L’esperienza negli anni ’90 di Operatore di Pastorale Familiare nei corsi prematrimoniali.
Nel 1993 venni avvicinato da don Oronzo Margiotta perché voleva
che facessi parte del gruppo adulti di Azione Cattolica della Parrocchia
Matrice. Ci vedevamo nelle sale parrocchiali in Via Mazzini e in delle riunioni
seguivamo il sussidio dell’Azione Cattolica. Dopo la lettura del sussidio chi
voleva poteva intervenire e la riunione iniziava e finiva con una preghiera.
Don Oronzo a un certo punto mi chiese se volessi fare il
corso di Operatore di Pastorale familiare che era tenuto dal compianto don Vito
De Grisantis allora parroco della Parrocchia Santa Rosa e direttore dell’Ufficio
di pastorale familiare della diocesi che poi fu elevato a Vescovo di Ugento.
Feci quel corso alla fine del quale affiancai don Oronzo nei
corsi che si tenevano in parrocchia per la preparazione dei fidanzati al
matrimonio.
In pratica le coppie che avevano intenzione di sposarsi
dovevano seguire una serie di incontri di catechesi e di informazione
sociologica, antropologica e scientifica per ottenere poi di potersi sposare in
Chiesa con il rito religioso.
Seguii con interesse il corso tenuto da don Vito De
Grisantis anche se trovavo alcuni temi improponibili ai giovani degli anni ’90.
Specificamente mi riferisco al modo di affrontare il tema della procreazione e
della sessualità. C’è una grande ipocrisia su questi temi da parte dei
partecipanti ai corsi perché pochissimi, o forse nessuno, praticava la castità
che invece era richiesta dall’adesione al credo cattolico.
Ho incontrato decine di coppie dal 1995 al 2000, la maggior
parte delle quali metteva piede in una sala parrocchiale dopo decine di anni
dalla cresima e che, soprattutto, non faceva nessun cammino spirituale.
Venivano in quei corsi perché le mamme e i papà volevano vedere la sposa con l’abito
bianco e lo sposo elegante che fanno ingresso in Chiesa per giurarsi fedeltà
eterna davanti a Dio. Non c’è dubbio che la splendida cornice della Chiesa,
soprattutto se è di antica costruzione, assieme ai fiori, la musica d’organo e
i paramenti sacri dell’officiante rende suggestivo ed emozionante il giorno del
matrimonio.
Non ho ancora capito perché i privati non abbiano ideato una
scenografia e una vera e propria sceneggiatura in grado di sostituire le
suggestioni ambientali del rito cattolico. Voglio dire un vero e proprio rito
laico, con tanto di officiante che dia le stesse identiche suggestioni della
Chiesa ed eviti ai non praticanti, di doversi sottoporre alla forche caudine di
un corso prematrimoniale per poter ottenere le stesse emozioni.
Sicuramente la castità può essere la scelta consapevole
delle persone che hanno fatto esperienza dell’infinito amore di Dio e che
perciò stesso, hanno una evoluzione spirituale tale da permettergli una vita a
un nuovo e più alto livello ottenuto con l’ascesi.
Siccome però il Mondo è informato da due parole che iniziano
con la esse ovvero dai SOLDI e dal SESSO era pressoché impossibile avere un
confronto vero con i fidanzati in procinto di sposarsi sui temi della fede in
Dio e della sessualità.
L’altra difficoltà appunto arrivava nelle catechesi che
erano finalizzate a rinfrescare il catechismo che i fidanzati avevano
seguito decine di anni prima per poter ottenere il sacramento della Cresima. Le
obiezioni intorno ai temi della fede illustrati da don Oronzo e provenienti dai
fidanzati, erano tutte informate da un serpeggiante anticlericalismo che era, a
mio modesto parere, un grosso ostacolo che si frapponeva tra il prete che faceva
la catechesi e la Parola di Dio contenuta nella Bibbia tema dell’annuncio del
sacerdote.
Il prete che fa la catechesi , secondo me, non è neutrale poiché
la sua stessa vita e gli stereotipi sui preti, oramai consolidati nella cultura, influenzano i
fidanzati destinatari del messaggio. Voglio dire che l’influenza di quello che
la cultura ci fa pensare sui preti e la vita stessa del prete va al di là dei contenuti
specifici che il prete stesso veicola.
Per evitare questa difficoltà consigliai a don Oronzo e allo
stesso don Vito De Grisantis, che era il direttore diocesano dell’ufficio di
pastorale familiare, di turnare i preti nel senso di far fare il corso di San
Cesario ad un prete di Vernole oppure di Melendugno o di San Pietro Vernotico e
fare così in ogni parrocchia della diocesi. In questo modo sicuramente si
sarebbe evitato che le informazioni sul modo di condurre la vita del prete
influenzassero i fidanzati. Ma molto meglio sarebbe stato che tutto il corso,
ovvero catechesi, informazioni scientifiche, antropologiche e sociologiche
fossero state date da famiglie credenti missionarie itineranti. Ce ne sono
tante nella diocesi di Lecce e certamente farebbero del corso una testimonianza
viva di come Gesù in mezzo alla loro famiglia abbia evitato separazioni e divorzi
e di come i figli cresciuti in quella famiglia fossero davvero felici. Si
sarebbe così testimoniato un vero e proprio esempio di come ottenere la
felicità coniugale da imitare messo a disposizione delle coppie credenti.
Come può un prete che ha scelto di non avere moglie né figli
parlare a chi invece intende fare la scelta di mettere su una famiglia? Il
prete può certamente illustrare teorie, ma la scelta di Gesù non è una teoria,
chi sceglie Gesù converte la sua vita verso le vette della felicità. Io diffido
sempre di chi con una faccia truce e triste mi dice che ama Gesù. Chi è triste
è perché gli manca qualcosa. A chi ha Gesù, invece, non manca nulla ed è felice!
Se siete arrivati a leggere sin qui avrete anche capito del perché
nel 2000 abbandonai la collaborazione con Don Oronzo e smisi di fare per sempre
l’Operatore di Pastorale familiare.
Mi serviva seguire Gesù e avrei trovato chi mi avrebbe
aiutato a farlo. Ma questa è un’altra storia.
Antonio Bruno
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