Ricordi di un fanciullino

Io mia madre Maria Oronza Ferro e mia sorella Daniela nelle case "te la Nunna Maria" in Via Unità d'Italia a San Cesario di Lecce. Foto scattata dal Ragioniere Antonio Laudisa nel 1961 o 1962 

La fera te la stiddra, San Giseppu, quanti ricordi!
Alessio mi ha chiesto di scrivere di questa tradizione che mi accompagna dalla nascita. Tutti in fermento, la nonna, il nonno e le zie delle nonne. Tutti a gironzolare incuriositi tra tazze, bicchieri, cotume e segge!
Le donne che si incontravano in questa festa di Primavera dopo la Pasqua e si raccontavano le cose di ogni giorno, della figlia fidanzata, il figlio al militare, la sorella che non viene mai a trovarci e altre cose simili.
I maschi erano davanti alla cassa armonica, cu le nuceddre, per la Lirica. Mio nonno amava la lirica e l’amò anche mio padre. Io grazie al grande Gino Liaci che fu sindaco del Paese più bello del Mondo a soli 19 anni, andai a vedere le opere liriche. Già! Era perché regalava degli ingressi al loggione del Politeama Greco al papà di un mio amico e grazie a ciò potei amare quelle arie melodrammatiche cogliendone sentimenti profondi e passioni piene di tormenti. L’800 è stato un tempo di trepidazioni e di passaggio e tutto questo è in quella musica che le bande accennavano ricordando le melodie che le grandi orchestre eseguivano nei teatri di tutto il Mondo.
Poi le luminarie che ogni anno davano luogo a commenti di ogni tipo e a confronti con le annate precedenti e con precedenti presidenti di comitato. I maschi si producevano in queste valutazioni intorno all’addobbo delle strade che costeggiano “lu largu te lu palazzu” e “alli fuechi”. Ricordo un amico che guardando lo spettacolo pirotecnico mi diceva che c’era poco viola e siccome era il colore più caro osservare che c’era poco viola nei fuochi significava che il comitato aveva tirato troppo sul prezzo con l’artificiere, insomma si era troppo risparmiato.
Ma sarà per quei profumi provenienti dal risveglio della vegetazione, sarà per i pollini che si spargevano ovunque, io la festa di San Giuseppe della Stella la ricordo per quel desiderio che sentivo e per i vestiti pastello delle ragazze che svolazzavano qua e la soprattutto alle giostre.
Si! In quegli anni era davvero un grande avvenimento il giro alle giostre e avere i gettoni, che costavano più o meno quanto l’ingresso al Cinema, era di gran lunga l’ambizione più grande.
Ho già scritto del tagatà ma c’erano le auto scontro e i seggiolini ma anche, perché no, gli aerei che in questo cerchio ti facevano provare il brivido dell’altezza, che per la verità è il brivido della paura di cadere.
Tutte le attrazioni del luna park sono una sublimazione delle paure ancestrali ed è per questo che riscuotono tanto successo. E’ come se la paura di morire ti facesse sentire immensamente vivo.
Poi venne il tempo dei pacchi. Si! Ma non è che a San Cesario di Lecce venisse Flavio Insinna per fare affari tuoi, no! Venivano dei camion con su delle persone con un fortissimo accento napoletano che facevano in piazza quello che adesso vedete alla rai ogni sera. Che brivido quando vedevi persone che con poche lire prendevano pacchi con dentro giradischi o registratori. Quando le poche lire le ho date io presi un posacenere di vetro e un pupazzo di peluche.
Brividi! Brividi!
Si vive per il brivido che poi con gli anni ho capito sia solo droga, ma questa è un’altra storia che a quel tempo non conoscevo.
Come avete avuto modo di leggere non un accenno a Reliquie e Statue del Santo, funzioni religiose, processioni e litanie. Di tutto questo l’unico ricordo che resta sono le passeggiate domenicali in compagnia di Carmine Passalacqua, Roberto Lettere e Nicola Torelli alla volta “te la chiesia ranne”, messa delle 11.00 e noi quattro sempre al terzo banco a destra partendo dall’altare.
Anche per la festa di San Giuseppe eravamo li a tentare di contare i rosoni che adornano il soffitto della Chiesa senza mai trovare un accordo sul numero.
Profumi, suoni, sapori e persone che sono vive nella mia memoria e perciò stesso, qui ed ora, con me e con voi che avete avuto la pazienza di arrivare si qui nella lettura.
Non ho fatto riferimento alle dispute sull’origine della fiera tra i cultori di storia del Paese più bello del Mondo, a che serve? Per me c’è sempre stata da quando ho dei ricordi e quindi dal mio punto di vista la fera te la stiddra c’è da sempre.
Ricordo un cotumaro (si tratta di un figulo) di San Pietro in lama che aveva la sua esposizione proprio allu largu te lu palazzu all’imbocco di Via Russo. Lui cantava, suonava l’armonica a bocca, raccontava “culacchi” e riempiva di epiteti scherzosi i passanti che, quasi ipnotizzati, si fermavano davanti alle sue “cotume”.
Ne parlavano tutti i concittadini del paese più bello del mondo. All’epoca c’era la fama e non c’erano le Tv locali per la pubblicità. Ma la fama raggiungeva immediatamente ogni angolo “te lu paise ranne” e tutti, ma proprio tutti, facendo finta di passare li per caso si fermavano di fronte a questo “saltimbanco cotumaro” e poi acquistavano almeno un campanello o un fischetto da portare ai bimbi a casa o da regalare ai bimbi che erano con loro a passeggiare.
Se chiedete alle vostre nonne o ai vostri nonni sono certo che si ricorderanno della persona e spero che ricordino anche il nome di questo menestrello della fiera così da farlo ricordare anche a me.
E concludo così come concludeva mio nonno “Petruzzu quannu me cuntà li cunti: LU CUNTU NU FUEI CCHIU CUNTATINE UNU UI”


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