Rispetto per i cittadini che hanno accettato l’invito delle sardine
"l’amore è ciò
che si distingue nel rapporto di un essere umano con un altro essere umano, è
quella relazione in cui ti senti visto, ti senti ascoltato, senza richieste e
senza aspettative. ...È la medicina definitiva."
Io lo ripeto sempre che le sardine non sono le 4 persone di
Bologna che si sono inventato questo modo di stare insieme in piazza. Le sardine
siamo noi. Noi siamo le sardine perché siamo persone andate in piazza ognuno
per i nostri motivi. Ci sono motivi diversi per ogni persona che ha accettato l’invito.
Ma tutti abbiamo lasciato le nostre case con la certezza che nessuna delle
persone che ci ha invitato era di quelle che, con ogni tipo di elezione, avevamo
prescelto per affidare loro la responsabilità dell’amministrazione e gestione
dei beni comuni.
Adesso c’è questa realtà. Ci sono persone che se chiamate,
se invitate, escono di casa e si riuniscono.
La raccomandazione da fare a tutti “sardine e non” è di non
promettere cose che non possiamo mantenere e adempiere perché, per le persone
che accettano l’invito e si recano in piazza, questo è un tradimento, e se si
ripete nella storia, allora abbiamo persone che non rispettano i prescelti così
com’è successo a quelli a cui, con ogni tipo di elezione, è stata affidata la
responsabilità dell’amministrazione e gestione dei beni comuni. Ci si chiede
perché le persone perdono il rispetto; ebbene lo perdono perché non hanno
imparato ad essere rispettati.
Se si parla e si scrive di rispetto è perché le persone lo
hanno perso, ma la domanda è: c'era mai stato rispetto per le persone?
Se ci riflettiamo e rimuoviamo gli strati, come si fa con le
cipolle, scopriremo che non c'è mai stato rispetto, perché la base del rispetto
è l’ascolto, che dimostra che l'altro conta davvero per me.
“Sardine e non” abbiamo tutti di che riflettere.
Antonio Bruno Ferro
L'editoriale Pesci piccoli pesce grosso di Carlo Verdelli
Non si tratta di stare o meno I con le Sardine, considerarle
un fiore inatteso spuntato nel deserto civile della nostra depressa Italia
oppure una combriccola di giovanotti senza spessore né futuro. E neppure conta
che il movimento di piazze, dopo nemmeno tre mesi di vita, sia già sull'orlo di
scissioni, polemiche infantili, incidenti di percorso. Forse sarebbe un peccato
se la vitalità democratica che quattro ragazzi di Bologna hanno saputo
trasmettere in così poco tempo alle moltitudini di rassegnati sparsi da Trento
a Palermo andasse perduta come le famose lacrime nella pioggia. Come sarebbe un
peccato se il loro educato no alla cultura montante della rabbia alla bocca e
dei bacioni fasulli rifluisse nell'oblio, lasciandosi dietro la scia di
un'ipotesi che non si è verificata. In molti ci sperano, anzi pregano che
accada. Magari succede davvero, con sommo gaudio di quel che resta dei
Cinquestelle, così frastornati da pensare che la loro improbabile rimonta passi
dall'evaporazione dal campo di un antagonista immaginario. Per non dire delle
truppe salviniane, fermate a Bologna anche da una marea pacifica, e imprevista,
che ha infilato fiori nei cannoni della loro propaganda. Addio Sardine, è stato
bello. Possibile. Ma non è questo il nocciolo della questione. Il primo di
febbraio, seimila Sardine (così si firma il nucleo nascente del banco ittico)
rivolgono attraverso Repubblica un invito al premier Conte. È una lettera dai
toni garbati.
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L'editoriale
Pesci piccoli, pesce grosso
di Carlo Verdelli
segue dalla prima pagina
E anche una lettera in qualche modo sollecitata. Qualche giorno prima, era stato lo stesso
Conte, ospite di Otto e mezzo di Lini Gruber, ad aprire loro la porta: «Seme lo
chiedessero, avrei piacere di incontrare le Sardine e ascoltare le loro
istanze». Eccoci, rispondono loro. E con molto riguardo verso la figura
istituzionale del presidente del Consiglio gli scrivono che sarebbero felici di
accogliere il suo invito, sentendosi di rappresentare «quella connessione con i
cittadini che la politica va cercando da decenni e quell'abbraccio che per
troppo tempo è mancato tra noi italiani». Puerile? Mieloso? Retorico?
Foss'anche, è un appello che viene da una forza nata dal "territorio",
quel territorio che è ormai l'araba fenice citata e vanamente inseguita da
qualsiasi formazione partitica. "Dobbiamo tornare sul territorio, dobbiamo
parlare ai giovani delle periferie, dobbiamo ripristinare il contatto con la
gente". Di buone intenzioni è lastricata la strada della crescita
dell'astensione o del voto di protesta a vantaggio di formazioni
dichiaratamente anti-tutto, che sono poi due facce della stessa medaglia. Le
seimila Sardine, che poi diventano 40 mila o 80 mila a seconda della città dell'appuntamento
(da Bologna a Palermo, passando per la festa grande di Roma), sono un ponte che
chiede soltanto di essere attraversato. Nella lettera a Repubblica, con parole
semplici e dirette, invitano Contea varcare la soglia di quel ponte,
confrontandosi su tre questioni: il Sud, «un filo un po' maltrattato, in cui
tante giovani menti crescono, si formano ma poi vanno via»; la Sicurezza, non
nell'accezione di contrasto al salvataggio di vite umane ma in quella di
diritto al lavoro, all'assistenza sanitaria e all'istruzione; la Dignità della
Democrazia (tutto maiuscolo), «arteria vitale che ogni giorno collega la
libertà al rispetto delle regole». La conclusione è, se possibile, ancora più
conciliante: onorevole presidente, ci consideri per un giorno non come oracoli,
cosa che non siamo, ma come dei messaggeri. Ci ascolti, per favore. Ascoltare,
in democrazia, dovrebbe essere il primo comandamento di chi amministra. Quindi
anche di chi fa politica. Dovrebbe. Giuseppe Conte non è un politico ma sta
imparando il mestiere. E lo sta imparando anche velocemente, tenuto conto che
in un anno e mezzo è già stato due volte presidente del Consiglio e ha da poco
annunciato, proprio su questo giornale, che ove mai finisse questa esperienza
di governo lui non tornerà a fare l'avvocato o il professore di Diritto, quale
era prima del sorprendente arruolamento ai vertici dell'esecutivo a trazione 5
Stelle. Definitivamente folgorato dalla cosa pubblica, il premier resterà in
politica (con chi? a fare cosa?) e dunque si porta avanti con l'apprendistato.
Il che significa, per esempio, allenarsi a dire e non fare, sviare, smussare,
evitare grane, sopire, rinviare, "cronoprogrammare" agende e vertici
per un futuro migliore. Anche mentire, quando occorre, perché la politica sarà
pure "sangue e merda", come l'ha fotografata una volta per tutti il
passionale Rino Formica, ma è anche e soprattutto una professione ai confini
della magia, dove la finzione e l'apparenza sono il trucco più antico e sempre
in voga per stare in equilibrio sulla corda sottile del potere. Smaltita la
paura del dopo voto in Emilia Romagna, tributati i doverosi e calorosi grazie
all'inatteso popolo delle Sardine, la scena è improvvisamente mutata, i portoni
del Palazzo si sono richiusi, il nostro affaticato governo ha varato una legge
soltanto nell'intero mese di gennaio, e il suo capo, Giuseppe Conte appunto,
non ha ancora trovato un minuto per rispondere alla richiesta dei volonterosi
pesciolini. Lettera morta, la loro, letteralmente. Neanche un vago: grazie, vi
chiamerò appena possibile. Niente. Rimandare, non irritare inutilmente gli
amici grillini, che hanno già il pelo ritto di loro, nascondersi dietro le più
svariate urgenze, smentire senza smentirla la disponibilità prima concessa e
poi di fatto negata a un confronto con un pezzettino subacqueo ma autentico
della tanto corteggiata "società civile". Niente di grave,
Presidente. Domani è un altro giorno, i ragazzi non hanno pazienza, il banco
delle Sardine si incarterà da solo con qualche altra mossa improvvida tipo la
visita a casa Benetton, che tanti lazzi ha suscitato sulla loro indipendenza.
Lasciamole nuotare ancora un po' nel loro brodo, finché un tombino le
risucchierà e la superficie del mare tornerà calma e placida come prima di quel
14 novembre, esordio a Bologna di 12 mila persone, strette strette l'una
all'altra, con in mano dei cartoncini colorati a forma di pesce. Una cosa mai
vista, anche per Salvini, che infatti accusò, e non poco, la sorpresa. Se il
Conte bis naviga ancora, è anche per quell'onda anomala e spontanea di
partecipazione. Nata fuori dai partiti, dai circoli intellettuali, dai circuiti
tradizionali della creazione di consenso. Sprecarne l'energia, scansandosi per
evitarla ora che non serve più, non aiuterà né questo governo né la buona
politica a recuperare terreno nei confronti di un Paese sempre più tentato da
altre sirene.
()RIPRODUZIONE RISERVATA
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