La piazza di pomeriggio
La piazza di pomeriggio
C’è vento oggi, un vento forte. Ci sono 31 gradi e raggiunge
i 35 chilometri orari. Un sole accecante, come sempre, ma senza l’immobilità e
il canto delle cicale. Tutto tace quando c’è il vento.
E’ la settimana prima della festa del Santo Patrono San
Cesario Diacono e Martire e la piazza si adorna delle luminarie, si fa bella
per questa tradizione che va avanti da quando c’è la coscienza di chiamarsi San
Cesario. Non più lu nfiernu, la giurdana e sant’elia. No! San Cesario diviene
il nome del paese per tutti quelli che abitano nei tre nuclei che lo
costituiscono, da sempre, di fatto.
Lo dico sempre: c’è un eterno girovagare tra queste pietre,
c’è il suono delle voci, la presenza, dei tanti che c’erano e non ci sono più.
C’è la gente seduta fuori vicino al portone del Palazzo,
quella del Circolo “te li Signuri” che ebbe sede a Palazzo Marulli sino agli
anni 80. C’è la gente che era seduta davanti alla Cappella Palatina che era il
Circolo indipendente che non c’è più. Ci sono le donne che ripongono i veli
neri all’uscita dalla messa. Già, i veli, li ricordate? Li hanno dismessi, non
ci sono più. Poi ci sono tutti i ragazzi di allora, degli anni 70, tutti
appollaiati sui sedili, seduti sulla spalliera oppure poggiati sulle macchine
rigorosamente parcheggiate davanti al Bar Patarnello, Margiotta, lu salone di
Lillino e quello di Veleone. Di fronte la macelleria di D’Amato e il Bar Cin
Cin. Già!
La “chiazza” era così.
Ci si incontrava senza dover prendere appuntamento. Quando
ci si congedava, la sera prima, oppure al rientro dalla scuola sul pullman, si
diceva quel fatidico “ni etimu alla chiazza”, senza aggiungere altro, senza
dire l’orario. Bastava uscire da casa, raggiungere quella splendida cornice, e
qualcuno lo trovavi sempre.
Sta aspettando la festa “lu largu te lu palazzu”, la chiazza
s’è fatta bella per essere visitata, ammirata, vissuta da chi ce l’ha impressa
negli occhi, da chi ha dentro, dalla prima volta che l’ha vista, la sua immagine. Come
quando mio nonno Pietro andò per un periodo da mia zia, a Chiavenna. Lo trovai
triste, davanti al tavolo del soggiorno, faceva il solitario, sempre quello,
con le carte napoletane.
Gli chiesi: “nonno perché sei triste?” e lui “fiju miu me
manca lu paise!”.
Si sentiva solo, abbandonato, lontano dalle sue radici che
erano qui, nella penisola che si stende a est nel grande lago salato. Ma avrei
capito poi che non tutta la penisola è patria. La patria è proprio quel
minuscolo pezzetto di territorio che hai attraversato sempre, quello del tuo
paese. Già! il paese più bello del Mondo.
Ecco perché, non ce n’è un altro uguale, può essere solo
questo, il tuo, quello che hai impresso nella tua memoria e che nessuna forza
al Mondo è in grado di cancellare. Il paese più bello del Mondo sono quei
volti, quelle voci, quei profumi, quelle luci, quelle emozioni che ancora
pulsano vive dentro. Si, che sono vive, vive, dentro di me.
Antonio Bruno
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Angelo Depascalis Il tradizionale spumone del Bar Patarnello seduti in piazza Garibaldi e'indimenticabile
Luisella la Fenice E anche se il suo negozietto non affacciava sulla nostra bellissima agorà si deve citare lu "Truzzu" che deliziava il paese con il suo ortofrutta. Lo ricordavamo proprio ieri con tua moglie, la mia cara amica Delia Catanzaro. Il suo piccolo locale faceva capolino alla piazza dalla via Manno. Quanti ricordi che tornano anche per me che iniziò a non essere più una ragazzina.
Grazie Antonio Bruno conoscerti mi ha arricchito. 😄
Grazie Antonio Bruno conoscerti mi ha arricchito. 😄
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