Natale nel folklore salentino Scritto da Francesco d'Elia e rielaborato nell’italiano corrente

 


Natale nel folklore salentino Scritto da Francesco d'Elia e rielaborato nell’italiano corrente

Natale nel folklore salentino è la festa principale per eccellenza, la celebrazione della famiglia, dell'intimità, dell'affetto e dell'oblio delle miserie quotidiane: le ire, i dolori, gli sdegni si placano o si interrompono o si assopiscono in quella notte. Perfino l'Ahasverus della leggenda, l'Ebreo errante, il falegname brusco di Gerusalemme condannato a peregrinare eternamente nel mondo, trova riposo una volta all'anno: la notte di Natale. Anche il Vascello Fantasma, che porta il coraggioso capitano olandese, l'Ebreo errante del mare, fa sosta una volta all'anno: a Natale.

La notte di Natale, parte integrante della festa principale del nostro folklore, occupa uno spazio significativo. La saggezza popolare afferma, ad esempio, che "Se vuoi avere un buon Natale, deve essere un Natale asciutto e una Pasqua umida", e non si sbaglia, poiché di solito le condizioni favorevoli per le campagne sono l'aridità dell'inverno e l'umidità della primavera.

Questo precetto demologico, basato sulla pratica quotidiana della vita, è antichissimo. In un canto rustico in versi saturnii, risalente a tempi molto remoti e conservato da Festo e Macrobio, si trova un avvertimento simile: "Con polvere invernale, fango primaverile, seminerai grano abbondante, Camillo". Virgilio, autore di molti proverbi popolari, specialmente legati alla vita rurale, ripete un simile precetto agricolo (Geor. 1, 101): "Chiamate, o agricoltori, estati umide e inverni sereni: il terreno sarà felice con una polvere invernale asciutta."

Una variante graziosa recita: "Per avere una massaia pomposa, deve essere un Natale asciutto e una Pasqua umida", dove "umida" si riferisce al rugiadar (muttura). Un altro proverbio che esprime lo stesso concetto è: "Natale sicuro, contadino ricco."

Prima di Natale, tra l'18 e il 28 del mese, si è già verificato il solstizio d'inverno, quindi in quel periodo i giorni iniziano lievemente a crescere. Il nostro popolo, consapevole di ciò, esprime il concetto dicendo: "A Natale i giorni sembrano più lunghi, come il passo di un uccello che si libra e si alza", il che significa che a Natale i giorni si sono già allungati abbastanza da essere percepiti, ma in modo appena sensibile, come indica il paragone del "dicterium."

Non menzionerò altre credenze astronomiche, poiché rientrano nel folklore di tutto il mese di dicembre, come ho trattato in un altro articolo; dirò solo che il popolo crede che da quell'epoca in poi la fame e il freddo si facciano acutamente sentire, poiché si entra nel cuore dell'inverno: "A Natale né freddo né fame: i bambini tremano davanti a Natale", un proverbio con numerose varianti, dove l'ultimo verso può anche essere: "I bambini tremano davanti a Natale sulle gambe", o anche: "Prima di Natale né freddo né fame; dopo Natale freddo e fame." Un altro vuole che la solennità di Natale, come quella di Pasqua che la segue immediatamente in importanza, si possa trascorrere ovunque, mentre negli ultimi giorni di Carnevale bisogna essere in famiglia: "A Pasqua e a Natale vai dove vuoi, gli ultimi giorni stai con la gente," vai dove vuoi oppure "vai con chi vuoi"; ma, a quanto pare, l'avvertimento dovrebbe essere il contrario.

Scherzoso è un altro detto, che potrebbe richiamare anche un'antica usanza: "A Pasqua e a Natale cambiano le stufe; a Pasqua Bejenia cambia il padrone di casa," ecc.

Un altro ha un sapore orientale e perpetua una tradizione affascinante: "A Natale ogni animale trova riparo," una credenza che non sembra di origine cristiana, ma piuttosto pagana, per ragioni che qui non è il caso di ricordare.

Anche da noi si accende il ceppo (asca o ceppone): deve ardere dalla Vigilia al giorno seguente, perché deve mantenere vivo il fuoco destinato a svegliare il Bambino per tutta la notte.

Una delle caratteristiche più tipiche è il Presepe, inventato da San Francesco d'Assisi, che sembra abbia conservato in queste regioni un carattere autenticamente artistico e geniale. Descriveremo i presepi un'altra volta; quindi, tralasciamo ciò che riguarda i pupi o pastori, la cerimonia per la nascita di Gesù, detta "mettere il Bambino," i colpi di gioia che accompagnano quella cerimonia, e tutto ciò che si fa la sera dell'Epifania, che commemora l'apparizione che il Bambino Gesù fece ai Magi. In quel momento, il Bambino viene rimosso dal Presepe, "si leva il Bambino," e si svolge una cerimonia quasi simile a quella della Vigilia, con gli stessi divertimenti; il giorno dopo, il Presepe viene smontato. È vero che non tutti compiono questa cerimonia di chiusura il 6 gennaio; di solito la fanno anche in una delle domeniche successive e, come termine ultimo, nella sera della Candelora, che cade il 2 febbraio.

Nel smontare il Presepe, si distribuisce a tutti i presenti il cosiddetto "benedetto," le frutta cioè, con cui alcuni soliti decorarlo: sono benedette da Gesù, da cui il loro nome.

Tra i tanti giochi che si praticano in quella notte insolita, c'è da notare quello rituale che i contadini fanno con i cuntrici o pallicci o aliossi, con i quali giocavano anche i fanciulli greci e romani in antichità.

La cucina, come in tutte le feste, occupa un posto importante nella solennità natalizia. La sera della Vigilia, i pasti rituali devono essere nove, in un'allusione facile da comprendere: rape, capponi, pesce in salsa, cimarro, biancomangiare, ostriche e frutti di mare, ecc. Un'ulteriore specialità locale sono le note fritture e i dolci: le pittule, i porceduzzi e le ncartedhate. Il termine "pittula" indica la frittella o la piccola pizza, un diminutivo di "pissani," parola che si riferisce alla forma di alcune varianti di questa frittura; "ncartedhate" significa incartellate ed è anche un riferimento alla forma ampia della pasta simile alle lasagne, increspata con un ferro speciale (sperone) come un seartoccio. Questi nomi non hanno un corrispondente in lingua, anche se ciò a cui si riferiscono è comune in quasi tutte le province d'Italia. Tuttavia, le ncartedhate possono essere ciò che in Toscana chiamano lasagne o strisce, e corrispondono anche ai cialdoni; le pittule sono simili a galletti o coccoli, mentre i porceduzzi sono una variante di sgonfietti.

Presso il Presepe, nella serata della cerimonia, si recitano sonetti in lode del Neonato. Il termine "sonettu" tra la nostra gente significa qualsiasi componimento in rima, di qualsiasi natura esso sia e soprattutto quelli legati a Natale. Molti di essi sono di origine popolare, ma spesso vengono appositamente composti; alcune poesie sono anche dialogate; altre, pur essendo chiamate sonetti, sono dialoghi in prosa, ma terminano sempre in versi, che vengono recitati alternativamente come nei componimenti poetici di Camoens, e contengono sempre una lode o una preghiera al Bambino.

In generale, tutte queste composizioni, anche se di origine letteraria, hanno un carattere assolutamente popolare ed umile e sono condite di umorismo: sono sempre recitate dai bambini e quindi contengono concetti abbastanza umili, leggeri e facili. I sonetti popolari più comuni elogiano Gesù, chiamato "nzuccaratu," bello Bambino, bianco e rosso come il miele, con la bocca china di mele, ecc. Spesso si fa menzione anche di Maria, piccola come una fata e una stella, e di San Giuseppe, l'occhiarello che osserva il Figlio con occhi affettuosi e con occhi esterni, stupito del miracolo.

Ma qui non è il luogo adatto per riportare e illustrare tali sonetti; né voi, lettrici, che ne avete sentiti tanti nella scorsa Vigilia, avrete forse voglia di sentirli ripetere... FRANCESCO D'ELIA

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