La nostra mappa diventa il territorio
2.3. La rana e i colori: la mappa è il territorio
Ebbene sì, abbiamo appena affermato che la mappa non è il
territorio e già apparentemente ci contraddiciamo. L'idea che la nostra
rappresenta-zione della realtà sia, in qualche modo, la realtà, ricorre di
frequente nel pensiero contemporaneo ed ha trovato in autori come Heinz Von
Foerster e nella corrente del costruttivismo radicale l'espressione più
marcata. Se-condo i costruttivisti infatti la realtà non è altro che un atto
soggettivo e personale col quale vengono
composti degli impulsi elettrici dando loro un significato ritenuto coerente
con la propria mappa.
Questo orientamento ebbe una prima elaborazione formale da
parte dei biologi Humberto Maturana e Francisco Varela. Maturana iniziò uno
stu-dio, rimasto poi celebre, sulla percezione visiva delle rane partendo
dal-l'assunto che all'esterno dell'animale vi fosse una realtà oggettiva, o
am-biente, che veniva riprodotto all'interno. La percezione era quindi
conce-pita, almeno inizialmente, come un problema di correlazione tra gli
eventi ambientali esterni e gli eventi neurali interni. Tuttavia, insoddisfatto
da questa impostazione di partenza, Maturana propose un diverso tipo di
ri-cerca: "E se invece di correlare l'attività della retina con gli
stimoli che l'organismo riceve dall'esterno cercassimo di correlare l'attività
della reti-na con l'esperienza che il soggetto ha del colore?" (Maturana e
Varela, 1980). La domanda era dunque questa: "Che rapporto c'è tra
l'occhio e il cervello della rana a prescindere dal riferimento ad uno stimolo
esterno?" La nuova ricerca portò Maturana e i suoi collaboratori a
concludere che la percezione non era determinata dall'ambiente esterno ma
"costruita" dal sistema nervoso interno: "la percezione non
andava intesa come la presa di una realtà esterna, ma piuttosto come la
specificazione di una realtà, poi-ché nel funzionamento del sistema nervoso come
circuito chiuso era af-fatto impossibile far distinzione tra percezione e
allucinazione" (Maturana e Varela, 1980). La percezione dunque non è che
un riflesso del sistema nervoso (Varela, 1979). Questa specie di paradosso, in
virtù del quale diciamo che la mappa non è il territorio e, al tempo stesso, è
l'unico territorio conoscibile, deriva dal fatto che vogliamo proporvi un
metodo per apprendere a costruire, modifi-care e usare, in base alle vostre
esigenze, la vostra mappa. Come? È quasi d'obbligo rispondere a questa domanda
citando uno scritto del 1877: La filosofia del "come se" di Hans
Vahinger. Questo filosofo tedesco indiriz-zò il suo pensiero verso quelle
finzioni formulate dal pensiero umano per costruire delle realtà nuove e di cui
spesso non c'è consapevolezza. Queste finzioni servirebbero a favorire la
prassi portando l'uomo a conoscere non quello che c'è da conoscere ma quello
che vuole conoscere; la conoscenza dunque servirebbe solo a favorire
determinati processi desiderati. Di que-ste finzioni fanno parte, citandone
solo alcune, la scienza, gli apparati giu-ridici, l'etica e la percezione
stessa. Bene, rientrando nell'ambito pratico, prendiamo in prestito queste
teo-rie e, senza interrogarci troppo a lungo sul loro fondamento, proviamo a
vedere cosa accade se ne applichiamo i principi. Comportarsi "come
se" può significare vedere una situazione che anco-ra non c'è e
comportarsi come se fosse già intorno a noi. Avete mai sentito qualcuno
lamentarsi di non vincere mai nulla, lotterie, concorsi, ecc. e poi spiegare
che proprio per questo non gioca mai? Beh, se invertite gli ele-menti il gioco
è fatto. Se foste assolutamente sicuri di vincere, giochereste con regolarità?
Questo aumenterebbe senza dubbio le vostre possibilità di vincita. Ora ampliamo
il concetto. Se vi comportaste come se foste sicuri che il vostro capo
accetterà la vostra proposta sareste più tranquilli e con-vincenti?
Probabilmente sì e ciò migliorerebbe le vostre chances. Com-portarsi "come
se", aumenta enormemente le possibilità di realizzare un progetto
impegnativo ma richiede una visione chiara e potente di ciò che desideriamo. La
forza che ne deriva influenzerà gli altri, ci aiuterà a di-scriminare tra ciò
che va fatto e ciò che invece comporterebbe una perdita di tempo e,
soprattutto, attiverà la nostra mente inconscia. Attivare la mente inconscia
significa lavorare sul progetto da realizzare ventiquattro ore al giorno,
mangiando, dormendo, facendo l'amore, senza che per que-sto diventi
un'ossessione. Anzi proprio la certezza di ottenere ciò che vo-gliamo placherà
quello stato d'animo chiamato ansia sostituendolo con la serenità. Dunque la
nostra visione entra a far parte della nostra mappa, diventa vera per noi e noi
ci comportiamo "come se" fosse vera per tutti.
La nostra mappa diventa il territorio
Bruno Benouski, Riccardo Santilli, Laura Quintarelli, L'arte
di trasformare i desideri in risultati. Come
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