Giancarlo Visitilli, ovvero solo con la relazione c’è coinvolgimento
Ieri sera Venerdì 27 dicembre, al Fondo Verri in Via Santa
Maria del Paradiso 8 a Lecce, c’era Giancarlo Visitilli. Ha parlato del suo
ultimo libro “La pelle in cui abito” scritto con Kader Diabate edito da Laterza.
Nel libro c’è la storia di Kader Diabate, una persona venuta
in Italia da lontano, dall’Africa specificamente dalla Costa D’Avorio, che dalla
disumana permanenza nei campi libici ha poi raggiunto l’Italia da cui, prima o
poi, andrà via per raggiungere la Francia.
L’incontro tra Giancarlo Visitilli e Kader Diabate è avvenuto
per volontà dell’Editore Laterza di Bari. Ci sono stati degli incontri, poi Giancarlo
Visitilli ha scritto il libro, infine ha incontrato ancora una volta Kader
Diabate che dopo la pubblicazione del libro è stato disponibile ad essere presente
per le prime presentazioni.
Kader Diabate è una delle tantissime persone che vengono in
Italia da lontano, certamente un uomo unico, ma con una storia che potrebbe
essere la storia di tantissimi uomini e di tantissime donne che arrivano in
Italia.
Quello che ieri mi ha colpito in modo folgorante è il
comportamento di Giancarlo Visitilli che, anche se non nuovo ad esperienze con persone
provate dalla violenza e dal dolore, infatti è uno dei gestori da più di 10
anni della Cooperativa Sociale I bambini di Truffaut, che si occupa di bambini,
bambine e adolescenti, era preda di emozioni fortissime derivate sia dagli
incontri con Kader Diabate per scrivere il libro, che da un successivo viaggio con
gli scafisti e conseguente soggiorno nei campi libici.
Ieri Giancarlo Visitilli aveva comportamenti che denotavano
benessere quando riferiva della sua esperienza con Kader, lui la definisce come
qualcosa che presuppone un contatto e un’immersione quasi fisica l’uno nell’altro
e ci dà conto del rispetto reciproco e del riconoscimento reciproco di
legittimità tra di loro. Due culture diverse, che restano diverse,
interagiscono e provocano, almeno in Giancarlo Visitilli, una trasformazione. Di
ciò che ha provocato in Kader nulla posso dire perché ieri non c’era.
Giancarlo Visitilli più volte in un bellissimo dialetto
barese ripeteva che Kader “c’ha ragione!” quando arrivava in ritardo alle
presentazioni, perché lo faceva in quanto nella sua cultura, c’è l’abitudine di
prendersi il tempo di gustarsi le cose.
Ieri Giancarlo Visitilli ha poi riferito che Kader era
venuto in Italia e che, sicuramente sarebbe andato in Francia, per rubare tutto
quello che poteva rubare dalla nostra cultura e poi tornare in Costa d’Avorio.
E anche qui Giancarlo Visitilli ripete “c’ha ragione!” perché in Costa d’Avorio
tutti i posti di direzione sono dei francesi che ottengono ricchezza da quel Paese
senza lasciare spazio agli africani.
Ieri sera Giancarlo Visitilli era euforico quando riferiva dei
comportamenti che ha osservato in Kader, euforico dell’essere entrato in
contato con una persona che è diversa da lui ma che ha contribuito a
trasformalo, e che quasi sicuramente ha trasformato.
Ma c’era un'altra emozione ieri sera che ho osservato nei
comportamenti di Giancarlo Visitilli, la rabbia! Si, la rabbia.
Giancarlo Visitilli ha sentito il bisogno di andare in Libia
con gli scafisti, ha sentito l’esigenza di servire i pasti nei campi ai libici
e ai detenuti. Perché l’ha fatto?
Perché Kader l’ha trasformato, lo ha riempito di stupore, l’ha
incuriosito, l’ha reso protagonista di un viaggio dentro sé stesso e poi verso
la Libia, un viaggio che ha come motivatore Kader.
Giancarlo Visitilli ha cambiato i suoi comportamenti quando
si è trasformato e in Libia ha raccolto dieci interviste con le donne che ha
messo in un cassetto, per allontanarsene, perché adesso è completamente
risucchiato da quella tragedia, è parte di quella tragedia.
Quindi Giancarlo Visitilli ha percorso le fasi di un processo
che vanno dall’incontro con Kader, alla interiorizzazione delle conversazioni
che ha fatto con lui, sino alla scrittura delle stesse, che è un atto potentissimo.
Io stesso mi dico che mai nulla potrà essere mio se non lo scrivo. Nulla esiste
se non è detto da qualcuno a qualcun altro che con la scrittura, quel qualcun’altro,
diventa sé stesso.
Dopo aver interiorizzato la vita di Kader, profondamente
turbato da quei racconti, Giancarlo Visitilli vuole farne esperienza diretta,
va in Libia e torna con l’odore dei corpi umani in putrefazione nel naso.
Ecco adesso Giancarlo Visitilli è trasformato, non può più
tornare indietro.
E cosa fa? Desidera che anche gli altri sappiano, desidera
che la sua consapevolezza e compassione per questi popoli sia patrimonio
comune.
Il processo è iniziato da Kader e quindi Giancarlo Visitilli
cerca di far ripetere l’esperienza ai lettori del suo libro e, naturalmente siccome
è giornalista, cerca di coinvolgere il suo giornale.
Ma non ce la fa. Si arrabbia, e per darsi una spiegazione,
formula una coerenza logica ai comportamenti di chi ignora quell’esperienza che
ha provocato la sua trasformazione, spiega a sé stesso e agli altri che tale
comportamento omissivo può essere spiegato dagli interessi di chi ha avuto ed
ha ancora il potere.
Poi ci riferisce che persino la lettura del suo libro, dopo
qualche pagina, viene interrotta per un’ansia progressiva del lettore. Ripongono
il libro e, verosimilmente, non lo riaprono più.
Io ci ho riflettuto e, francamente, non credo che l’indifferenza
verso le persone che vengono in Italia da lontano, sia determinata dalle
motivazioni che ha fornito Giancarlo Visitilli; voglio dire che l’indifferenza
non è dovuta agli interessi del potere, né tantomeno all’ansia di chi ripone il
libro dopo aver letto poche pagine.
È la trasformazione intervenuta attraverso la relazione con Kader
la motivazione che ha informato Giancarlo Visitilli sia nella verifica
esperienziale in Libia, che nel desiderio di far sapere a tutti ciò che per lui
stesso è stato motivo di stupore e meraviglia.
La rabbia di Giancarlo Visitilli è prima di ogni cosa
rivolta a se stesso e alla sua inconsapevolezza, prima di conoscere Kader; della
condizione umana delle persone che vengono in Italia da lontano.
Posso rassicurare Giancarlo Visitilli, non c’è nessun
complotto che lo vede vittima; c’è solo che noi umani abbiamo i sentimenti e le
emozioni che lui sta provando solo quando entriamo in contatto e riconosciamo l’altro,
lo vediamo. Ci rifletta Giancarlo Visitilli, perché anche a lui è successo
così. Allora non resta che cominciare a conoscerci, a frequentarci nel rispetto
reciproco e nel riconoscimento della legittimità reciproca in quanto tutti
siamo componenti dell’unica Società che è l’umanità intera.
Antonio Bruno Ferro
Commenti
Posta un commento