Nulla di ciò che si pensa ci dà un’identità

 



Nulla di ciò che si pensa ci dà un’identità

 

Nulla di ciò che pensiamo ci dà un’identità. Speriamo di acquisire un’identità raggiungendo mete più alte.
Speriamo e ci muoviamo in questa direzione, ma nulla di ciò che otterremo ci darà un’identità.

L’identità è vivere il nostro “dentro” e il nostro “fuori” reale.
Nel “dentro” troviamo affetti, legami emotivi, benevoli e malevoli. Se qualcuno fa del male a creature indifese, ecco che nasce in noi la rabbia per mettere quella persona nella condizione di non poter fare più del male. Non possiamo perdonare questo comportamento, altrimenti continuerà a causare danni.

L’identità ce la dà il sentire.
Essere traslocati dalla mente condizionata al cuore.
Ed è così che i pensieri precipitano dal cuore, non più dalla mente.

Quando la mente condizionata crolla, i ricordi rimangono, ma non fanno più male.
A quel punto si riesce a godere delle emozioni semplici. Tutto ciò che appartiene alla vita, anche nella sua forma più sottile, porta benessere.

Chi ha raggiunto il successo, se è giovane, appare felice perché spera nel futuro. Tuttavia, raggiunta la mezza età, la persona di successo appare triste.

Non affannatevi a cercare la vostra identità attraverso il riconoscimento degli altri. Perché, in fondo, il riconoscimento degli altri lo percepite solo in base a quanto siete stati riconosciuti dai vostri genitori. Se i vostri genitori non vi hanno riconosciuti, è inutile cercare questo riconoscimento negli altri: finirete sempre per attrarre persone che non vi riconoscono. Questa è la tragedia.

Se invece comprendete che i vostri genitori non vi hanno riconosciuti, automaticamente (ci vuole un po’ di tempo, certo), inizierete a riconoscervi voi stessi. E questo accade in modo naturale, è inevitabile.

Il momento in cui ci rendiamo conto che i nostri genitori non ci hanno riconosciuti è il momento in cui iniziamo a riconoscerci da soli.

So che molti penseranno: “No, perché io lo so che i miei genitori non mi hanno riconosciuto, che non mi hanno amato, eccetera, eppure non riesco a sentirmi a posto. Non riesco ad amarmi, non riesco a sentirmi degno di esistere”. Questo succede perché siete ancora prigionieri dei vostri genitori.
È perché continuate ad aspettarvi da loro, o da qualcun altro al loro posto, il riconoscimento che non arriva.
Non avete ancora accettato pienamente questo mancato riconoscimento e continuate a cercare la vostra identità attraverso di esso.

Il senso della vita, o la nostra identità (che sono la stessa cosa), è il senso di esserci. È il senso di partecipare, non di astrarci.
Con la mente cerchiamo di astrarci dagli altri, di emergere dalla massa per costruirci un’identità.
Ma quando la mente condizionata crolla, non cerchiamo più di emergere: cerchiamo di immergerci.

Immergerci nella natura, negli altri, nelle piante, in tutto ciò che esiste.
Per esistere non abbiamo bisogno di scalzare nessuno. Al contrario, abbiamo bisogno di entrare dentro questo mondo.
Perché meno siamo, e più siamo.
Meno siamo “noi”, meno cerchiamo di emergere, e più ci sentiamo vivi.
E ci sentiamo vivi in mezzo ad altre presenze, visibili e invisibili.

Gabriella Tupini

L’identità è un tema che ha affascinato pensatori, psicologi e filosofi nel corso della storia. Essa non si trova nel raggiungimento di mete esterne o nel riconoscimento sociale, ma nel nostro rapporto intimo e profondo con il mondo interiore ed esteriore. Questo saggio esplora l'idea che l'identità non sia una costruzione della mente o del successo, ma piuttosto una manifestazione del nostro "sentire" autentico.

L'illusione dell'identità attraverso mete e riconoscimenti

Il primo inganno della mente condizionata è la convinzione che il raggiungimento di obiettivi o il riconoscimento altrui possa definire chi siamo. Le società moderne sono spesso costruite attorno all’idea di scalare una gerarchia, con la promessa che, una volta arrivati in cima, troveremo la felicità e l’identità. Tuttavia, come afferma Carl Gustav Jung, "Chi guarda fuori, sogna; chi guarda dentro, si sveglia". Il successo può fornire una momentanea soddisfazione, ma non è in grado di colmare il vuoto esistenziale che spesso lo accompagna.

Studi psicologici hanno dimostrato che l’autostima basata su riconoscimenti esterni è instabile e vulnerabile. Deci e Ryan (2000), con la loro teoria dell’autodeterminazione, sostengono che una vera identità emerge solo quando i nostri bisogni psicologici fondamentali – autonomia, competenza e relazione – sono soddisfatti dall'interno e non dipendono da fattori esterni.

L'identità come sentire autentico

L’identità autentica non si costruisce nella mente condizionata, ma nel cuore. Questo passaggio è cruciale perché, come sottolinea Antonio Damasio, le emozioni e i sentimenti sono il fulcro del nostro senso di sé. Nel suo libro The Feeling of What Happens (1999), Damasio esplora come le emozioni siano centrali per la nostra consapevolezza e identità. Egli afferma che il cuore è ciò che ci connette al mondo reale e al nostro sé autentico, mentre la mente condizionata, spesso intrappolata in ricordi e aspettative, distorce la percezione del presente.

Quando siamo in grado di lasciar cadere la mente condizionata, i ricordi del passato non ci feriscono più. Essi rimangono come tracce, ma perdono il loro potere distruttivo. Questo è il momento in cui possiamo vivere con emozioni semplici e autentiche, godendo del benessere che deriva dall’essere presenti a noi stessi e al mondo.

Il riconoscimento mancato e il percorso verso l'autenticità

Un altro aspetto fondamentale dell'identità è il riconoscimento. Spesso cerchiamo negli altri una validazione che non abbiamo ricevuto nella nostra infanzia. Donald Winnicott, psicoanalista infantile, parla del "vero sé" e del "falso sé", spiegando che un bambino che non riceve un adeguato riconoscimento dai genitori può sviluppare un falso sé per compiacere gli altri, perdendo il contatto con il proprio vero sé.

Questa mancanza di riconoscimento genera una dipendenza: continuiamo a cercare negli altri ciò che non abbiamo ricevuto dai nostri genitori. Tuttavia, il momento di svolta arriva quando riconosciamo questa dinamica e smettiamo di aspettare dagli altri ciò che solo noi possiamo dare a noi stessi. È un processo doloroso ma liberatorio. Come spiega Eckhart Tolle in Il Potere di Adesso (1997), "Quando lasci andare il bisogno di essere approvato dagli altri, ti ritrovi".

Dalla mente al cuore: una nuova immersione nella vita

Quando la mente condizionata crolla, si verifica una trasformazione. La ricerca dell’identità si sposta dalla testa al cuore, e il desiderio di emergere sopra gli altri viene sostituito dalla volontà di immergersi nella vita. È in questa immersione che troviamo il nostro posto nel mondo, non come individui separati, ma come parti integranti di una rete più ampia.

Il filosofo Martin Buber, nel suo libro Io e Tu (1923), descrive l'identità come una relazione autentica con l'altro. Per Buber, il senso di esistere non si trova nell’isolamento o nella competizione, ma nel partecipare pienamente alla vita, in un dialogo continuo con il mondo visibile e invisibile.

Conclusione

L’identità non è qualcosa che si ottiene, ma qualcosa che si sente. È il risultato di una connessione autentica con il nostro mondo interiore ed esteriore. Quando smettiamo di cercare conferme all’esterno e ci immergiamo nella vita con il cuore aperto, scopriamo che non abbiamo bisogno di "essere di più" per esistere. È in questo stato di immersione che, paradossalmente, troviamo il nostro vero senso di identità.


Bibliografia

  • Buber, M. (1923). Io e Tu. Berlino: Schocken.
  • Damasio, A. (1999). The Feeling of What Happens: Body and Emotion in the Making of Consciousness. Harcourt Brace.
  • Deci, E. L., & Ryan, R. M. (2000). Self-determination theory and the facilitation of intrinsic motivation, social development, and well-being. American Psychologist, 55(1), 68-78.
  • Jung, C. G. (1953). The Collected Works of C.G. Jung. Princeton University Press.
  • Tolle, E. (1997). Il Potere di Adesso. Namaste.
  • Winnicott, D. W. (1965). The Maturational Processes and the Facilitating Environment. International Universities Press.

 

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