Una vita da fenomeno: il prezzo del genio
Una vita da fenomeno: il prezzo del genio
Questa sera, mentre guardavo Maria, il film di Pablo Larraín, mi sono posto una domanda che forse in molti si sono fatti almeno una volta: “Mi sarebbe piaciuto essere un fenomeno, anziché la persona che sono?”. Una domanda che non è affatto banale. Ciò che mi colpisce, nel caso di Maria Callas, è come la sua vita da fenomeno sia stata possibile solo grazie a un dolore profondo, radicato, che proveniva dal passato. Una sofferenza che attraversava una porta sempre aperta, mai chiusa, verso l’infanzia e il desiderio irrisolto di essere amata e accettata.
Maria Callas, “la divina”, ha sofferto terribilmente fin da bambina. Sua madre, secondo le testimonianze, non perdeva occasione per dirle che non era bella, che non era desiderabile. Una frase, una sentenza che le si è incisa addosso come un tatuaggio invisibile, portandola a vivere la sua intera esistenza cercando di dimostrare il contrario: che valeva, che meritava amore, che il mondo l’avrebbe applaudita. Ma a quale prezzo? Una domanda che ci porta a riflettere sulla natura stessa del genio e del talento straordinario.
Prendiamo in prestito le parole di Sigmund Freud, che diceva: “Il genio è dolore sublimato”. Maria Callas non è stata l’unica a vivere questa condizione. Pensiamo a Vincent van Gogh, che ha regalato al mondo capolavori come La notte stellata, ma ha vissuto un’esistenza tormentata, segnata dalla solitudine e dalla malattia mentale. O ancora, Emily Dickinson, che ha scritto poesie che continuano a incantare e interrogare generazioni, ma che ha trascorso gran parte della sua vita reclusa nella sua stanza, distante da tutto e da tutti.
È il dolore, spesso, che spinge oltre i limiti. Non è una regola, ma è una costante che ritorna. Proprio come avviene in natura: il biologo Charles Darwin, nel suo L'origine delle specie, ci spiega che è la pressione dell’ambiente – il bisogno, la lotta per la sopravvivenza – che conduce alle mutazioni più straordinarie. Per il genio umano, questa pressione non è solo ambientale: è emotiva, interiore, spesso devastante.
Il talento fenomenale nasce così, come risposta a un’assenza o a una mancanza. La sofferenza diventa la scintilla che accende un fuoco capace di illuminare il mondo. Ma quel fuoco brucia anche chi lo porta dentro. La vita di Maria Callas lo dimostra. Ha raggiunto l’apice della grandezza artistica, ha avuto un pubblico che l’adorava, ma dietro le quinte c’era una donna sola, fragile, che lottava contro l’ombra di quel dolore antico.
Possiamo pensare anche a Michael Jackson, un altro “fenomeno” che ha pagato un prezzo altissimo per il suo talento. Dietro l’uomo che ha rivoluzionato la musica pop si nascondeva un’infanzia rubata, fatta di abusi emotivi e pressioni insostenibili. O Frida Kahlo, che ha trasformato la sua sofferenza fisica in quadri che gridano vita e dolore, capolavori che oggi sono immortali. Tutti questi nomi ci raccontano una verità universale: il genio è una conquista, ma anche una condanna.
Vorrei concludere con una citazione di Hermann Hesse, dal suo Il lupo della steppa: “Chi vuole avere gioielli preziosi deve scavare in profondità; chi vuole avere gioia deve accogliere il dolore”. Maria Callas è stata un gioiello prezioso per il mondo, ma quel gioiello era fatto di lacrime, non solo di applausi.
Allora, tornando alla mia domanda iniziale: “Mi sarebbe piaciuto essere un fenomeno?” La risposta è no. Perché essere un fenomeno vuol dire spesso sacrificare ciò che rende la vita piena: la serenità, l’amore semplice, le gioie quotidiane. È una scelta che pochi possono fare, e che spesso non è neppure una scelta, ma un destino. Un destino che, come ci insegna la storia, si paga sempre caro: a prezzo della propria vita.
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