Sul potere secondo i moderati e secondo gli estremisti

 Sul potere secondo i moderati e secondo gli estremisti


Per comprendere cosa sono i partiti, sia in parlamento che fuori dal parlamento, partiamo da una definizione di estremismo: "In generale, gli estremisti dovrebbero essere coloro che hanno un'ideologia dogmatica che non ammette compromessi, che dividono il mondo in due parti che si autoescludono e che quindi possono giustificare la violenza" (Urbinati, 2023).

Conosco le vicende di un piccolo paese nel quale, alle scorse elezioni comunali, venne attribuita questa definizione ad alcuni cittadini che, fieramente, "VOLEVANO STARE SOLO TRA DI LORO" e che, dopo le elezioni che li hanno visti giungere ultimi, sono rimasti "SOLO LORO": GLI IRRIDUCIBILI! Questi individui volevano il potere tutto per loro e, al massimo, erano disposti a far cadere dal tavolo qualche briciola da dare ai clericali che, oggi come oggi, sono dappertutto, pronti ad accontentarsi pur di avere anche loro un po’ di potere.

In questo piccolo paese, i moderati sono i clericali, che si accontentano e non pretendono di avere tutto il potere, mentre gli estremisti sono quelli che volevano stare solo tra di loro per avere tutto il potere. Da questo punto di vista è possibile fare delle distinzioni tra i partiti italiani. È facile vedere chi siano gli estremisti (quelli che vogliono tutto il potere) e chi invece possa annoverarsi tra i moderati (quelli che si accontentano del potere che "passa il governo").

Alla luce di questo criterio distintivo, ognuno di noi può etichettare i partiti che gli vengono in mente come moderati oppure estremisti. Una mia riflessione: secondo me essere estremisti o moderati non ha nulla a che fare con ciò che è importante per tutti i cittadini e specificamente:

  1. Il salario dignitoso e la proposta del salario minimo;

  2. L'equo compenso per gli avvocati;

  3. I diritti eguali per bambine e bambini;

  4. I diritti delle persone in ragione di come sono state messe al mondo;

  5. Nascere o risiedere in una regione piuttosto che in un’altra non deve tradursi in condizioni diseguali di opportunità;

  6. Una federazione competitiva, dove ciascuna regione vada per conto proprio;

  7. Il clima che viene regionalizzato.

Non c’entra nulla il modo di esercitare il potere con quanto ho appena scritto. Anche perché la nostra cultura patriarcale non prevede collaborazione, ma competizione. Tutti i partiti fino ad ora hanno espresso la nostra cultura patriarcale. Quindi, tutte le buone intenzioni di adesione ai principi che sono il mio orizzonte ideale, ovvero libertà, uguaglianza e fraternità, non si riflettono nei comportamenti di nessuno dei partiti italiani, che sono impegnati quotidianamente in una guerra violenta e competitiva al loro interno per divenire i capi indiscussi e con gli altri partiti per la conquista del potere, l’esclusione dei vinti e la sottomissione di tutti gli altri.

Buona riflessione.

Antonio Bruno

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