, io pensavo che lei sarebbe dovuta stare con me. Eppure avevo
sette anni. Ci si può innamorare così a sette anni?
Poi la mamma decise che invece di mandarmi alle suore mi
avrebbe mandato alla “mescia”. Era una brava signora che in una stanza aveva
messo tanti piccoli scanni (scannetti) dove noi bambini sedevamo, se non sbaglio ogni
bambino doveva portasi il suo.
Ero proprio piccolino eppure ho chiare quelle immagini di
quel tempo, i panierini in cui la mamma ci metteva la colazione, uno per me e
uno per la mia sorellina Daniela, erano della Moplen il mio azzurro e il suo
rosa.
La sala della “Mescia” quella delle suore e la dolcezza di una di loro che si chiamava “Suor Elisa”. Di questa suora tutto il paese più bello del Mondo ne parlava benissimo ma io non ebbi l’avventura di essere affidato a lei e quindi posso testimoniare solo del gran bene che sentivo di lei e del mio desiderio di essere affidato alle sue amorevoli cure. Ma non fui mai un piccolo cucciolo di Suor Elisa e quindi mi devo accontentare dei miei ricordi, delle immagini che ho decritto.
La sala della “Mescia” quella delle suore e la dolcezza di una di loro che si chiamava “Suor Elisa”. Di questa suora tutto il paese più bello del Mondo ne parlava benissimo ma io non ebbi l’avventura di essere affidato a lei e quindi posso testimoniare solo del gran bene che sentivo di lei e del mio desiderio di essere affidato alle sue amorevoli cure. Ma non fui mai un piccolo cucciolo di Suor Elisa e quindi mi devo accontentare dei miei ricordi, delle immagini che ho decritto.
Ma dopo tanto tempo i ricordi sono chiari, ma orfani di quell’emozione,
sono fotografie prive della frustrazione di non poter bere alla fontanella e di
non poter giocare con i giocattoli delle suore. Sono solo immagini, come se
stessi guardando delle vecchie foto. Ma queste immagini ci sono e sono vive
dentro di me e sono, soprattutto, senza tempo.
Se penso adesso a quell’atrio interno e alla fontanella che
zampilla, sono qui e ora in quel pozzo di luce, in quell’atrio scoperto. Se
penso alla vetrinetta piena di giocattoli che desideravo poter avere, è come se
fossero tutti qui adesso, davanti a me. Lo stesso mi succede pensando a quella
bambina, al suo viso, lei è qui e, mentre la guardo, suona la campanella, sorrido felice e
corro ad abbracciare la mia mamma, la stringo forte forte e non mi stacco più da
lei perché, in braccio a lei, non vedo l’ora di fare ritorno a casa mia.
Antonio Bruno
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