Cosa serve alla sinistra?
Ecco un'analisi punto per punto dell'articolo di Piero Ignazi, con proposte alternative che si concentrano sull'abbandono della cultura patriarcale della competizione e su una visione culturale più ampia e inclusiva:
1. La composizione sociale dell’elettorato del Pd
Ignazi evidenzia il profilo del Pd come un partito delle "ZTL", radicato tra anziani, pensionati, studenti e classi medio-alte, ma carente tra disoccupati e operai.
Proposta alternativa:
Il problema non si risolve solo con un "ri-orientamento" strategico verso disoccupati e operai, ma tramite una vera trasformazione culturale. Serve costruire un dialogo permanente tra tutti i gruppi sociali, basato sulla reciprocità e sul riconoscimento delle diverse esperienze. Non è una questione di "riportare" i disoccupati nel partito, ma di includere le loro esperienze come centrali nella costruzione di una narrazione collettiva.
Azioni:
- Assemblee pubbliche locali senza limiti di tempo, dove i cittadini co-progettano politiche.
- Investimento in forme di mutualismo che non siano paternalistiche ma partecipative, per esempio cooperative sostenute da reti di quartiere.
- Superare le categorie classiche ("operai", "pensionati") con una visione trasversale che metta al centro i diritti universali come il reddito di base, la salute e l'istruzione.
2. Declino del Pd presso i ceti popolari
Ignazi sottolinea il tradimento delle aspettative delle classi popolari, specialmente con l’adozione di politiche neoliberiste sotto la guida di Renzi.
Proposta alternativa:
Non si tratta solo di riconquistare chi si è allontanato, ma di abbandonare l'intera logica neoliberista, che è intrinsecamente competitiva e divisiva. Questo implica:
- Una critica radicale al mercato come unica misura del valore sociale, promuovendo invece una politica basata sulla cooperazione.
- Sperimentare forme di reddito universale e promuovere politiche che ridistribuiscano non solo ricchezza, ma anche tempo (es. riduzione dell'orario di lavoro).
- Dare priorità a politiche simboliche e pratiche che uniscano le persone, come un grande piano per il lavoro cooperativo e sostenibile.
3. Progetto politico del Pd: la necessità di un’idea mobilitante
Ignazi sottolinea l’importanza di un progetto che mobiliti le persone, facendo riferimento a esempi come il New Deal o il piano Beveridge.
Proposta alternativa:
Un progetto di alto respiro non deve essere costruito "a tavolino", ma emergere attraverso una conversazione collettiva e democratica.
- Creare spazi di partecipazione costante: ad esempio, una piattaforma digitale aperta dove le proposte politiche vengono elaborate dai cittadini insieme agli esperti.
- Promuovere un’idea di società post-patriarcale, dove i valori fondamentali siano la cura, la solidarietà e la sostenibilità. Questo può essere il motore di una mobilitazione culturale che va oltre il tradizionale schema sinistra-destra.
- Ancorare il cambiamento a una visione internazionale: ad esempio, un piano europeo per un Green New Deal partecipato, che connetta le lotte sociali, ambientali ed economiche.
4. Struttura organizzativa e comunicazione
Ignazi parla della necessità di un’organizzazione e di una comunicazione all’altezza.
Proposta alternativa:
- L’organizzazione del Pd non deve essere centralizzata e gerarchica, ma diffusa e orizzontale, basata su reti di comunità locali.
- La comunicazione dovrebbe abbandonare il linguaggio della competizione ("scontro elettorale", "vittoria") e concentrarsi sulla narrazione del bene comune, enfatizzando la collaborazione invece del conflitto.
Punti aggiuntivi per una strategia radicalmente nuova
- Formazione culturale e politica diffusa: Il Pd dovrebbe creare una rete di scuole popolari in tutta Italia, per educare a una cittadinanza attiva e consapevole.
- Dialogo intergenerazionale: Mettere in relazione giovani, anziani, lavoratori e disoccupati attraverso progetti culturali e sociali, evitando di isolare le diverse fasce di età.
- Superare la competizione patriarcale: Ridefinire il successo politico non come "vittoria elettorale", ma come capacità di generare coesione sociale e nuove idee.
In sintesi, un progetto di alto respiro per una società di liberi ed eguali deve andare oltre la logica elettoralistica e proporre un nuovo paradigma culturale: la politica come cooperazione, non competizione. La sfida non è "conquistare" elettori, ma co-costruire con loro una società più giusta.
L’EDITORIALE
Parlare a disoccupati e operai
Cosa serve al Pd di Schlein
PIERO IGNAZI
politologo
l 2025 sarà decisivo per il Pd. È il tempo di scelte cruciali per definirsi e attrezzarsi in vista dello scontro elettorale con la destra. Dovrà decidere se investire o meno sulla sua organizzazione e strutturazione, se dedicare almeno un minimo di attenzione alla sua comunicazione soprattutto nella sfera digitale, se definire un progetto di alto respiro per una società di liberi ed eguali e declinare in una serie di proposte, se raddrizzare, o meno, i disequilibri nella composizione sociale della sua base elettorale. Partiamo dall’ultimo aspetto.
Anche la più recente analisi sulla demografia dell’elettorato Pd offerta dall’Ipsos – oltre ad altri studi pubblicati nei mesi scorsi – fotografa un partito di anziani, istruiti e relativamente benestanti. Se poi si aggiunge che il voto dei democratici cresce con il crescere della dimensione delle città e con la centralità dei suoi quartieri, diventa poi difficile evitare il marchio di partito delle ZTL. È una realtà che solo nelle regioni rosse viene ridimensionata perché lì, invece, il partito è radicato anche nelle periferie e nei piccoli centri. Questo profilo è in sintonia con la presenza massiccia di pensionati nelle sua fila, il gruppo socio-economico predominante. In compenso, gli studenti sono presenti in una misura nettamente superiore alla media, e sono molti di più rispetto ai suoi competitor di destra (FdI) e di sinistra (M5s). La polarizzazione dei consensi tra anziani e giovani, tra pensionati e studenti, lascia ai margini disoccupati e operai, le componenti più in difficoltà della società italiana.
Mentre FdI recluta abbondantemente anche tra queste fasce sociali, e il M5s è egemone tra i disoccupati, il Pd viene tuttora scartato come opzione politica. Il riorientamento operato da Elly Schlein in direzione di queste categorie, con l’enfasi sul salario e sulla salute, è troppo recente per dare risultati. L’elettorato si muove lentamente, non segue i ritmi dei talk show. A meno di catastrofi o di raptus. Il declino del Pd presso i ceti popolari viene da lontano, da quando i suoi leader non hanno più espresso, o gestito quando erano al governo, politiche pro-labour e hanno privilegiato invece logiche di mercato improntate al neoliberismo e al rigore finanziario. Difficile trattenere le proprieconstituency popolari quando non si fa nulla nei loro confronti, nemmeno in termini simbolici. Nei quartieri popolari delle 13 città metropolitane, fino al 2008 e in parte nel 2013, il Pd teneva. Poi la diga si è rotta: la spallata decisiva è arrivata con lo spostamento al centro sotto la leadership di Matteo Renzi che in quelle zone ha spostato il voto dei democratici verso altre opzioni, moderate e grilline, oltre che, soprattutto, verso l’astensione . Per diventare un partito centrale nello schieramento politico non c’è altra strada che recuperare quell’elettorato popolare che se n’è andato, ovviamente senza perdere le componenti borghesi e metropolitane conquistate di recente. Una operazione complicata, in particolare per quanto riguarda la riconquista dei delusi: perché quando il distacco è motivato da aspettative frustrate entrano in gioco componenti profonde, emotive, difficili da scardinare.
E qui entra in gioco l’altro snodo
critico del partito democratico: il suo progetto. Non si tratta di costruire a
tavolino un ennesimo programma su tutto lo scibile. Il Pd non ha certo bisogno
di presentare una agenda di governo, come non fosse stato a lungo nella stanza
dei bottoni e dovesse esibire credibilità e competenze amministrative e
gestionali. Del resto, Fratelli d’Italia ha conquistato
la
maggioranza grazie ai suoi articolati e approfonditi programmi? Ovviamente no.
Bastano alcuni punti caratterizzanti, ben confezionati e credibilmente
veicolati da un leader, grazie ai quali gli elettori capiscono cosa è e cosa
vuole quel partito. Coloro che hanno abbandonato il Pd e si sono rifugiati
nell’astensione, possono essere smossi dall’apatia e dal rancore, e riportati
nella sfera politica da una idea alta, coraggiosa e articolata di cambiamento ,
verso una società diversa, più solidale, giusta e rispettosa. L’esempio rimane
sempre la traduzione in programma politico del piano Beveridge da parte dei
laburisti inglesi in vista delle prime elezioni post-belliche. O il New Deal
rooseveltiano. Prospettive inedite, che mobilitano. Per arrivare a questo,
oltre ad un po’ di riflessione, servono anche una struttura organizzativa e una
modalità comunicativa all’altezza della sfida. Ma questo è ancora un altro tema
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