Il giornale parlato nella classe del Maestro Alberto Tangolo a San Cesario di Lecce
Il maestro Alberto Tangolo veniva in
classe con una radiolina a transistor per farci ascoltare le
trasmissini di Educazione Civica.
Un giorno venne con un contenitore
da cui estrasse un registratore a bobina.
Tutti vicino alla cattedra a vedere.
L'aria frizzante di primavera fuori dalla finestra con i fiori di
camomilla selavatica che riempivano di profumo tutte le classi della
Scuola Elementare non riuscivano a distrarci da quell'aggeggio che
aveva portato il maestro.
Lui ci disse se desideravamo fare un
giornale parlato, come quello che ascoltavamo dalla radio a
transistor. Tutti entusuasti!
Il giornale parlato doveva avere un
tema, ci costituimmo in redazione e stabilimmo che il tema da
trattare era quello dell'emigrazione.
Nella mia classe i miei genitori e
quelli di pochi altri lavoravano nella provincia di Lecce. La maggior
parte dei calzolai, imbianchini, muratori, barbieri, fabbri non
riusciva più a mantenere la famiglia con il lavoro di artigiano e i
loro figli che venivano in classe con me, per questo motivo, vissero
con i loro nonni.
Giungevano notizie di grandi
opportunità lavorative dalla Francia, dalla Germania e dalla
Svizzera e i papà partivano per primi.
Ricordo la stazione di San Cesario di
Lecce piena di questi papà nel periodo di Natale e Pasqua quando
facevano ritorno per pasasre le feste con la loro famiglia.
Dopo che i papà avevano trovato
sistemazione anche le mamme raggiungevano i mariti in quei paesi
sempre prendendo il treno dalla stazione di Lecce.
A casa dei nonni rimanevano i figli che
frequentavano con me la scuola elementare. Ricordo Vito Antonio
Antonaci che aveva la mamma in Germania e che dopo le scuole medie
penso sia trasferito anche lui in quel Paese per raggiungere i suoi.
Ricordo un ragazzo che veniva da Roma,
ricordo solo il cognome PORSI. Abitava a San Cesario alle case
popolari di calvario, proprio di fronte ai nonni di Ninni (perchè
Vito Antonio Antonaci i nonni lo chiamavano Ninni). Porsi era
coinvolgente e travolgente. Mi diceva che dovavamo andare a trovare
Ninni perchè aveva le costruzioni LEGO. Ci andavamo, Ninni le
prendeva da uno scatolone di cartone e costruivamo con quei mattoni
bianchi e rossi, verdi e blu.
Poi alla fine della quinta elementare
PORSI ci disse che se ne andava da San Cesario perchè suo padre
aveva di nuovo trovato lavoro a Roma.
Chissà dove sarà adesso!
Insomma c'erano i sancesariesi che
andavano in Europa e i romani che venivano a San Cesario.
Nel mio gruppo di redazione per il
giornale parlato ricordo che c'era Donato Rizzo che abitava in Via
Dante, Giovanni Perrone, Sandro De Simone e poi non ricordo più
altro. Sono passati 51 anni da allora. Già! mezzo secolo suonato!
Ricordo che al mio gruppo era toccato
di fare un componimento poetico da leggere al microfono del
registratore geloso.
Io ricordo solo l'inizio di quel
componimento:
Ecco, se ne vanno, tristi
Sono gli emigranti del mio paese....
e poi non ricordo altro.
Quando portammo questo componimento in
classe, il maestro Tangolo mi chiese di leggerlo. Lo lessi e accadde
che si entusiasmò, disse a tutti che è così che avremmo dovuto
procedere, con questo stile!
Dopo la sorpresa iniziale ricordo che
mi chiese se era stato davvero scritto da noi. Io gli raccontai come
era andata. Erano venuti tutti a casa mia e ci eravamo seduti nella
camera da pranzo con davanti il tavolo con il vetro verde. Parlavamo
e ci dicevamo ciò che pensavamo, non sapevamo bene cosa scrivere.
Poi all'improvviso, io ho cominciato a
dire quelle parole: “Ecco, se ne vanno, tristi” e tutto il resto
è arrivato così come l'avevo letto.
Facemmo altri giornali parlati, io ne
ricordo uno sui contadini ma non ottenni mai più quel cloamoroso
consenso del maestro Tangolo come con il numero sugli emigranti.
Era bello andare a scuola, era bello
ascoltare le lezioni del Maestro, vedere la vita attraverso le
indicazioni delle sue parole.
Lo vedevo spesso triste. Un sguardo
sempre malinconico, come se avesse una qualche nostalgia di qualcuno
o qualcosa perduta per sempre.
I primi anni fumava le sigarette, poi
un giorno venne con la pipa, ne ebbe varie e di diverse forme. Aveva
sempre la pipa in bocca dopo che iniziò ad usarla.
Mi sembrava un grande scrittore o un
regista, un grand'uomo che s'era fatto piccolo per farmi da Mestro.
Un uomo che mi ha indicato la strada e
che mi ha insegnato che tutti siamo uguali, nessuno escluso, e che
tutti potevamo avere le stesse possibilità a patto di spezzare la
catena che ci teneva legati a un immagine di noi realizzata da chi
aveva deciso cosa avremmo dovuto essere.
Potevamo essere qualunque tipo di uomo
avessimo desiderato essere, questo l'ho imparato da lui e questo
insegno adesso io!
Commenti
Posta un commento