«Tutto il nostro vivere come esseri umani è in quanto tale politico, perché genera mondi, e i mondi che generiamo con il nostro vivere e convivere nascono dalle emozioni»
«Tutto il nostro vivere come esseri umani è in quanto tale
politico, perché genera mondi, e i mondi che generiamo con il nostro vivere e
convivere nascono dalle emozioni» (p. 9). Secondo Humberto Maturana, biologo e
filosofo cileno, e Ximena Dávila, che con lui collabora all’Istituto
Matríztico, (un’organizzazione che opera per facilitare la discussione e la
comprensione della vita e dell’umano, attivo in ambito manageriale, pedagogico,
artistico e scientifico), ciò che ci rende uomini, dunque capaci di costruire
una comunità civile e politica, un orizzonte culturale e un universo simbolico
e linguistico, è quel substrato emotivo su cui si basa ogni nostra azione.
Politica, etica, paideia e logos: ogni espressione dell’umanità trae origine
dalle emozioni. Non importa quanto l’Homo sapiens si sia evoluto e quanto abbia
impiegato per imparare a dominare i propri impulsi, l’origine della sua umanità
è proprio lì, in ciò che più lo lega alla natura e agli altri uomini: quella
forza interiore che si sprigiona con il riso, il pianto, la paura, la collera.
Il coinvolgimento emotivo infatti è indispensabile per produrre trasformazioni
significative dell’esistenza, ogni cambiamento radicale delle società parte
sempre dal mutato sentire comune, da un nuovo modo di relazionarsi alla realtà
e di percepirla.Nato da due conferenze tenute nel 1988 da Maturana al Centro de
Estudios del Desarrollo di Santiago del Cile, Emozioni e linguaggio in
educazione e politica ci offre interessanti spunti di riflessione usando un
linguaggio semplice e affrontando argomenti che ci riguardano in prima persona,
primo tra tutti quello dell’educazione dei giovani. Nel mondo in cui viviamo
educare i ragazzi è un compito di grande responsabilità e difficoltà, perché
essi hanno l’impressione che tutto ciò che imparano dagli adulti a poco serva
nella vita reale, dove le cose si conquistano con la forza e con l’astuzia. I
valori costitutivi dell’humanitas, insieme alle grandi ideologie politiche, non
hanno più lo stesso significato che avevano un tempo. Pur accettandone la
logica e comprendendone la necessità razionale, i ragazzi continuano ad
avvertire il vuoto semantico di parole come rispetto, impegno, merito,
responsabilità, giustizia. Tutto nel loro mondo si muove secondo il ritmo della
tecnologia e le regole della competizione. Non esiste una competizione sana
secondo Maturana, perché la vittoria di uno nasce sempre dalla sconfitta di un
altro, l’affermazione di uno nasce sempre dalla negazione dell’altro. Nietzsche
rovescerebbe questo assunto parlandoci di morale aristocratica, ma ciò che
rimane vero e indubitabile a prescindere dal punto di vista in cui ci
collochiamo, è che la nostra società dimostra di essere incapace di costruire
la dialettica e il confronto (politico innanzitutto) fondandoli sul reciproco
rispetto delle parti. Quello che Maturana denuncia è un problema di natura
culturale: gli uomini stanno smarrendo il senso stesso dell’educazione e
sembrano aver dimenticato che «il compito più importante per l’integrità di una
comunità umana o di un’unità sociale è la formazione dei suoi componenti da
parte dei membri già esistenti» (p. 7). La deriva della paideia, che lo
studioso chiama «cecità», conduce inevitabilmente al degrado, alla devianza e
all’emarginazione. Questo accade perché è sempre più difficile far entrare i
giovani nel mondo degli adulti, creare uno spazio di condivisione su cui
fondare relazioni tese alla costruzione di un benessere comune. Eppure, è
proprio questo che ci rende esseri umani: tramandare di generazione in
generazione i codici, i simboli, i valori su cui si fonda la nostra convivenza.
Memoria ed educazione dei giovani custodiscono il passato e costruiscono
l’avvenire. Un ciclo costante che si ripete da sempre e da sempre ci
caratterizza e distingue come uomini: «L’umano sorse, nella storia evolutiva
che ci ha dato origine, quando i nostri antenati cominciarono a trasmettere
come aspetto del convivere quotidiano, attraverso l’inserimento dei giovani nel
fluire della convivenza degli adulti, l’espansione della convivenza amorosa nella
cooperazione, nella condivisione del cibo, nel gioco e nelle carezze» (p.
8).Ebbene, proprio nella dimensione della condivisione nasce il linguaggio,
intrecciato con le emozioni della convivenza e con la dinamica di coordinazioni
ricorsive di atti che noi oggi chiamiamo conversare. «Parlare-conversare devono
essere nati insieme come un modo di convivere che integra giovani e adulti, in
uno stato di benessere, nella coordinazione degli atti di tale convivenza, nel
piacere della condivisione e della partecipazione» (ibid.). Il linguaggio si
configura come una coordinazioni di azioni consensuali, ossia di azioni nate in
uno spazio di reciproca accettazione. Convivendo, gli uomini intrecciano nodi
di relazioni ed esprimono questa coordinazione di azioni tramite il linguaggio.
Il linguaggio esprime la nostra umanità nella misura in cui riflette la
dimensione relazionale della vita umana. Se consideriamo il linguaggio solo
come un sistema di comunicazione simbolica ne riduciamo il valore e
l’importanza, perché la funzione del linguaggio deve essere rintracciata
muovendo da un presupposto biologico, non teoretico. La parola è usata
dall’uomo non solo per rivelare i pensieri, ma anche per riflettere il corso
del fare, dell’agire, del cooperare. Il linguaggio inteso come coordinazione di
azioni tra loro coordinate, non è l’astratta rappresentazione di una realtà
indipendente dal nostro fare. Esso fonda e costituisce lo spazio di
condivisione e comunicazione (inteso come mettere in comune) che rende il
nostro mondo un mondo umano. Le parole agiscono. «È per questo che le parole
non sono innocue e non è la stessa cosa se ne usiamo una o un’altra in una
situazione determinata» (p. 108).Ogni progetto educativo, secondo gli autori,
deve tenere conto di questo potere del linguaggio. Potere che nasce dal
fondamento emotivo sotteso a ogni azione umana. Tutti i nostri atti sono
determinati dalle emozioni e ogni sistema razionale ha un fondamento
emozionale, ossia si costituisce nell’operare con premesse accettate a priori a
partire da un’emozione. Considerando le azioni da un punto di vista biologico,
esse sono disposizioni corporee dinamiche che definiscono i differenti ambiti
di azione all’interno dei quali ci muoviamo. Quando cambiamo emozione, cambiamo
ambito di azione. Per questo motivo il linguaggio, strumento dell’educazione e
della politica, deve riappropriarsi di un sentire comunemente condiviso.
Bisogna ricostruire quella comunità di intenti, quel sentimento di condivisione
e di appartenenza che spinge gli uomini a lavorare insieme per realizzare un
progetto di pubblica utilità. L’educazione dei giovani, ad esempio, deve avere
uno scopo ben preciso. Perché vogliamo educare? Rispondere a questa domanda
significa avere ben chiaro in che tipo di Paese vogliamo vivere, cosa ci
aspettiamo dal nostro governo e come abbiamo intenzione di condurre la società
civile. Se questo progetto non c’è, non si può costruire solo con il
ragionamento, ma con l’edificazione di un fondamento emozionale comune, una
rete di affetti e sentimenti condivisi. Un discorso razionale infatti, convince
solo chi è già convinto, ossia chi condivide le premesse logiche che ne sono
alla base e quindi il fondamento emozionale che le sorregge. Il problema è
proprio lì. Quando due individui non sono d’accordo su una determinata tesi non
è perché ragionano secondo schemi logici differenti, ma perché alla base del
loro ragionamento ci sono due diversi fondamenti emozionali.Maturana ci dice
che da giovane si iscrisse alla facoltà di Medicina perché voleva restituire al
suo Paese ciò che dal Paese aveva ricevuto. Era cresciuto in uno spazio di
cooperazione, di relazioni umane, di sentimenti condivisi che lo avevano spinto
a desiderare di rendersi utile alla società. Proprio in questo consiste il fine
dell’educazione. Far sentire ai ragazzi che sono tutti protagonisti di un
comune cammino di crescita. Educare al rispetto delle emozioni, proprie e
altrui, a saper riconoscerle e accettarle, è il primo passo verso una nuova
dimensione umano-relazionale. Dove non c’è competizione, ma rispetto e
accettazione, di se stessi e degli altri, dove le parole hanno riconquistato il
loro potere di agire sulla realtà e di esprimerla, dove la politica diventa
espressione di valori e sentimenti condivisi e concretamente vissuti.
Maria Teresa Speranza
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