La speranza e il rancore di Paul Krugman
Ho
analizzato lo scritto di Paul Krugman pubblicato da “La Repubblica” di oggi 12
dicembre 2024 dal punto di vista di Humberto Maturana, inquadrando i concetti
principali del pensiero di Maturana, che ruotano intorno all'idea di autopoiesi,
co-creazione della realtà, il ruolo del linguaggio nella costruzione sociale, e
l'importanza della riflessività e della consapevolezza emozionale per una vita
sociale sana.
Analisi punto per punto con la prospettiva di
Maturana:
- Ottimismo e il suo declino nel
tempo
- Krugman: Evidenzia un cambiamento
dalla speranza degli anni '90 al rancore dei decenni successivi, legato a
una perdita di fiducia nelle élite.
- Maturana: Probabilmente leggerebbe
questo passaggio come un esempio di come le dinamiche emozionali
collettive cambiano in funzione delle narrazioni sociali e politiche. La
fiducia è una coordinazione di emozioni costruita relazionalmente. Quando
le aspettative sociali sono tradite, si genera rancore come espressione
del dolore e del senso di tradimento. Per Maturana, il superamento
richiederebbe una riconnessione basata sulla trasparenza e sull'amore
come fondamento della coesistenza.
- La crisi di fiducia nelle élite
- Krugman: Sottolinea che eventi come
la guerra in Iraq e la crisi finanziaria del 2008 hanno eroso la
percezione dell'integrità e della competenza delle élite.
- Maturana: Potrebbe attribuire questa
perdita di fiducia alla disconnessione tra il linguaggio delle élite e le
esperienze vissute dalle persone comuni. Per Maturana, il linguaggio non
è solo un mezzo di comunicazione, ma uno strumento di costruzione della
realtà. Se il linguaggio delle élite non risuona con le emozioni e i
bisogni della popolazione, si rompe la coerenza del vivere insieme.
- Il ruolo del rancore dei
miliardari
- Krugman: Nota come alcuni miliardari
reagiscano con rabbia al cambiamento nella percezione pubblica nei loro
confronti.
- Maturana: Interpreterebbe questa
rabbia come una reazione alla perdita di uno spazio emotivo condiviso di
riconoscimento e ammirazione. Gli esseri umani, secondo Maturana, vivono
in reti di interazioni affettive; quando queste reti sono interrotte o
disallineate, emergono emozioni come il rancore o la rabbia.
- Disillusione verso la
tecnologia e le sue figure simboliche
- Krugman: Descrive il declino
dell'ammirazione per i miliardari tecnologici e i loro prodotti.
- Maturana: Potrebbe vedere questo come
un esempio di disconnessione tra i valori umani e le applicazioni
tecnologiche. Maturana insisterebbe sul fatto che la tecnologia deve
essere al servizio della vita umana e della coesione sociale, non un fine
a sé. Se non soddisfa il bisogno umano di connessione e rispetto, porta
al disincanto.
- La possibilità di un recupero
della fiducia
- Krugman: Conclude che, sebbene il
risentimento possa portare al potere leader inadeguati, le persone alla
lunga riconosceranno l'importanza della verità e della responsabilità.
- Maturana: Condividerebbe questa
visione, enfatizzando il ruolo del dialogo autentico e della
responsabilità condivisa nel ricostruire la fiducia. Tuttavia,
sottolineerebbe che questo richiede un cambio profondo nelle emozioni che
guidano il comportamento umano: dalla paura e dal rancore verso l'amore e
la cooperazione.
- Critica della kakistocrazia
- Krugman: Critica il governo dei
peggiori e auspica un ritorno a una leadership più responsabile.
- Maturana: Probabilmente ribadirebbe
che la qualità della leadership dipende dalla qualità delle relazioni
sociali e del linguaggio che le sottende. Un sistema basato sull'empatia
e sull'amore come modalità di interazione può prevenire l'emergere di una
kakistocrazia.
Sintesi del punto di vista di Maturana
Humberto
Maturana leggerebbe l'intero editoriale di Krugman come una testimonianza della
crisi sistemica di coerenza emozionale e narrativa nelle società contemporanee.
Dal suo punto di vista, la soluzione non sta semplicemente nel cambiare i
leader, ma nel coltivare una cultura basata sull'amore, sulla consapevolezza e
sul rispetto reciproco. La fiducia può essere ricostruita solo se c'è un
impegno collettivo a vivere in modo riflessivo e rispettoso delle dinamiche
emozionali che definiscono la nostra esistenza sociale.
Antonio
Bruno
La speranza e il rancore
di Paul Krugman
Questo è il mio ultimo editoriale per il New York Times il
giornale su cui ho iniziato a pubblicare le mie opinioni nel gennaio 2000.
Mi ritiro dal Times, non dal mondo, quindi continuerò a
esprimere le mie opinioni altrove. L’occasione però si presta a una riflessione
su cosa è cambiato negli ultimi 25 anni.
Quello che mi colpisce, guardandomi indietro, è la quantità
di ottimismo di tanti allora, sia qui che in gran parte del mondo occidentale,
e in che misura a quell’ottimismo siano subentrati rabbia e risentimento. E non
mi riferisco solo agli appartenenti alla classe lavoratrice che si sentono
traditi dalle élite; ora in America alcuni degli individui più arrabbiati —
destinati a esercitare influenza sull’entrante amministrazione Trump — sono i
miliardari che non si sentono sufficientemente ammirati.
È difficile rendere la sensazione di appagamento provata
dalla maggior parte degli americani nel 1999 e nei primi mesi del 2000. I
sondaggi mostravano un livello di soddisfazione per la direzione del Paese
surreale per gli standard odierni. La mia impressione sull’esito elettorale del
2000 è che molti dessero per scontate pace e prosperità e abbiano quindi votato
il tizio più simpatico.
Anche in Europa sembrava che le cose stessero andando bene.
L’introduzione dell’euro nel 1999 venne salutata come un passo verso una
maggiore integrazione politica oltre che economica — una sorta di Stati Uniti
d’Europa, se vogliamo. Certi americani, “brutti e cattivi”, avevano riserve, ma
all’inizio non erano ampiamente condivise. Naturalmente non era tutto rose e
fiori. Già allora erano presenti una buona dose di teorie cospirazioniste
proto-QAnon e persino episodi di terrorismo interno in America negli anni di
Clinton. Ci furono crisi finanziarie in Asia, che alcuni di noi videro come un
presagio. Nel 1999 pubblicai un libro intitolato Il ritorno dell’economia della
depressione sostenendo che cose simili potevano accadere anche da noi, ne
pubblicai un’edizione rivista un decennio dopo, quando si verificarono.
Eppure la gente era ottimista riguardo al futuro. Perché
questo ottimismo si è guastato? A mio parere c’è stato un crollo della fiducia
nelle élite: il pubblico non crede più che quelli al governo sappiano cosa fanno
o che si possa partire dal presupposto che siano onesti. Non è sempre stato
così. Nel 2002 e nel 2003 chi sosteneva che le ragioni per invadere l’Iraq
fossero truffaldine ha suscitato reazioni negative da parte di chi rifiutava di
credere che un presidente americano potesse fare una cosa del genere. Chi lo
direbbe oggi? In forma diversa la crisi finanziaria del 2008 ha minato la
fiducia sulla capacità dei governi di gestire l’economia. L’euro come valuta è sopravvissuto
alla crisi europea, culminata nel 2012 con la disoccupazione in alcuni Paesi a
livelli da Grande depressione, ma la fiducia negli eurocrati non si è
mantenuta.Non sono solo i governi ad aver perso la fiducia del pubblico.
Guardando indietro è sorprendente notare quanto le banche fossero ben viste
prima della crisi finanziaria. E non è passato molto tempo da quando i miliardari
tech erano ammirati da tutti, alcuni assurti a status di eroi popolari. Invece
ora, assieme ad alcuni loro prodotti, affrontano il disincanto e anche peggio;
l’Australia ha persino vietato l’uso dei social media ai minori di 16
anni.Questo mi riporta all’affermazione iniziale che alcune delle persone che
in America ora nutrono maggiore risentimento sembrano essere proprio i
miliardari arrabbiati.Lo abbiamo già visto in passato. Dopo la crisi
finanziaria del 2008, che è stata attribuita in parte alle manovre speculative
finanziarie, ci si sarebbe potuti aspettare che i cosiddetti “padroni
dell’universo” mostrassero un minimo di mortificazione, forse persino
gratitudine per il salvataggio economico operato nei loro confronti. A venirne
fuori invece è stata la “Obama rage”, la rabbia contro il presidente per aver
anche solo suggerito che Wall Street potesse essere in parte responsabile del
disastro.Oggi si discute molto della svolta a destra di alcuni miliardari tech,
da Elon Musk in giù. Io direi che non bisogna rimuginarci troppo e non cercare
di attribuirne la colpa ai progressisti politicamente corretti. Alla fine si
tratta solo della meschinità di plutocrati che un tempo si crogiolavano
nell’approvazione pubblica e ora scoprono che tutto il denaro del mondo non può
comprare l’amore.Esiste una via d’uscita dal luogo sinistro in cui ci troviamo?
Credo che sebbene il risentimento possa portare al potere persone sbagliate,
alla lunga non può mantenercele. A un certo punto il pubblico si renderà conto
che la maggior parte dei politici che attaccano le élite in realtà sono élite
sotto ogni profilo determinante e comincerà a ritenerli responsabili di non
essere riusciti a mantenere le promesse. E a quel punto il pubblico potrebbe
essere disposto ad ascoltare persone che non cercano di far leva sulla loro
autorità nell’argomentare, non fanno false promesse, ma cercano di dire la
verità nel miglior modo possibile.Forse non recupereremo mai il tipo di fiducia
nei nostri leader che avevamo un tempo — la convinzione che le persone al
potere dicano la verità e sappiano cosa stanno facendo. E nemmeno sarebbe
auspicabile. Ma se ci opponiamo alla kakistocrazia — il governo dei peggiori —
che sta emergendo ora, potremmo alla fine ritrovare la strada verso un mondo
migliore.Traduzione di Emilia Benghi© 2024 The New York Times Company
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