Autopoiesi
Il concetto di autopoiesi (dal greco “auto” (sé) e “poiesis”
(creazione)), elaborato da Maturana, venne utilizzato per indicare che la
caratteristica fondamentale dei sistemi viventi è una struttura organizzata al
fine di mantenere e rigenerare nel tempo la propria unità e la propria
autonomia rispetto alle variazioni dell’ambiente, tramite propri processi
costituenti che contribuiscono alla ri-generazione e al mantenimento del sistema.
Gli esseri viventi sono considerati sistemi
(operazionalmente) chiusi, ossia reti circolari di produzione di componenti,
che sono processi prodotti attraverso le loro interazioni con la stessa rete
che li ha prodotti e che specifica i loro limiti, mantenendo al contempo aperto
e regolato lo scambio di materia e di energia con l’esterno. Così gli esseri
viventi sono un particolare tipo di macchine (auto-poietiche), che si
distinguono da altre (etero-poietiche) per la loro capacità non tanto di
autoregolazione, quanto di autoproduzione dei componenti che le specifica, e i
componenti non sono parti(oggetti o elementi fisici),ma PROCESSI.
Da questa definizione di “essere vivente”, si estrinseca il
concetto più ampio di “cognizione”. La cognizione è il PROCESSO del vivere. A
questo punto si crea un cortocircuito inevitabile tra teoria della conoscenza,
teoria della scienza (epistemologia), e la scienza biologica stessa. Tanto che
M. arriverà a parlare di “Biologia della conoscenza”.
La sfida è rivelare le basi del processo di apprendimento
umano da una prospettiva biologica. La risposta viene dalla cibernetica del
secondo ordine (in cui un sistema è considerato non in sé stesso, ma come
facente parte di un sistema di ordine SUPERIORE), cioè la scienza che si occupa
dello studio delle relazioni dell’organizzazione che devono mantenere i
componenti di un sistema, per esistere autonomamente entro un sistema SUPERIORE
in cui l’OSSERVATORE è un elemento costitutivo: ”decisi – scrive Maturana – di
prendere in considerazione quali procedimenti dovevano avvenire entro
l’organismo durante la cognizione, considerando in questo modo la stessa
cognizione come un fenomeno biologico”.
Nello stesso lavoro comincia a sviluppare le implicazioni
che questo approccio comporta nei fenomeni sociali, nella coscienza e nella
lingua.
Come detto, il risultato di tutte queste idee si condensa in
una conclusione affatto innovativa, per cui vita e cognizione sono la stessa
cosa: Vivere è conoscere.
Evoluzione per deriva naturale:
La varietà dei viventi e la loro storia filetica è
semplicemente la conseguenza deterministica del processo autopoietico, quindi
dell’accoppiamento strutturale che esso comporta, e quindi dell’intersezione di
più autopoiesi. Maturana (e Varela) reinterpretano quindi non solo il concetto
di Evoluzione, ma anche il concetto di “filogenesi”.
La teoria autopoietica produce ricadute anche nell’ambito
gnoseologico, ovvero nella teoria della conoscenza. Inizialmente produce
evidenza sperimentale che corrobora l’idea secondo cui la realtà è una
costruzione consensuale della comunità o contesto in cui il soggetto agisce
(attraverso le sperimentazioni sulla fisiologia della visione). La nozione di
“oggettività”, a questo punto, deve essere sostituita da quella di “oggettività
tra parentesi”, e quella di “oggettivismo” con quella di “costruttivismo”.
Alcuni critici tentano di ridurre il costruttivismo a una forma sofisticata di
relativismo soggettivo (la realtà dipende dall’osservatore), o idealismo di
sorta (la realtà è una costruzione in qualche modo arbitraria). In realtà il
costruttivismo di Maturana non ha nulla a che vedere con nessun idealismo o
relativismo precedenti. Non si tratta di una confutazione dell’oggettività
della conoscenza umana. Al contrario si tratta di inquadrare l’oggettività nel
suo contesto di origine, sottraendola alla vecchia metafisica oggettivista. Il
contesto d’origine non è nient’altro che l’origine della conoscenza, dunque
l’accoppiamento strutturale (structural coupling) del vivente, una nozione
decisiva nella teoria autopoietica. Poiché la conoscenza è il vivente stesso,
l’oggettività non è che il particolare modo di vivere dell’essere umano in
quanto entità biologica. Da questo ricomprensione della relazione tra scienza e
conoscenza, M. riclassifica anche le sue ricerche, col nome di “epistemologia
sperimentale”. Essa si condensa nella tesi per cui la realtà è un’esperienza
dell’osservatore che spiega – per così dire – a sé stesso l’esperienza del “sé
stesso” da quella del “non sé stesso”: ”Il sé nasce linguisticamente nella
ricorsività linguistica che costruisce l’osservatore come entità spiegandone il
funzionamento entro un dominio di distinzioni consensuali. L’autocoscienza
nasce linguistamente nella ricorsività linguistica che costruisce la distinzione
del sé come entità quando spiega il funzionamento dell’osservatore che, in un
dominio consensuale di distinzioni, distingue il se da altre entità. Dunque la
realtà sorge insieme con l’autocoscienza linguisticamente come spiegazione
della distinzione tra sé e non-sé nella prassi dell’osservatore. Il sé,
l’autocoscienza e la realtà esistono nel linguaggio come spiegazione
dell’esperienza immediata dell’osservatore.”
Le sue tesi hanno costretto la comunità scientifica a un
ripensamento della vecchia idea: la scienza non ha bisogno del presupposto di
una realtà oggettiva (ciò che egli chiama ontologia dell’osservatore). Tutto
ciò che è detto è detto da un osservatore ad un altro che può essere lo stesso.
Commenti
Posta un commento