Riformiamo i partiti abbandonando la nostra cultura patriarcale
Riformiamo i partiti abbandonando la nostra cultura patriarcale
PIERO IGNAZI, professore ordinario di Politica comparata all’Università di Bologna, ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano DOMANI oggi 29 giugno 2023.
La tesi del Prof. Ignazi è contenuta nelle conclusioni a cui giunge nel suo scritto che potete leggere qui di seguito:
“Elly Schlein ha finalmente operato una scelta chiara, in direzione di una moderna socialdemocrazia. Deve però ancora mettere a punto gli strumenti, vale a dire riformare radicalmente un partito costruito su schemi superati. E per questo c'è bisogno delle migliori energie, non dei fedeli.”
Quindi secondo il Prof. Ignazi, è necessario riformare il partito e tale esigenza è necessaria ed urgente anche secondo la mia opinione. Preciso che non mi riferisco solo al Partito Democratico, perché tale necessità ed urgenza è estensibile a tutti i partiti che candidano i loro iscritti e simpatizzanti alle elezioni per ottenere la responsabilità della redistribuzione della ricchezza attraverso il governo del paese e degli Enti locali.
Tale evidenza è riscontrabile da un dato inconfutabile, ovvero che anche per il Molise, si è verificato che LA MAGGIORANZA ASSOLUTA DEGLI ELETTORI AVENTI DIRITTO AL VOTO NON È ANDATA A VOTARE.
L’affluenza definitiva delle elezioni regionali del Molise è stata del 47,94%. Un dato che ha segnato un calo di oltre 4 punti percentuali rispetto a 5 anni fa, quando alle urne si recò il 52,16% degli aventi diritto.
Quindi come non essere d’accordo con il Prof. Ignazi?
La questione è un’altra e ahimè, devo prendere atto che il Prof. Ignazi non l’ha trattata, ma non posso escludere che, dopo il mio intervento in cui esporrò il mio punto di vista, anche il Prof. Ignazi esporrà il suo, in modo tale da poter avere la risposta alla domanda delle domande che è la seguente:
Come riformare i partiti affinché si attui l’Articolo 49 della nostra costituzione? Ricordo a me stesso che tale articolo è il seguente:
“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
In estrema sintesi la domanda è: come ottenere che tutti i cittadini, o comunque chiunque di noi lo desideri, concorra CON METODO DEMOCRATICO, a determinare la politica nazionale?
Io risponderò alla domanda partendo dal presupposto che il metodo democratico NON È FARE LE ELEZIONI! Il presupposto da cui parto è che il metodo democratico sia un modo di vivere nel quale i cittadini si ritengono reciprocamente legittimi e conseguentemente reciprocamente si rispettano.
È mia opinione che oggi noi viviamo in uno spazio di contraddizioni storicamente conservate, in cui da un lato i partiti politici italiani, hanno dichiarato la democrazia come il sistema di governo da essi preferito, ma gli stessi partiti politici italiani non si sono dati una prassi del vivere la democrazia. Specificamente gli stessi non si sono dati una prassi di vivere in modo democratico, attraverso l'esecuzione di una congruente coesistenza responsabile fondata sul benessere di esistere in un dominio in cui ognuno è legittimo, che è basato sul rispetto reciproco, e sul rispetto per la biosfera in maniera tale da partecipare responsabilmente alla coesistenza nel pianeta vivente, vale a dire, non è stata pienamente realizzata la democrazia e conservata nel corso del nostro vivere quotidiano, anzi vi è costantemente il rischio che la stessa venga negata, e infatti è stata negata in passato e ancora oggi si nega in modo ricorrente, con conversazioni patriarcali-matriarcali.
La mia proposta è quella che tutti i partiti politici si riformino specificamente desiderando di abbandonare la nostra cultura patriarcale – matriarcale. Aspetto di conoscere la proposta del Prof. Ignazi.
Buona riflessione
DOPO IL TEST IN MOLISE
Per superare la crisi di nervi il Pd non segua vecchi schemi
PIERO IGNAZI politologo
Il Pd è un partito in costante crisi di nervi. L'esempio più eclatante i forni l'ex segretario Nicola Zingaretti quando, nel corso della crisi del governo Conte 2, si dimise improvvisamente dichiarando di vergognarsi per il comportamento dei suoi compagni di partito. Solo l'intervento salvifico di Enrico Letta impedì una implosione. Ma poi nemmeno lui resse l'uno di un'altra crisi di nervi. divampata all'indomani delle ultime elezioni politiche. Benché il partito non avesse perso rispetto alle precedenti consultazioni, venne sommerso da una ondata di giudizi tranchant da parte dei media giudizi che si riverberarono tutti all'interno. L'assorbimento automatico del mantra della sconfitta rende il Pd un organismo privo di diaframmi, per non dire corazze a fronte delle avversità.
E cosi anche le modeste e parzialissime elezioni locali di questo mese assurgono a catastrofi epocali. La ragione di tutto ciò viene da lontano, dalla natura ibrida e irrisolta del partito per via delle sue continue metamorfosi. Infatti non c’è più nulla dell'ispirazione originaria, perché sono scomparsi politicamente i fondatori e con essi la cultura politica che esprimevano quella della serietà e della governabilità, dell’affidabilità e della competenza, permeata di riferimenti socialdemocratici e cattolico democratici.
il Pd ha navigato su quell'onda finché la delusione per il mancato successo pieno di Pierluigi Bersani ha buttato a mare quella cultura politica e quegli attori, rottamati dalla scoppiettante e trascinante leadership del giovane Renzi. L’irruzione del fiorentino, che tanti affascina ha cambiato fisionomia al Pd e il partito ne risente ancora. I connotati originari sono stati diluiti in un post-blairisrno all'acqua cotta, e dal bacino elettorale sono fuggiti i ceti popolari tanto che, dopo l'unico successo delle europee del 2014 (attenti quindi a usare questo metro per predire destini) il Pd ha intrapreso una discesa agli inferi, culminata con il peggior risultato della sua storia alle elezioni del 2018. Da allora il partito non si è più ripreso. Le speranze riposte nel cacciavite paziente di Enrico Letta sono sfumate il 25 settembre. Alla nuova segretaria spetta un'opera di ricostruzione. Come ha riconosciuto con rara onestà intellettuale Carlo Cottarelli nel dimettersi anche da senatore. Lily Schlein ha finalmente operato una scelta chiara, in direzione di una moderna socialdemocrazia. Deve però ancora mettere a punto gli strumenti, vale a dire riformare radicalmente un partito costruito su schemi superati. E per questo c'è bisogno delle migliori energie, non dei fedeli.
Commenti
Posta un commento