IL DISAGIO DELLA COMPETIZIONE CI FA AMMALARE E MORIRE

 

IL DISAGIO DELLA COMPETIZIONE CI FA AMMALARE E MORIRE

La nostra cultura patriarcale della competizione pur di addestrare alla competizione contro gli altri, ammette ogni sorta di ammonimento! Già! Perché è questo ciò che la signora Emanuela Maccarani ha messo in atto nella relazione con la sua allieva Anna Basta. Anna Basta è l’ex ginnasta della Nazionale di ritmica, che insieme a Nina Corradini aveva denunciato in autunno gli abusi psicologici e le umiliazioni a Desio che ha detto "Era una sofferenza continua, non trovavo un senso"

Ecco cosa scrive Massimo Gramellini di ciò che accadeva:

Ogni mattina, dopo Colazione, Anna doveva mettersi in fila nuda dietro le compagne e sottoporsi al rito della bilancia e dei successivi commenti sul suo peso: «Il bambino che hai in pancia cresce, non ti vergogni?», «Culo pesante», «Prosciutto, alzati da terra».

Anna Basta, la ragazza sottoposta a queste parole riferite nell’articolo di Massimo Gramellini, non può non mantenere la propria organizzazione, ovvero le relazioni che connettono le diverse componenti del sistema, perché è ciò per cui è Anna Basta. Per mantenere la propria organizzazione, per restare Anna Basta, di fronte a delle perturbazioni giungono dalla sua educatrice la signora Emanuela Maccarani, è sicuramente andata incontro a dei cambiamenti, al punto che poteva cambiare la propria struttura, vale a dire ciò che nel momento in cui materialmente e individualmente costituisce la sua organizzazione che fa di lei Anna Basta, in altre parole apprende.

Il processo continuo di reciproche perturbazioni tra la signora Emanuela Maccarani ed Anna Basta ha dato luogo per un certo periodo ad un ACCOPPIAMENTO STRUTTURALE. Questo si è realizzato sino a quando le influenze reciproche hanno innescato ristrutturazioni che non sono giunte al punto di distruggere l’organizzazione del sistema. In queste reciproche interazioni, la struttura dell’ambiente non determina i cambiamenti nell’essere vivente, ma è l’essere vivente a determinare la forma, la direzione e la modalità del suo stesso cambiamento, imprescindibilmente dalla propria struttura.

Dunque l’ambiente innesca solamente i cambiamenti strutturali. Il senso del cambiamento è quello del mantenimento dell’identità dell’essere vivente.

Poiché la distinzione tra organismo e ambiente dipende dal dominio cognitivo dell’osservatore, questo discorso può valere per ogni organismo e quindi l’accoppiamento strutturale è la base per una co-evoluzione tra organismi.

Tutto ciò premesso si può giungere alla conclusione di tre ipotesi pedagogiche:

La prima nasce dal considerare che l’autoorganizzazione è generatrice di senso; la perturbazione in sé non porta alcun significato: innesca ma non determina il cambiamento strutturale; ciò equivale a dire, in contesto educativo, che il contenuto dell’apprendimento non sta nell’insegnamento, ma nell’esito del processo di modificazione dell’identità cognitiva del soggetto […], che esso è capace di mettere in moto, e la forma di questo processo dipende dalla storia del soggetto.

La seconda idea è che questo senso, ovvero la forma dell’apprendimento, appare nella descrizione di un osservatore niente affatto passivo; in campo educativo questo osservatore è un insegnante che modifica ‘strategicamente’ il proprio intervento in base alle informazioni che ricava dall’osservazione ma, se l’insegnante modifica il proprio comportamento significa che non è solo osservatore: è contemporaneamente attore, ovvero interagisce con i suoi allievi.

E allora ecco la terza idea: l’apprendimento dipende dal mantenimento dell’accoppiamento strutturale tra insegnante e allievi, la possibilità cioè di essere reciprocamente fonte di perturbazioni che innescano cambiamenti.

L’educatrice signora Emanuela Maccarani invece con la sua azione nei riguardi di Anna Basta ha innescato ristrutturazioni che potevano giungere al punto di distruggere l’organizzazione del sistema, nel caso il disagio che provocavano non fosse stato interrotto da parte della famiglia di Anna Basta e di Anna Basta stessa.

Nel caso di Anna Basta le perturbazioni si sono interrotte. Ma se non fosse accaduto potevano portare alla distruzione dell’organizzazione di Anna Basta che si sarebbe potuta ammalare e in caso di reiterazione delle perturbazioni, anche morire.

Ecco pensiamoci a quello che accade a tutti noi quando siamo in relazione con gli altri mettendo in atto reciproche perturbazioni. Pensiamoci perché se c’è disagio possiamo ammalarci e se il disagio diviene cronico possiamo morire.

La competizione genera sempre disagio, se questo disagio permane ci ammaliamo, se il disagio diventa cronico possiamo morire.

Buona riflessione

IL CAFFE’di Massimo Gramailini
Eccesso d'affetto
Ia giustizia sportiva tra di fatto assolto l’allenatrice delle «farfalle» di ginnastica ritmica Emanuela Maccarani dall'accusa di maltrattamenti, comminandole una semplice ammonizione.
Viene così affermato un principio controcorrente in ambienti competitivi come quelli dello sport agonistico, bullizzare e irridere i sottoposti, allo scopo di temprarne il carattere, è un comportamento di grande valore formativo. Lo stesso procuratore generale, che pure nel procedimento rappresentava l’accusa, ha sostenuto che la Maccarani «ha peccato per eccesso di affetto, (ma davvero esiste un affetto eccessivo?). L’allenatrice avrebbe potuto suggerire all'allieva Anna Basta di abbandonare la ginnastica ad alto livello. Invece, «come una seconda madre., Ma sferzata nell’amor proprio per suscitare una reazione d'orgoglio, non immaginando di crearle tanto disagio.
Ogni mattina, dopo Colazione, Anna doveva mettersi in fila nuda dietro le compagne e sottoporsi al rito della bilancia e dei successivi commenti sul suo peso: «Il bambino che hai in pancia cresce, non ti vergogni?», «Culo pesante», «Prosciutto, alzati da terra». Niente che il sergente «Full Metal jacket», non approverebbe, ma evidentemente un po' troppo per la sensibilità della ragazza. Molti credono che soltanto in questo modo si possa forgiare una personalità, però non siamo tutti uguali ed esiste un confine che neanche l’educatore più severo dovrebbe mai superare. Si chiama rispetto.

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