"Il Muretto dei Grazie"
"Il Muretto dei Grazie"
E così Sara saliva, lieve come un soffio d’alba, sul muretto che apriva Via XXV Luglio. Ogni suo passo era un orizzonte che si srotolava sotto il vento di Viale De Petro, e le mie dita, ancore silenziose, la tenevano. Eravamo un filo teso tra il cielo e la terra: lei, che cercava l’alto, e io, che scivolavo dove la strada inclinava.
Eppure, non c’era conflitto, solo la sinfonia di un percorso condiviso. Arrivammo davanti a "Le Dolomiti", quel ristorante dove i profumi avevano memoria e il tempo pareva ripetersi in forma di pane caldo e risate soffuse. Accanto, l’edicola di Francesco — piccola arca di tesori che non sapevano d’essere preziosi — custodiva storie impresse su magliette e piccoli sogni da portare via.
Sara scese dal muretto, ma non perse mai il suo volo. Nei suoi occhi c’era una felicità che sapeva di libertà, di fiducia. E poi, come un dono d’improvviso, venne il suo “Grazie papà”. Non era una frase: era una melodia. Una carezza che il vento portò lontano, forse fino al cuore di quella via che sembrava guardarci.
Ci sono istanti che non hanno confini, che si intrecciano come fili invisibili tra ciò che siamo stati e ciò che stiamo diventando. Era questo il nostro momento: una danza di salite e discese, un dialogo che il mondo non poteva tradurre, ma che il cuore recitava a memoria. Io e lei, padre e figlia, un legame che camminava, scalava, respirava la semplicità del “insieme”. E nel riflesso di quel sorriso, ho capito che ogni muretto, ogni strada, ogni passo, ci portava solo lì: al miracolo dell’amore che basta.
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