Mettere “essere cittadini” Alla voce cultura





Questi sono miei appunti, li ho presi presso i Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, e non li ho nemmeno scritti con una matita su un pezzo di carta, sono le tracce di ciò che è emerso oggi ascoltando Massimo Bray alla presentazione del suo libro "Alla voce cultura", che lui stesso ha definito come una raccolta di appunti del suo diario sospeso.
Il messaggio che è emerso è che la cultura e i nostri beni culturali “sono, appunto, nostri”, di tutti, perché rappresentano ciò che ci definisce e in cui ci riconosciamo e per questo motivo non possono appartenere solo ad alcuni.
Il neoliberismo economico e il mercato, per Massimo Bray, non sembra possano essere adatti per la gestione dei nostri beni culturali. E mentre fa questa affermazione, allo stesso tempo fa un appello ai politici, affinché scelgano persone competenti per la gestione di questi nostri “beni comuni”.
E voi mi direte: “Tutto qui?” ed io vi rispondo “Si! Tutto qui, perché? Vi sembra poco?”
Massimo Bray ha fatto l’esperienza di Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo nel Governo Letta, dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014.  Se scrive un libro per far sapere che lo Stato, secondo la sua opinione, deve gestire in prima persona i nostri beni culturali e che, per farlo bene, è sempre sua opinione, che i politici siano indispensabili al punto che, il successo o l’insuccesso della gestione, dipende dalla scelta delle persone a cui affideranno questo compito, è del tutto evidente che per lui queste due semplici indicazioni sono di straordinaria e vitale importanza.
Quanto scritto, secondo me, significa che in questa estrema sintesi progettuale, Massimo Bray ha individuato la “visione” di un futuro possibile e auspicabile della gestione dei beni comuni italiani per ottenere il nostro benessere di cittadini.
Ci ho riflettuto sopra e mi pare di osservare che tutti siamo coinvolti nel consumismo, nella realizzazione, nel successo e nella competizione e in tutte quelle ricerche e orientamenti che sono conseguenti a tutto ciò.
Non so voi, ma io quando sento parlare di crescita economica, mi vedo trattato come un consumatore e penso che così si sentano le nostre figlie ed i nostri figli.
E se i nostri figli si sentono consumatori, studiano per essere consumatori e ciò accadrà nel lavoro che sceglieranno e nelle relazioni con il Mondo commerciale
Ricordo che quando ero un ragazzo ho studiato per diventare un cittadino. Si! Un cittadino. Ancora oggi mi sento un cittadino che ha avuto dallo Stato la possibilità di accedere all’istruzione, e credo di essere un cittadino che ha avuto, sempre dallo Stato, la possibilità di fare la vita che faccio.
Massimo Bray è uno che crede di essere un cittadino. Soprattutto crede che, sentirsi una cittadina o un cittadino, sia nella nostra natura umana e che, tutta la formazione scolastica, debba essere finalizzata a trasformarci vicendevolmente in cittadini. Tutti, attraverso la nostra relazione con i giovani, avremo come conseguenza questa trasformazione.
Non è stato poco quello che ha detto oggi Massimo Bray, e quindi non ci resta che divenire ciò che siamo, non ci resta che essere cittadini italiani.

Antonio Bruno Ferro



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