C’era una volta

 


C’era una volta, in un tempo che sembra distante eppure vicinissimo, un’atmosfera che profumava di carbone e di speranza. Era il 1967, a Lecce, e la Befana non era solo una vecchia con le scarpe rotte, ma il simbolo di un’attesa, di una gioia semplice, di quei miracoli che sanno fare i bambini con i loro sorrisi.

Non c’era Babbo Natale a San Cesario di Lecce. Nessun trono rosso nei centri commerciali, nessun "Ho ho ho" baritonale. C’era la Befana. Una vecchina discreta, quasi timida, che si muoveva tra bar e mercerie, tra le botteghe di quartiere e le vite di chi sapeva arrangiarsi. La Befana “te lu bar Scardinu”, che trovavi prima della farmacia Pasca, quella “te lu zziu Mimmi” lungo Via Dante, e poi c’era quella, particolare, di un appuntato in pensione che aveva fatto della sua vita un negozio di merceria in Via Unità d’Italia. Non so perché, ma allora sembrava che tutti gli appuntati finissero per diventare tabaccai o tenutari di negozi. Un destino, forse, o solo la magia del quotidiano.
Ma la vera magia, la più grande, la più attesa, era la Befana del ferroviere. Al dopolavoro del passaggio a livello sulla strada di Monteroni, prima che il sottopassaggio tagliasse in due il ricordo di quella vecchia strada. Era lì, tra i rumori dei treni e il chiacchiericcio dei grandi, che la Befana arrivava. Nessun lusso, nessuna grandiosità, solo lei, con i suoi doni misurati e il suo giudizio. Se eri stato bravo, potevi stringere tra le mani il premio tanto desiderato. Se no, carbone e cenere, ma anche quelle avevano il sapore della festa, un insegnamento mascherato da gioco.
Io non ho memoria di regali sotto l’albero. L’albero di Natale, per me, non era che un miraggio. L’unico pino che vedevo era quello che Nino, il bidello della scuola elementare “Michele Saponaro”, sistemava dietro al presepe. Un presepe enorme, che costruiva con dedizione nell’atrio pieno di stufe a legna. Quell’atrio era un piccolo universo, dove la realtà si mescolava con la fantasia. E noi, bambini affamati di sogni, ci sentivamo parte di un mondo incantato.
La mattina della Befana, io e le mie sorelle ci svegliavamo presto, con un’eccitazione che riempiva ogni angolo della casa. I regali ci aspettavano, e noi ci scatenavamo, scartando, toccando, abbracciando quei piccoli tesori. Poi veniva la messa, e con essa l’eco delle canzoni:
"La Befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte,
col vestito alla romana,
viva, viva la Befana."
A voi, Sara Bruno, Silvia Serio, Paola Serio e Gabriele Imbò, restituisco questo frammento del passato, come un dono lasciato nelle vostre calze. Raccontatelo ai vostri figli. Fateli sentire, anche solo per un attimo, quei bambini del 1967, che aspettavano la Befana al dopolavoro ferroviario di Lecce, con il cuore pieno di fiducia e gli occhi che brillavano più delle stelle di gennaio.

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