Non c’è posto per loro: la vergogna salutare
Cara amico, cara amica,
d’istinto ho provato una grande speranza quando ho letto
Famiglia Cristiana del 16 dicembre 2018 per quell’articolo che racconta la
storia di Abdellah Yousef, 28enne del Ghana, di sua moglie Faith, 19enne
nigeriana, incinta di tre mesi, e della loro bimba di sei mesi appena, Salima.
In pratica è accaduto che, una volta che sono stati cacciati dal centro di
accoglienza di Crotone in cui non c’era posto per loro, non avevano un posto in
cui stare. Il fatto è che loro sono un uomo, una donna e una bambina e un’altra
in arrivo, e sono quanto di più bello ci sia al Mondo, il futuro già qui, ora.
In fondo al cuore ho sperato anche in un sentimento che
provai quando riflettei su quello che feci tanti anni fa quel giorno che
telefonai a un datore di lavoro che mi era stato presentato da un mio amico di
allora con l’intento di prendere il suo posto. Dopo la telefonata, riposta la
cornetta sull’apparecchio, ci riflettei e provai vergogna per quello che avevo
fatto. Chiamai immediatamente quel mio amico raccontandogli tutto, chiedendogli
scusa per essermi fatto travolgere dall’invidia e dalla competizione sfrenata
che tutto travolge perché è disumana. Si! Provai una grande vergona e, da
allora, non l’ho mai più fatto.
Quindi quella vergogna fu la benvenuta perché mi tolse da
quel comportamento in maniera definitiva. In cuor mio, spero che tutti quelli
che guarderanno la foto di queste persone, i loro sorrisi, la piccola Salima e
il pancione della bella Faith provino vergogna, perché hanno pensato che qui,
nella penisola che si immerge nel grande lago salato, terra che è stata
percorsa in lungo e largo da tutti i popoli della Terra, non ci sia posto per
loro e per i tantissimi come loro.
Sono andato a vedere il significato esatto della parola
“VERGOGNA” e l’ho trovato consono, adatto e veramente congruente rispetto a ciò
che provai io quando tradii quel mio amico d’allora. Ebbene vergogna è il
profondo e amaro turbamento interiore che ci assale quando ci rendiamo conto di
aver agito o parlato in maniera riprovevole o disonorevole, anche con
riferimento alle manifestazioni esteriori, specialmente il rossore, causate da
tale turbamento.
Già! Arrossire di vergogna è quanto di più bello possa
accadere, è quanto di più bello mi sia mai accaduto. Ecco, io spero in cuor mio
che ogni donna, bambina, bambino e uomo che abbia sincerante pensato, in buona
fede, che nella nostra amata terra, la bell’Italia, non ci fosse posto per
questa famiglia, ecco io ripeto, spero in cuor mio che, dopo che lo sguardo di
queste persone, si poserà su Abdellah Yousef sua moglie Faith e la loro bimba
di sei mesi Salima ARROSSISCANO DI VERGOGNA.
Lo spero con tutto il cuore perché dopo, che tanti anni fa i
nostri connazionali hanno provato la gioia dell’accoglienza dei popoli che
hanno ospitato i papà e le mamme italiane emigrati in Svizzera, Francia,
Germania, Argentina; Stati Uniti, Canada, oggi noi non possiamo respingere papà
e mamme che sono in Italia e non possiamo respingere i tanti papà e mamme che
desiderano venire a stare con noi. Quelli li, quelle donne e uomini di cui ho
scritto erano i genitori dei bambini che nel 1963 erano nella mia classe
elementare del paesino in cui vivo che è a Sud Est e che ha lo sguardo rivolto
al vicino Oriente e ai rivali del grande lago salato. Siamo proprio al centro
di quel Mediterraneo che tante volte è stato raccontato a scuola, a casa, in tv.
Non è solo questione di regole, è anche questione di forma:
perché la forma nello spazio delle relazioni umane è sostanza. Un sorriso, una
stretta di mano, condividere il cibo e il riparo è umano. Ciò che è diverso da
questo è altra cosa che non so definire.
Io ho avuto una conversazione con te amico mio, perché tutto
ciò che è realtà; esiste solo nelle conversazioni altrimenti non esiste.
E voglio concludere con le parole di un uomo di 90 anni, con
cui ho il piacere di conversare ogni giorno, da qualche mese a questa parte.
Converso con lui leggendo le sue parole, come queste che seguono:
“Non è una cosa astratta. Parlare è un modo particolare di
vivere insieme in coordinazione comportamentale (del fare e del muoversi). Ecco
perché conversare è un costruttore di realtà. Operando nel linguaggio cambia la
nostra fisiologia. Ecco perché possiamo ferire o accarezzare con le parole. In
questo spazio relazionale si può vivere in emergenza o in armonia con gli
altri. Oppure si vive nel benessere estetico di una coesistenza armoniosa, o
nella sofferenza della continua richiesta di negazione.” Humberto Maturana
Romesin. PhD.
Io ho deciso di conservare il benessere estetico di una
coesistenza armoniosa.
Un abbraccio amica mia, amico mio a presto
Antonio Bruno Ferro
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