Noi dobbiamo capirlo il rapporto che abbiamo avuto con i genitori: altrimenti faremo un casino sempre, con tutte le persone. Ci innamoreremo di persone che non sono capaci di volerci bene, se i nostri genitori non ci hanno voluto bene… e siccome sono di più le persone che non sanno amare, facilmente incorreremo in persone che non sanno amare… e faremo dei figli che non sanno amare e che perpetueranno l’infelicità umana.

Gabriella Tupini

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Ho letto l’articolo di Salvatore Colazzo sul Quotidiano di oggi 12 gennaio 2025, dopo aver ascoltato le parole di Gabriella Tupini. Combinando le riflessioni della psicologa Gabriella Tupini e quelle del Prof. Salvatore Colazzo, emerge un terreno fertile per riflettere sul legame tra passato, presente e futuro, nelle dinamiche familiari e sociali.

Le parole di Gabriella Tupini ci portano a riflettere sul profondo impatto che le esperienze con i genitori hanno sul nostro modo di interagire con il mondo e le persone che incontriamo. Il punto cruciale del suo pensiero riguarda il rischio di perpetuare cicli disfunzionali se non riconosciamo e risolviamo le ferite emotive legate ai genitori. L'idea che se i genitori non ci hanno amato, potremmo facilmente cadere in relazioni con persone incapaci di amarci, è un avvertimento che sottolinea l'importanza di comprendere il nostro passato familiare per interrompere il ciclo di infelicità. La psicologa ci invita a lavorare su noi stessi per spezzare questi legami emotivi dannosi, così da non ripetere le stesse dinamiche con i nostri figli o con le persone che amiamo.

Il pensiero di Salvatore Colazzo, portato dal testo di Tim Ingold e dalla riflessione su "Il futuro alle spalle", approfondisce il concetto di legame tra le generazioni, e come la perdita di connessione con il passato possa compromettere la nostra capacità di immaginare un futuro sano. Ingold descrive il dilemma degli abitanti delle isole Figi, i quali, a causa del cambiamento climatico, si trovano di fronte alla difficoltà di spostare le tombe dei loro antenati, un atto che sarebbe visto come un tradimento della loro identità. Il passato diventa una testimonianza che permette di mantenere un senso del futuro, un filo che unisce le generazioni e che impedisce l'infelicità che nasce dalla disconnessione.

Nel caso del testo di Colazzo, si riflette anche sull’importanza di ristabilire le relazioni con le proprie radici, come nel caso di Maria Sole, che cerca suo padre biologico per completare il suo percorso di identità e di continuità familiare. Anche qui, la relazione con il passato e la cura delle relazioni familiari sono visti come essenziali per costruire un futuro di senso.

Integrazione delle due istanze: Entrambi i testi esplorano l'importanza delle relazioni intergenerazionali: Tupini focalizzandosi sulla necessità di guarire e liberarsi dai traumi familiari per non ripetere dinamiche disfunzionali, e Colazzo che, attraverso Ingold, suggerisce che il futuro non è semplicemente qualcosa che si costruisce, ma qualcosa che si "ricuce", rimanendo in contatto con il passato. La difficoltà di “lasciare andare” i legami con le generazioni passate, che si manifesta nel caso degli abitanti delle Isole Figi o nella ricerca di Maria Sole, riflette l'importanza di riconoscere e dare valore alla nostra storia, anche se dolorosa.

Questa riflessione invita a pensare che per costruire un futuro sano e di speranza, dobbiamo essere in grado di guardare al nostro passato con occhi nuovi, facendo pace con ciò che è stato e portando con noi l'eredità emotiva, culturale e familiare, ma senza restare imprigionati. Allo stesso tempo, la consapevolezza dei legami familiari e l’abilità di riconoscere e curare le ferite emotive sono strumenti indispensabili per interrompere la perpetuazione di cicli negativi e dare vita a relazioni più autentiche e piene d’amore.

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Un paio di settimane fa, il mio caro amico Roberto Maragliano mi ha inviato, via whatsapp, una segnalazione relativa a un testo a suo parere fondamentale, che avrei dovuto senz’ombra di dubbio leggere, magari per farne un “Alfabetiere”. Ho colto il suo suggerimento e così questa settimana vi propongo le mie impressioni relative a “Il futuro alle spalle” (Meltemi editore) di Tim Ingold, un antropologo inglese di cui sono usciti diversi titoli in Italia.

Per dar conto del titolo, Ingold racconta il dramma che vivono gli abitanti delle Isole Figi. A causa del cambiamento climatico, vi è un innalzamento delle acque dell’oceano, che stanno sommergendo le coste. Di conseguenza, gli abitanti devono arretrare, ma sono estremamente riluttanti a farlo poiché non possono né abbandonare né spostare altrove le tombe dei loro antenati. Le credenze a cui ispirano le loro azioni impongo che i luoghi di sepoltura degli antenati rimangano inviolati. E senza le loro tombe essi sentono di non poter consistere.

Si trovano di fronte ad un dilemma, che somiglia molto ad un “doppio vincolo” batesoniano, espresso dall’aneddotto delle farfalle dalla testa di zucchero, costrette a scegliere, senza poterlo fare, tra tentare di nutrirsi immergendo la loro testa nel thé o rinunciare a farlo, destinandosi a morire d’inedia.

La possibilità di immaginare un futuro, per gli abitanti delle isole Figi, dipende dal legame che le generazioni più giovani stabiliscono con quelle che le hanno precedute, la testimonianza della cui esistenza è nelle sepolture, che in un dato luogo si sono cumulate, rendendo in forma evidente il permanere dell’identità della loro comunità. Per loro, senza questo legame non può esservi neanche un vero e proprio senso del futuro, afferma Ingold.

Il mito del progresso, unito alla forza distruttrice del capitalismo (destruttura le istituzioni tradizionali, ridisegna le relazioni interpersonali come i territori, decreta la morte di vecchi modi di produzione per imporne di nuovi), svalorizza il legame col passato, lo fa apparire come ispirato da un’emozione che impedisce l’innovazione.

Oggi ci troviamo di fronte ai frutti impazziti di quel mito e alle ricadute insostenibili di quel modello antropologico (poiché il capitalismo non è soltanto una forma di produzione, si fa società e cultura): crisi della democrazia, ingiustizia planetaria e incremento della povertà nelle comunità nazionali, perdita della biodiversità, guerre.

Avere uno sguardo più profondo e rispettoso del passato può aiutare a guardare in maniera diversa al futuro. Si tratta - suggerisce Ingold - di mantenere annodato il filo fra le generazioni, di ricercare la continuità delle esistenze passate e presenti. Di guardare al passato - come suggeriva Walter Benjamin - scorgendo la ricchezza inespressa delle sue possibilità evolutive, spezzate dal desiderio del nuovo ad ogni costo, facendosene carico per progettare il nostro futuro.

In questi ultimi giorni ho scoperto un nuovo, bellissimo podcast su Rai Play Sound: “Tale padre”, un racconto di Mauro Pescio, costruito molto abilmente, che narra di come una donna ormai quarantenne, nata da un rapporto occasionale della sua giovanissima mamma con un ragazzo tedesco, conosciuto in un campeggio estivo all’età di diciott’anni, si metta sulle tracce del padre biologico, di cui la madre ha occultato ogni traccia, trovandolo infine e stabilendo con lui un intenso rapporto fatto di mail e whatsapp, non esitato mai, però, in un incontro fisico, fino al suicidio dell’uomo, un ritrarsi violento dal mondo e un sottrarsi crudele all’amore della figlia. Lei nonostante tutto trova il modo di risollevarsi, ritessendo le relazioni con la famiglia del padre, con la nonna, coi suoi fratelli. Per pensare il proprio futuro, per riconciliare le parti disperse di sé, Maria Sole ha bisogno di ritrovare chi l’ha generata, di ritrovare sé nell’altro e portare con sé nell’altro. Per consegnare a sua figlia, la continuità di una storia. Pretende di essere non semplicemente l’esito di un banale atto sessuale, ma vita in movimento, scambio e convivenza. Il padre che l’ha procreata, che ha vissuto sapendo di aver dato al mondo una figlia che non ha potuto crescere, passerà l’intera esistenza dissipando i soldi ricevuti in eredità dalla famiglia (non lavorerà un giorno che sia un giorno nella sua vita) e sabotando se stesso, nella dipendenza dall’alcool. Non riuscendo, quand’avrebbe potuto, a recuperare una relazione con la figlia, constatando il proprio fallimento generativo, si destina a sparire per sempre.

Trovo toccante e significativa questa storia. A sentire la voce dei suoi protagonisti, ci si trova coinvolti e alla fine anche sconvolti dalla prorompente forza della vita e del suo contrario che le si contrappone.

“L’atto procreativo può cominciare con un incontro sessuale, ma questo – dice Ingold - è solo l’inizio di un processo che dura nel tempo, non è istantaneo ma si protrae nel tempo”. Si traduce in una indispensabile fatica, quella della cura.

Tessere, con sapienza artigiana, le relazioni, lavorando per renderle spesse di senso, questo rinvia ad un’idea, quella coltivata, ad esempio, dall’artista sarda Maria Lai, l’autrice della straordinaria performance “Legarsi alla montagna”, della quale in un “Alfabetiere” di qualche tempo addietro avemmo modo di parlare e a cui rinviamo, a completamento della riflessione di questa settimana.

 

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