Il potere del comando o il piacere di fare le cose insieme?

 

Il potere del comando o il piacere di fare le cose insieme?

Mattia Feltri ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano “La Stampa” di oggi 9 settembre 2023 in cui descrive un modo di vivere che a me personalmente non piace. Cosa scrive Feltri?

Feltri descrive il flusso di ciò che accade in una squadra di calcio, o in una qualunque relazione sociale che è sempre e comunque sistemico, quindi non è un pensiero, non è una teoria, è un modo di vivere. A casa mia viviamo insieme io, mia moglie, mia figlia, la mamma di mia moglie e bianca che è la nostra barboncina toy. C’è anche bianca perché se un giorno bianca dovesse scomparire la mia casa cosa diventerebbe? Cambierebbe tutto. Noi tutti ci chiederemmo dove si potrebbe essere ficaccata bianca, e se prima dovevamo procurargli del cibo, ora non c’è più questo bisogno, non c’è più la barboncina. E la casa è diversa perché bianca non c'è più.

Mi trovo a riflettere su una perdita nella mia casa, sul perdere qualcosa che sembra semplice, la mia barboncina che vive con noi a casa mia, e in conseguenza di ciò devo prendere atto che se accadesse si trasformerebbe tutta la casa. Questa interconnessione con TUTTO IL RESTO sino a chi arriva? Sino a quale ELEMENTO LONTANO DA ME arriva?

Quanto sono interconnesse le persone nella vita sociale? Questa è una situazione sistemica. Questo è ciò che intendo quando dico che quello che ha descritto nel sua articolo Mattia Feltri, non è un pensiero, non è una teoria, ma è un modo di vivere, è una dinamica relazionale.

Ci sono molti modi di relazionarsi l'un l'altro.

Mattia Feltri ha descritto alcuni dei modi di relazionarsi che sono specificamente di autorità. In pratica c’è una gerarchia in cui uno è il capo, e quelli che sono a lui subordinati gli obbediscono. I subordinati sono subordinati ai desideri, agli ordini, alle aspirazioni dei capi. Il capo dice "Voglio una cosa del genere", e questo è un ordine. E il subordinato, senza domande, lo fa. Questo è un modo di relazionarsi.

L'altro modo è che molte persone si incontrano in un posto e si muovono indipendentemente l'una dall'altra, è questo un modo di relazionarsi, o meglio, di “non relazionarsi” al punto che questo modo non influenza gli altri.

E poi ci sono ancora altre forme, che sono quelle in cui persone diverse interagiscono tra loro, non in un rapporto di autorità e subordinazione, e nemmeno in una relazione di separazione completa, ma si relazionano tra di loro nel “fare le cose insieme”. In questo “fare insieme le cose” può emergere il piacere di farle insieme, e si osserva che questo piacere si conserva nel tempo, oppure si può innescare una deriva verso la subordinazione o la dispersione.

Quando si conserva il piacere di “fare le cose insieme”, stiamo facendo delle conversazioni. Le conservazioni si possono distinguere perché quello che si dice in queste conversazioni non è un requisito, una prescrizione per gli altri. È un invito, una riflessione per generare una produzione. Non si vive questo modo come “un ordine” o come indifferenza, poiché siccome viviamo la nostra relazione come partecipazione, “ognuno fa un modo” in cui “ciò che ciascuno fa” è coerente con ciò che gli altri fanno nell'autonomia, attraverso la comprensione di ciò che viene fatto insieme. Questo è ciò che intendo quando scrivo di collaborazione. Questo spazio avviene in una conversazione, in una co-ispirazione.

Per esempio, qui stiamo in uno spazio di co – ispirazione, in uno spazio di collaborazione, infatti tu stai leggendo quello che ho scritto, come risultato di una co-ispirazione.

Ad un certo punto hai il desiderio di leggere il mio scritto, e questo converge nel fatto che tu leggi. Non c'è alcuna relazione di autorità tra te e me, e non siamo nemmeno dispersi, ma stiamo facendo qualcosa insieme che è condividere quello che ho scritto, è una conversazione, e ha un carattere che dipenderà dalla natura di ciò che viene fatto. Ma ciò è associato al momento di essere qui, di voler essere qui, di fare cose che nascono da questa interazione che non è di autorità, e che non è di dispersione.

Io desidero una società che mi ascolta, che ascolta tutti e queste sono società responsabili, serie ed audaci. La parola nella conversazione è audace perché faccio un invito a passare dall’era della aggressività che è l'era della denuncia, del dire che siamo tutti cattivi, del gridare che qualcosa deve cambiare, e che ci ha fatto arrivare al cambiamento climatico che ha come conseguenza che le specie stanno morendodicevo di passare dall’era dell’aggressività all’era post moderna.

Siamo avanti come discorso, ma purtroppo non abbiamo fatto passi avanti perché siamo nello stesso posto. Entrare nell'era post-moderna significa passare all'era dell'azione, alla possibilità dell'Homo Sapiens-Amans eticus, la cui etica centrale è vivere ma non solo è anche l’era del vivere insieme. Per questo cambio di era, propongo la fine dell'era della leadership per entrare nell'era della collaborazione e della co-ispirazione.

Chissà che qualcuno che ha letto non abbia il mio stesso desiderio? Se si, si faccia vivo, possiamo realizzarlo insieme.

Buona riflessione

Calcio, musica, politica BUONGIORNO di MATTIA FELTRI
In un paese come il nostro non è stupefacente che l’Atalanta
sia diventata un’accademia della filosofia politica. Si
legge infatti un’intervista del terzino Joakim Mahele (ora
ai tedeschi del Wolfsburg) in cui l’allenatore Gian Piero
Gasperini è tratteggiato nelle fattezze di un tiranno, con
piena disponibilità sui giocatori, persino se dovessero pernottare
a casa o al centro sportivo. Non so se Gasperini sia
un frequentatore di Elias Canetti, ma subito torna alla
mente la sublime pagina in cui Canetti descrive nel direttore
d’orchestra l’immagine del potere più drammatico:
il direttore d’orchestra, come l’allenatore, esercita sugli
orchestrali potere di vita e di morte, decide che una tromba
tace e un violino suona, impartisce comandi indiscutibili.
Non è con l’orchestra, è al di fuori come un allenatore
è al di fuori del campo, guarda e dirige, piomba fulmineo
su chi infrange la legge, e la legge è lui. “Vittoria e sconfitta
– scrive Canetti – divengono le forme in cui si organizza
il suo bilancio psichico”. Vittoria e sconfitta risiedono nelle
sue scelte e nelle sue disposizioni: lui ne porterà la gloria
o la colpa. È un’allegoria della responsabilità. E non la
responsabilità di un dittatore, perché il potere del direttore
d’orchestra e dell’allenatore è temporaneo e sempre in
bilico. E non per niente poi arriva l’ex direttore sportivo
dell’Atalanta, Pier Paolo Marino e, per dirimere la contesa,
aggiunge: “Chi governa non può appoggiarsi sul consenso,
altrimenti significa che sta governando male”.
Non deve piacere ai governati, deve portare a casa il risultato.
Va bene: Gasperini premier e Marino vice.

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