L’ultimo mese

un fiume che riflette la luce di luna e stelle, valigie abbandonate su una banchina, e uno specchio sospeso che rivela le luci e ombre di una figura contemplativa, il tutto avvolto in un paesaggio invernale onirico.


L’ultimo mese

Dicembre, lo chiamano l’ultimo. Come se fosse un confine, un cancello, la chiusura di una stanza. Ma il tempo non chiude mai nulla, non ha serrature, non è un custode. È solo un fiume che scorre, e noi ci specchiamo nei suoi riflessi, senza fermarlo mai.

"È già finito l’anno", diciamo, come se ci avesse lasciati senza salutarci. Eppure, ogni istante era lì, nelle nostre mani, nei nostri occhi, nei passi che abbiamo dimenticato di contare. Non è il tempo a sfuggirci, siamo noi che, spesso, ci scappiamo via.

Dicembre è il mese dei bilanci, dei fogli pieni di crocette e di spazi vuoti, delle mete mancate e dei sogni che ci aspettano ancora, come valigie sul binario. È il mese delle speranze future, come se l’anno che verrà potesse portarci ciò che, a volte, ci siamo negati da soli.

Ma non è il tempo a farci nuovi, siamo noi, con ogni respiro. Il valore non è nei giorni, nei mesi o negli anni: è in ciò che accade ora, mentre vivi, mentre ami, mentre ti perdi e ti ritrovi. È nel tuo essere e nel tuo divenire, in quel continuo attraversare i tuoi stessi confini, scoprendo che non c’è mai un fine, ma solo un inizio che ti segue.

Dicembre è uno specchio. Ci mostra il peso e la leggerezza, la luce e l’ombra che siamo. Non per giudicarci, ma per invitarci a danzare con tutto questo. Perché la vita non è un bilancio, ma un processo: è ciò che lasci e ciò che tieni, ciò che sei e ciò che puoi diventare.

E così, mentre l’anno si sfuma come la scia di un profumo, chiediti non cosa hai perso, ma cosa hai amato. Non cosa hai concluso, ma cosa hai scelto di iniziare ancora.

E se senti il vento di dicembre sussurrarti all’orecchio, ascolta: non è l’ultimo, è solo il prossimo respiro.

 Antonio Bruno

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