21 agosto Distilleria De Giorgi Mino De Santis presenta il suo nuovo album
L’abbiamo conosciuto così, teatralmente seduto al centro su
di un palco illuminato da luci soffuse, un’armonica al collo, un leggio, un
microfono, intento ad accordare la propria chitarra; pochi istanti dopo, la
musica di Mino De Santis aveva contagiato il composto pubblico. [………..] Con noi coglie l’occasione per rafforzare
l’antico e vero significato della cultura popolare salentina, che non è fatto
di lustrini, grandi eventi e quant’altro, ma di lavoro, fatica e ideali.
(Estratto dall'intervista a cura di Giuseppe Arnesano)
Testimone di usi e tradizioni del meridione e del Salento,
di storie di vita tra il triste ed il comico, senza perdere mai l’ironia e la
musicalità tipica dei cantautori italiani come De Andrè o Stefano Rosso, è
questo Mino De Santis.
[……...] E allora pare di sentire un po’ di Gaber, De Andrè,
Bressaine, quei cantanti-poeti che hanno influenzato la formazione musicale di
Mino De Santis.
di Lupo Editore
E' grazie al Club Tenco, che da un paio d'anni mi chiama a
fare da giurato al suo prestigioso premio, che settembre è diventato un mese di
ascolti forsennati ed appaganti scoperte. Tra queste si erge senza dubbio [……..]
Mino De Santis. Mino è una sorta di De André del meridione: timbro, rigore
metrico e la varia umanità che affolla queste storie infatti rimandano proprio
alle prime canzoni scritte dal cantautore genovese. Mino, con questi brani,
supera agevolmente tutti i luoghi comuni che affliggono la musica salentina
dell'ultimo decennio. Inoltre, cosa non da poco, non aspettatevi un disco
povero di sonorità: Si fa uso di fiati a profusione che spesso tendono al
bandistico e, in generale, gli arrangiamenti, pur semplici, sono parecchio
azzeccati.
di aciditàfatidica
Un nuovo cd, il secondo, per Mino De Santis, il cantautore
protagonista di uno degli esordi più interessanti degli ultimi anni, sulla scia
delle ballate impegnate di Fabrizio De André e con un’ironia lacerante, degna
del migliore Rino Gaetano. Sembra passato molto più tempo, in realtà soltanto
un anno, da quando l’estate scorsa venne infuocata dagli accordi e dalla voce
di Mino De Santis, autore del suo esordio intitolato “Scarcagnizzu”, il suo
brano “Tutto è cultura”, in un tam tam partito sul web grazie a un
divertentissimo video, fu capace di toccare, in modo davvero popolare e
‘trasversale’ tuttele corde di chi si occupa, nel bene o nel male, di cultura
in Salento, e non solo: riferimenti colti si mescolano a note popolari, e
l’attenzione ai testi e alla musica è mediata da un’altrettale attenzione verso
il messaggio; le atmosfere evocate ricordano, ad esempio, quelle del famoso
“Noi semo quella razza”, inno a chi lavora, che Carlo Monni (alias “Bozzone”)
cantava nel film di Giuseppe Bertolucci, “Berlinguer ti voglio bene”, seduto
sulla canna della bicicletta di un giovanissimo Roberto Benigni.
di Stefano Donno
San Simone è un bel posto. Nel cuore messapico del basso
salento a due passi di Sannicola (di cui è frazione) e tre da Alezio, uno sputo
da Tuglie.
San Simone ha un rilievo con un grande spazio: Oasi dei
Francescani si chiama. Luogo dal profumo vintage e dall'aura di pace.
San Simone è li, in un fazzoletto di terra la contraddizione
umana plasticamente rappresentata: Oasi di pace con un cannone a far bella
mostra, vintage con affianco un tetto solarizzato. Declinazione straordinaria
della velocità della storia quando si muove su piccoli spazi.
San Simone e l'Oasi francescana che ospita uno spettacolo
culturale: Mino De Santis presenta (finalmente) il suo primo CD e, dopo, la
cultura: mieru e pezzetti te cavallu!!!
Accostamenti ardui nello spazio e nel tempo, forse anche
raffazzonati e stridenti, ma sempre accostamenti.
Un palco scarno con tre sedie e il groviglio di fili
d'ordinanza, una approssimata amplificazione e luci rosso-verdi che proiettano
sul suolo e sui muri strane ombre da anaglifo …
La platea in una cornice d'altri tempi, popolata da sedie di
plastica, metà rosse e metà bianche, s'anima e in breve tempo non c'è più un
posto che non sia occupato da culo umano, si occupano anche gli spazi per
accovacciarsi sui mattoni o sporgenze di fortuna.
Piero prende il microfono e avvisa che “lo spettacolo va ad
incominciare ...” salgono sul palco i musicisti non prima di una breve
introduzione di un personaggio illustre di Tuglie, dell'assessore di Sannicola
e dei ringraziamenti di Mino De Santis con il viso bianco come un cencio e
l'emozione che gli spegne la voce.
Salgono sul palco il suonatore di mandola, il sassofonista e
Mino con la sua chitarra. Si comincia ragazzi. Il ritmo della ballata dalla
chitarra viene accompagnato da improvvisazioni degli altri due strumentisti e
la voce di Mino si scioglie raccontando di un cavallo “malacarne”.
Le canzoni si susseguono, si snocciolano una ad una
lanciando secchiate di emozioni su un pubblico di varissima umanità, attento ai
testi, denso e partecipe, che quasi respira a ritmo coerente con l'ironia
sottile dei testi e le musiche contaminate che fanno da contrappunto.
Mino non è giovanissimo e non sarò qui a tesserne le lodi.
Mino ha scritto una pagina di canzone popolare vera, del popolo del Salento …
lento … lento ...lento che si libera (era ora) dalla pur splendida prigionia
del tamburello, dell'organetto e del violino e approda ad un linguaggio
nuovo, fatto di dialetto e di italiano
colto al volo, masticato, rimasticato e sputato fuori in una nuova forma di
colostro, vero alimento con il quale crescere i piccoli.
Musica accattivante, di uno che sa suonare la chitarra, la
lascia nei suoi accordi semplici, quasi ondeggianti come un materassino
gonfiabile sulla bonaccia, e poi inserisce citazioni coltissime, di Faber
certo, ma anche di swing e di country, e i due comprimari silenti e presenti,
in punta di piedi accendono lampi di luce sui quadri che la chitarra e la voce
dipingono in diretta. Son bravi, è certo.
Era tanto tempo che con assistevo ad un parto, ne avevo
perduto il pathos, le urla di dolore, l'emozione per il primo vagito e la
violenza necessaria del primo taglio: il cordone ombelicale che ha legato Mino
alle sere tra amici è reciso, tagliato per sempre.
Quando uno riesce a cantare l'anima di un popolo, di una
generazione, di una terra, anche suo malgrado, diventa bene collettivo.
Soprattutto se è “bonacciu”. Ne riparleremo presto de lu Scarcagnizzu!!!!
di Pino de Luca
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