Quel Muro
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Don: Leonardo, a cosa stai pensando?
Leonardo: A quel muro, Don. Lo osservo e mi accorgo che è pieno di segni, graffi, crepe profonde. È come se mi parlasse, come se raccontasse qualcosa che non avevo mai voluto ascoltare.
Don: E cosa ti sta dicendo, quel muro?
Leonardo: Mi sta dicendo che ogni comportamento è una comunicazione. Ogni graffio, ogni colpo, ogni scritta stortata è stato un tentativo di dire qualcosa, di esprimere un dolore. Non sapevo come farlo in altro modo. Stavo gridando che qualcosa di profondo mi stava accadendo, qualcosa che non capivo e che non sapevo gestire.
Don: E ora? Lo capisci?
Leonardo: Ora guardo quei solchi anneriti, quegli strappi e quei buchi, e per la prima volta vedo il messaggio nascosto. Era una richiesta d’aiuto. Non la sapevo formulare, Don, ma c’era.
Don: Il muro non è solo memoria del dolore, Leonardo. È anche il segno di quanto tu sia sopravvissuto a quel dolore.
Leonardo: Ho preso una spugna, Don. L’ho immersa in un secchio di acqua e sapone. E ho cominciato a pulire.
Don: Non per cancellare?
Leonardo: No, Don. Non per cancellare. Per riscoprire. Togliere la patina nera, ridare un po’ di luce a quelle superfici. Alcuni segni restano, ma ora li vedo per quello che sono: parti di una storia. La mia.
Don: Non si può ricostruire un muro negandogli le sue crepe, Leonardo. Si può solo trasformarlo in qualcosa di più forte, di più vero.
Leonardo: Già. E ora, mentre pulisco, mi ripeto qualcosa che non avevo mai osato dire a me stesso. Non era mia la colpa, Don. Per tutte le botte, per tutto quel dolore. Non ho mai fatto niente per meritarmelo.
Don: A volte, Leonardo, il primo passo per guarire non è rimuovere i segni, ma smettere di darsi la colpa per averli.
Leonardo: Forse è così, Don. E pulendo, mi sembra di cominciare a crederci.
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