L’ontologia di Humberto R. Maturana
L’ontologia di Humberto R. Maturana
Verso la fine della sua vita fu chiesto a Bateson chi altri
stesse portando avanti lo studio sull’epistemologia della Creatura ed egli
rispose che «il centro di queste ricerche era a Santiago sotto la direzione di
un uomo chiamato Maturana» (27). Sono convinto che l’opera di Maturana contenga
quell’ontologia che Bateson non ha mai elaborato (ma che è in certa misura
implicita nei suoi scritti).
Maturana ha affrontato due quesiti fondamentali:
(a)
Che cosa avviene nel fenomeno della percezione?
(b)
e (b) Che cos’è l’organizzazione de vivente?
La sua intuizione chiarificatrice è stata quella di vedere
che i due fenomeni — cognizione e funzionamento del sistema vivente — sono in
realtà la stessa cosa (32, 33).
«La cognizione», egli afferma, «è un fenomeno biologico e
può essere compresa solo come tale» (33). Ogni entità biologica ha ed è un modo
di conoscere: «vivere, come processo, è un processo cognitivo. Questa
asserzione è valida per tutti gli organismi, con e senza sistema nervoso» (33).
Perciò, per Maturana
«conoscere equivale a vivere» (40) e
vivere equivale a conoscere. L’equazione di Maturana cognizione-vita
corrisponde all’equazione di Bateson mente-Creatura (il mondo dei sistemi
viventi). Di conseguenza, Maturana concorderebbe con Bateson sul fatto che una
comprensione adeguata dell’epistemologia deve includere varie conoscenze quali:
come apprendere, come crescere secondo una simmetria pentagonale, come contare
fino a sette, come inventare e guidare un’automobile e, soprattutto, come
evolvere (16).
L’idea centrale di Maturana sull’organizzazione del vivente
è che «è la circolarità della sua organizzazione che rende un sistema vivente
un’unità di interazioni, ed è questa circolarità che esso deve mantenere per
rimanere un sistema vivente» (33). Questa definizione apparentemente semplice
dei sistemi viventi contiene un’intuizione profonda, che (a) ha portato
Maturana assai più vicino all’ontologia e (b) gli ha permesso di tracciare un
epistemologia dei sistemi viventi (già implicita nella sua teoria dell’organizzazione
del vivente).
In particolare, Maturana osserva: se l’organizzazione di un sistema vivente è circolare, allora si tratta
di un’organizzazione chiusa non dal punto di vista termodinamico, ma
organizzativo. Il fatto che un sistema vivente sia chiuso a livello di
organizzazione, implica direttamente che esso è autonomo (44). I sistemi chiusi
a livello di organizzazione sono sistemi autonomi (vedi in particolare Varela,
49). Ogni sistema vivente ha la propria individualità autonoma, poiché la natura
della sua struttura determina interamente come il sistema si comporterà in
tutte le sue interazioni. Le interazioni
non determinano come sì comporterà il sistema; è il sistema che determina il
proprio comportamento. Più
precisamente, la struttura del sistema determina come esso si comporterà. Poiché le interazioni con l’ambiente non
possono determinare il comportamento di un sistema vivente organizzativamente
chiuso, se ne deduce che tali sistemi non possiedono inputs (e outputs) (44)!
Detto in altre parole essi non possono
ricevere informazioni. Tali sistemi,
come Ashby (2) notò tempo fa, sono
termodinamicamente aperti, ma «chiusi alle informazioni» — «impermeabili alle informazioni».
Poiché tutti i sistemi viventi (come pure i sistemi costruiti dall’uomo quali i
computers) sono chiusi, Maturana è costretto a concludere che non esiste una
cosa come l’informazione.
Ora, ovviamente,
tutti siamo convinti che l’informazione esiste e che si ricevono informazioni
da un’infinita varietà di fonti. Tuttavia,
sappiamo anche che persone diverse ricevono differenti «informazioni» dallo
«stesso input». La ragione è che ogni persona è differente dall’altra e proprio
per questo «risponde» diversamente alla «stessa» cosa. Questa è esattamente
l’idea di Maturana. E’ il sistema a
determinare il proprio comportamento, non «l’informazione». L’informazione non
ha esistenza o significato se no quello che le attribuisce il sistema con cui
interagisce. Il sistema determina non solo che cosa è un’interazione (per lui)
ma anche che tipo di interazione è quella data interazione. Perciò
l’informazione non può avere un’esistenza oggettiva e poiché il concetto di
oggettività è intrinseco al significato convenzionale del termine
«informazione», Maturana afferma che non esiste una cosa come l’informazione.
Su questo punto le opinioni di Maturana e Bateson sono in
netto contrasto. Mentre Maturana sostiene che l’informazione non esiste,
Bateson (8) fa dell’informazione («l’informazione ... è una differenza che crea
una differenza») il fondamento della sua epistemologia biologica.
Secondo Maturana, i nostri concetti di informazione e
comunicazione sono sostanzialmente mistificanti:
«Interazioni comunicative e linguistiche sono
intrinsecamente non informative; l’organismo A non determina e non può
determinare la condotta dell’organismo B perché, data la natura
dell’organizzazione stessa autopoietica ogni cambiamento che un organismo subisce
è necessariamente e inevitabilmente determinato dalla sua propria
organizzazione" (44, pag. 180).
I nostri usuali concetti di informazione e comunicazione
sono mistificanti perché ci portano a considerare la comunicazione e
l’informazione come qualcosa di simile al mitico tocco del Re Mida, capace di
trasformare in oro qualunque oggetto (42). Come il Re Mida poteva far sì che
gli oggetti esaudissero i suoi desideri (trasformandosi in oro), così noi
troppo spesso riteniamo che l’informazione e la comunicazione possano
determinare e specificare come si comporterà un organismo vivente. Ma non è
così. La cosiddetta «informazione» non prescrive e non può prescrivere il
comportamento di un sistema vivente. Ciò che noi definiamo informazione è
semplicemente qualcosa che osserviamo interagire con il sistema. In ogni
interazione data il sistema si comporta sempre conformemente alla sua
struttura. In altre parole, i sistemi viventi sono deterministici.
Il determinismo
strutturale: perché Maturana rifiuta il concetto di causalità
Sebbene inizialmente
interessato solo al determinismo dei sistemi viventi, Maturana (36) arriva più
tardi a concludere che un particolare tipo di determinismo è la conditio sine
qua non della scienza. Senza questo determinismo la scienza non potrebbe
progredire (e noi e l’universo che conosciamo non potremmo esistere).
L’esistenza di un mondo ordinato dipende dal determinismo. Senza una qualche
forma di determinismo ontologico, non ci sarebbe che caos ed ogni cosa si
comporterebbe in modo privo di significato. Un simile mondo non potrebbe
esistere, almeno nel senso che noi attribuiamo a questo termine, e nessuna
scienza potrebbe indagare su di esso.
Sebbene se ne faccia raramente cenno, anche Bateson era un
determinista. Ma mentre Maturana è partito dal determinismo dei sistemi viventi
per arrivare ad un determinismo strutturale più generale che si applica sia ai
sistemi viventi che a quelli non viventi, Bateson ha fatto l’opposto. E’ cioè
passato dal determinismo fisico onnicomprensivo della meccanica newtoniana al
più circoscritto «determinismo mentale» (13) del mondo della Creatura:
«... oltre (e sempre in conformità) al determinismo fisico
che caratterizza il nostro universo e che ci è familiare, esiste un
determinismo mentale. Questo determinismo mentale ... è particolarmente
complesso ed evidente in quelle parti dell’universo che sono dotate di vita o
includono esseri viventi».
L’asserzione ontologica di Maturana è che il mondo è
strutturalmente determinato (35, 36). Con questo egli intende dire che il
comportamento di tutte le unità composte, sia che si tratti di sistemi viventi
o di oggetti inanimati, è interamente determinato dalla loro struttura (cioè,
dalle componenti dell’unità e dalle relazioni tra queste componenti). In altre
parole, il concetto di Maturana di
determinismo strutturale è la generalizzazione della sua idea originaria sulla
chiusura dei sistemi viventi. Il comportamento di un sistema vivente nel suo
medium non è altro che un caso particolare di una realtà più generale, cioè,
che noi viviamo in un mondo di entità strutturalmente determinate!
La struttura di un oggetto ne determina il comportamento
stabilendo quali sono le interazioni a cui esso può partecipare. Determina
quali sono gli eventi nel suo medium con cui esso può interagire e come esso sì
comporterà in ciascuna di queste interazioni. Infine, per evitare di confondere
il concetto di struttura in Maturana con altre definizioni di struttura che il
lettore può aver incontrato in precedenza, è necessario ricordare che la
struttura non è qualcosa di statico. Essa si modifica con ciascuna interazione
a cui partecipa; questo vale soprattutto per i sistemi viventi dinamici, che
subiscono cambiamenti continui nelle loro componenti e nelle relazioni tra
queste componenti1.
Con questa unica
coraggiosa intuizione (cioè il determinismo strutturale), Maturana ha
recuperato il grande universo meccanicistico di Newton, ma con una importante
differenza. Il determinismo di Maturana si distingue da quello di Newton
poiché si adatta con eleganza al moderno mondo relativistico di Einstein.
Newton descrive un universo meccanicistico in cui forze ed urti determinano in
senso causale il comportamento degli oggetti. Maturana insiste nel dire che
questo tipo di determinismo causale è ontologicamente impossibile. Forze ed
urti non possono determinare e non determinano, nè specificano o prescrivono il
comportamento di un oggetto. Essi rappresentano solo occasioni storiche che
permettono al sistema di continuare il proprio comportamento strutturalmente
determinato.
Bateson (5, 9, 16) fa una distinzione analoga tra la
meccanica newtoniana e il mondo dei processi mentali, ma tende a definirla in
termini di energia. Egli osserva che «quando do un calcio a una pietra, le
fornisco energia ed essa si muove con quell’energia. Quando do un calcio a un
cane, è vero che il mio calcio ha in parte un effetto newtoniano ..., ma non è
questa la cosa essenziale. Quando do un calcio a un cane, esso reagisce con
un’energia tratta dal suo metabolismo ... l’energia è già presente in chi
reagisce, prima che avvenga l’urto degli eventi» (16, p. 138). Bateson ammette
però che «concentrando l’attenzione sull’energia si semplificano troppo le
cose, poiché vi è anche l’asserzione generale ... che solo la differenza può
far scattare la reazione» (16, p. 140). Questa precisazione avvicina la sua
analisi a quella di Maturana, anche se il divario tra i due pensatori rimane
considerevole; Bateson infatti prosegue la sua analisi delle differenze (che
creano una differenza) in termini di «codificazione» e «genesi di gerarchie di
significati» (16, p. 140) mentre Maturana respinge esplicitamente entrambe
queste nozioni.
Come dobbiamo
spiegare la nostra convinzione (ed esperienza) che una cosa ne causa un’altra?
Per Maturana, la parola «causa» è sinonimo di «interazione
istruttiva» — un fenomeno impossibile. In un ‘interazione istruttiva A
determina unilateralmente la risposta di B: la lezione tenuta da un professore
determina in tutti gli studenti un identico livello di comprensione e fa quindi
sì che essi diano agli esami risposte identiche; un terapista usa un certo tipo
di intervento che stimola sempre esattamente la stessa reazione in qualunque
paziente o famiglia e così via. Perciò,
quando Maturana afferma che la causalità è impossibile, intende dire che la
lezione del professore non determina le risposte degli studenti (il che
significherebbe che si tratta di un’interazione istruttiva); essa seleziona le
risposte degli studenti, ma è la loro struttura che le determina.
Selezionare è qualcosa di simile a premere il pulsante
«Sprite» di un distributore automatico. La pressione del pulsante seleziona la
risposta della macchina (che vi fornisce la Sprite), ma non determina il fatto
che la macchina vi dia la Sprite quando premete il bottone. In sintesi,
Maturana sostiene che il nostro uso abituale del termine «causa» implica sempre
o rischia di implicare un determinismo del tipo «interazione istruttiva» —
mentre la causalità è sempre solo un processo di selezione. La causalità così
come la intendiamo comunemente non esiste (21).
L’interazione istruttiva, per inciso, non è altro che la
causalità lineare. Bateson si è avvicinato a questa idea, ma non ha mai
chiaramente descritto la causalità lineare come un fenomeno che implica
un’interazione istruttiva. Tutti i suoi sforzi di descrivere la causalità
lineare sono sempre rimasti legati alla contrapposizione causalità
lineare/causalità circolare. Credo che la dicotomia interazione
istruttiva-determinismo strutturale si dimostrerà col tempo più utile.
L’idea di Maturana è che le nostre convinzioni sulla
causalità siano una conseguenza epistemologica del nostro stato ontologico: noi
esistiamo nel mondo fisico e (b) operiamo in questo mondo come osservatori
(36). Come osservatori punteggiamo ciò che vediamo in termini di causalità, e
quindi caratterizziamo il mondo in cui viviamo come un universo causale.
«La nozione di causalità è una nozione che appartiene al
dominio delle descrizioni, e come tale, è rilevante solo nel metadominio nel
quale l’osservatore fa i suoi commenti e non può essere ritenuta operativa nel
dominio dei fenomeni, che sono l’oggetto della descrizione» (38, p. 31, corsivo
aggiunto)
Come osservatori, noi attribuiamo una priorità causale
all’agente attivo, che «causa» (ma in realtà semplicemente seleziona) in un
altro oggetto un particolare cambiamento (ad esempio, nel biliardo, la palla
colpita dalla stecca del giocatore «fa fare» carambola alla palla che era
ferma). Punteggiando in tal modo l’interazione, ignoriamo il fatto che è la struttura
del secondo oggetto (ad esempio, la palla che era ferma) a determinare che esso
può essere messo in movimento, e in che modo, da parte di altri oggetti:
«Gli stati e le transizioni di stato di un sistema sono
determinati dalla sua organizzazione (oggi Maturana direbbe struttura). Di
conseguenza, gli stati degli organi di senso e dell’organismo (il sistema
nervoso) così come le loro transizioni sono necessariamente determinati dalla
loro organizzazione (di nuovo, qui Maturana direbbe oggi struttura)*, e
l’ambiente come agente perturbante può rappresentare solo l’occasione storica
del loro verificarsi (34)2
Bateson (16) ha descritto lo stesso fenomeno di attribuzione
di priorità all’agente «causale» (ignorando la struttura di ciò su cui
«agisce») quando parla del ricorso ai «principi dormitivi». Nel «Malato
Immaginario» di Molière «viene rappresentato in scena l’esame orale medioevale
di un candidato dottore. Gli esaminatori chiedono all’esaminato perché l’oppio
faccia dormire e quello risponde trionfalmente: «Perché, sapienti dottori, esso
contiene un principio dormitivo» (p. 118). Analogamente, Bateson allude con
ironia alle spiegazione unilaterali dell’interazione «causale» in termini di
«spiegazioni dormitive»3.
Quando ci confrontiamo senza successo con alcuni aspetti del
nostro mondo, cominciamo a renderci conto del fatto che A non causa
unilateralmente B. Per esempio, Bateson (7, 10) si divertì a descrivere le
difficoltà di Alice nel Paese delle Meraviglie di L. Carroll, quando cerca di
giocare a croquet usando un fenicottero come mazza ed un porcospino come palla.
Il fenicottero (la mazza), brandito per le zampe in modo da colpire con la
testa un grosso insettivoro (la palla), non è disposto ad accettare questo
destino e continua a muovere la testa per evitare una simile onta.
Analogamente, il porcospino (la palla) non vedendo di buon occhio di essere
colpito da quell’uccello dalle lunghe zampe, alternativamente si dà alla fuga o
si avvolge su se stesso trasformandosi in una pericolosa palla di spine (il che
naturalmente non fa che aumentare la determinazione del fenicottero a
contorcersi per evitare di essere trafitto). Ovviamente, Alice incontra grosse
difficoltà ad usare il fenicottero e il porcospino in modo da «causare» il
passaggio della palla attraverso le porte. Durante il gioco ella non riesce
granché a sperimentare di essere in grado di «causare» degli eventi.
Quello che è essenziale capire qui è che non vi è nessuna
sostanziale differenza tra le nostre interazioni quotidiane con il mondo e
l’interazione di Alice con il fenicottero e il porcospino. Tutte le interazioni
implicano accoppiamenti strutturali tra gli oggetti. Se siamo in grado di
interagire con essi in modo da ottenere il risultato desiderato o previsto,
viviamo l’esperienza psicologica della causalità.
Tuttavia questa esperienza non comporta mai un interazione
istruttiva. Le interazioni consistono (e
possono solo consistere) in un fenomeno di adattamento reciproco o
accoppiamento. Per poter avere l’esperienza psicologica (ed epistemologica)
di causare un evento, dobbiamo adattarci alla situazione. Dobbiamo cioè
adattare la nostra struttura alle strutture con cui interagiamo. Ad esempio, un
individuo adulto può camminare su questo pianeta solo perché si uniforma o si
adatta alla forza di gravità. I metodi educativi di una madre possono
funzionare bene con il primo figlio, ma fallire miseramente con il secondo.
Perché? Perché è la struttura del bambino che determina come si comporterà, non
i metodi pedagogici della madre. Perciò, se la madre vuole avere successo con
il secondo figlio, deve scoprire ed usare con lui solo quelle modalità di
intervento che sono in sintonia con le sue tendenze e con la sua personalità.
In breve, il determinismo strutturale di Maturana ci costringe a riesaminare
gran parte delle nostre concettualizzazioni generali sulla natura della
causalità.
Conseguenze del determinismo strutturale
Dopo aver così introdotto il concetto di determinismo
strutturale, possiamo ora indicare (almeno) sei implicazioni fondamentali
dell’asserzione ontologica di Maturana, che noi viviamo in un mondo
strutturalmente determinato.
In primo luogo, la
conseguenza epistemologica che ne deriva è che una conoscenza oggettiva e
impossibile. Non possiamo ricevere alcuna informazione oggettiva sul mondo.
Ciò che conosciamo è sempre funzione
dell’interazione tra le operazioni del nostro corpo strutturalmente determinato
e il mondo «esterno»:
La conoscenza implica interazioni e non possiamo uscire in
alcun modo dal nostro dominio interattivo che è chiuso. Noi viviamo perciò in
un dominio conoscitivo e in una realtà dipendenti dal soggetto... Infatti qualunque conoscenza di una realtà assoluta
e trascendente è intrinsecamente impossibile; se una realtà, supposta come
trascendente, dovesse diventare accessibile alla nostra descrizione, essa non
sarebbe più trascendente poiché una descrizione implica sempre delle
interazioni e quindi rivela solo una realtà dipendente dal soggetto» (36).
Noi possiamo
conoscere il mondo solo attraverso le «lenti» strutturalmente determinate del
nostro corpo. Perciò Maturana insiste maliziosamente che «noi viviamo nel
mondo come se fossimo appesi ad una corda e immersi di volta in volta in
diversi tipi di zuppa; noi descriviamo il mondo in base ai cambiamenti di stato
che avvertiamo in noi in relazione alla particolare zuppa in cui siamo immersi»
(39).
Sia Maturana che Bateson concordano sull’impossibilità
dell’informazione oggettiva, ma con una differenza molto importante. La
posizione di Bateson implica un’epistemologia dipendente dal soggetto, mentre
quella di Maturana comporta sia un’epistemologia che un’ontologia dipendenti
dal soggetto o relativistiche. Cioè, due
sistemi strutturalmente determinati possono interagire perché le loro strutture
stabiliscono reciprocamente che essi sono in grado di costituire una
perturbazione l’uno per l’altro; essi interagiscono perché possono interagire.
Il determinismo strutturale di Maturana non ci dice niente su un mondo «reale»
o oggettivo. La posizione di Bateson, invece, conserva notevoli tracce di
oggettività. In particolare, egli parla del concetto di differenza come se
fosse qualcosa di oggettivo. La sua espressione «notizie di differenze» (16)
implica l’esistenza di differenze oggettive nel «mondo esterno». Egli chiama
«differenze efficaci» (16, p. 135) o «differenze che producono una differenza»,
quelle di cui riceviamo notizia, e «potenziali» o «latenti» (16, p. 135) («che
cioè in nessun modo producono una differenza») quelle di cui non riceviamo
notizia. Bateson (16) riteneva che «ogni percezione di differenze è limitata da
una soglia»: «Differenze troppo lievi o che si presentano troppo lentamente non
sono percepibili». In breve, la discussione di Bateson sulle differenze sembra
indicare l’esistenza di un mondo esterno oggettivo, del quale però possiamo
ricevere solo informazioni filtrate. Questa oggettività, implicita nell’uso che
Bateson fa del concetto di differenza, è probabilmente una conseguenza diretta
del suo focalizzarsi sull’epistemologia, ignorando invece il problema
ontologico. Bateson insiste
sull’impossibilità di una conoscenza oggettiva (epistemologia), ma evitando di
affrontare direttamente la questione ontologica, consente all’oggettività di
continuare a esistere nel «mondo esterno». E’ solo che non possiamo
conoscerlo (cioè, non possiamo conoscere la ding an sich). Ma se la conoscenza oggettiva è impossibile, ne deriva, come sostiene
Maturana, che un organismo non possiede una rappresentazione interna o
codificazione del mondo esterno. La
posizione di Maturana è in netto contrasto con quella di Bateson, che fa invece
di questa rappresentazione codificata la chiave della spiegazione dei processi
mentali: «Nei processi mentali, gli effetti delle differenze devono essere
considerati come trasformate (cioè versioni codificate) degli eventi che li
hanno preceduti» (16). Maturana dimostra che si tratta di una posizione
insostenibile quando, ad esempio, prova che non sì può stabilire alcuna
correlazione tra i colori (così come vengono definiti dalle energie spettrali)
e le relazioni di attività delle cellule gangliari della retina dei piccioni o
degli esseri umani (43). Egli scopre invece che il sistema nervoso possiede le
proprie correlazioni interne: ad esempio, le relazioni di attività delle
cellule gangliari della retina sono connesse all’attribuzione di nomi ai colori
da parte dell’organismo (ma non agli effettivi colori così come sono definiti
dalle energie dello spettro solare)! Ne deriva che il sistema nervoso funziona
come un sistema chiuso, internamente coerente e non contiene rappresentazioni o
trasformazioni dell’ambiente:
«Le nozioni di rappresentazione e di codifica
dell’informazione sono valide per descrivere le interazioni dell’osservatore
con l’organismo osservato solo quando egli considera il sistema nervoso come un
sistema aperto, ma non per la caratterizzazione della sua organizzazione come
rete di neuroni. In altre parole, l’osservatore, che vede l’organismo
interagire con l’ambiente, può trattare i cambiamenti che l’organismo subisce
come rappresentazioni delle circostanze della interazione, ma facendo questo
egli descrive un sistema diverso da quello costituito dall’organismo col suo
sistema nervoso» (34).
In secondo luogo, come si è già detto, una causalità che
implichi una interazione istruttiva è ontologicamente impossibile.
Terzo, poiché tale causalità è impossibile, anche il
controllo è impossibile. I sistemi possono accoppiarsi l’uno con l’altro (ad esempio,
la madre che usa metodi educativi efficaci), ma il controllo (nel senso
dell’interazione istruttiva) è ontologicamente impossibile. Come si è già
notato, anche Bateson, per ragioni diverse da quelle di Maturana, considera
tutti i tentativi di controllo un errore epistemologico: «Non viviamo in un
universo in cui il semplice controllo unidirezionale sia possibile. La vita non
è fatta così» (4, p. 453).
Si è affermato spesso che i sistemi sono gerarchicamente
organizzati. Tale affermazione è giustificata dal fatto che per l’osservatore è
utile descrivere o punteggiare un sistema mediante la metafora della gerarchia.
Bisogna però ricordare che tutte le nozioni di controllo
gerarchico sono soggette alle restrizioni cui si è accennato sopra. Le gerarchie
apparenti che osserviamo in una famiglia o in altri sistemi sono legate alla
nostra focalizzazione di una sequenza discreta, particolare, di comportamento.
Qualunque sequenza di comportamento, isolata dalla globalità del sistema,
apparirà necessariamente gerarchica, cioè sembrerà che una sola componente
della sequenza interattiva sia in grado di «controllare» o innescare il
comportamento di una o più delle altre componenti.
Quarto, i sistemi strutturalmente determinati sono
necessariamente «perfetti». In che senso?
Nel senso che non commettono mai errori; essi si comportano
sempre secondo la propria struttura. Perciò, ogni volta che affermiamo che un organismo ha commesso un errore,
usiamo come referente l’obiettivo che non è stato raggiunto, anziché la struttura
dell’organismo stesso. Se prendessimo quest’ultima come punto di
riferimento, ci accorgeremmo che (a) l’organismo sì sta comportando
«perfettamente», e (b) che quel comportamento è l’unico possibile per lui in
quelle circostanze: l’organismo sta infatti agendo in base alla propria
struttura.
A questo proposito, è
divertente osservare che è solo per il fatto che i sistemi strutturalmente
determinati sono perfetti, che possono verificarsi quei comportanti che
chiamiamo «errori»!
Cioè, solo perché si comporta secondo le regole autonome
della propria struttura un sistema può risultare «non sincronizzato» con
l’ambiente: «se le perturbazioni non costituissero solo occasioni di innesco4
per cambiamenti di stato internamente determinati, i comportamenti inadeguati,
quelli cioè che all’osservatore appaiono fuori-contesto, non avrebbero mai
luogo» (35).
Quanto più il lettore ha fatto propria una spiegazione di
tipo semantico o contestuale anziché strutturale, tanto più giudicherà la tesi
appena esposta circa il funzionamento perfetto dei sistemi strutturalmente
determinati come difficile, triviale, noiosa. Le spiegazioni semantiche o
contestuali sono del tipo: «Egli ha fatto questo a causa di (qualcosa che sta
accadendo o è accaduta)»; «Ella sta facendo questo allo scopo di (realizzare un
certo obiettivo nell’ambiente)»; «La funzione del suo comportamento è (ottenere
questo, fronteggiare quest’altro, ecc.)». Con questo arriviamo all’implicazione
più importante del determinismo strutturale.
Un sistema strutturalmente determinato funziona unicamente
in base alla sua struttura e non in vista di scopi (34, 35, 36, 37, 38, 44).
Questo tipo di interpretazione semantica del modo di operare di un sistema
strutturalmente determinato esiste solo nel dominio delle descrizioni
dell’osservatore:
«Il valore semantico di un’interazione… non e una proprietà
dell’interazione stessa, ma un aspetto della descrizione che l’osservatore ne
fa riferendosi ad essa come se i cambiamenti di stato dei sistemi interagenti
fossero determinati dalle loro perturbazioni reciproche e non dalle loro
rispettive strutture individuali» (35).
In altre parole, le spiegazioni in termini di scopo e
funzioni (cioè quelle che collegano in modo significativo il comportamento di
un organismo al suo contesto) sono dello stesso tipo di quelle che descrivono
l’adattamento evolutivo con asserzioni quali:
«L’homo sapiens sviluppò un pollice opponibile allo scopo di
manipolare strumenti». Di conseguenza, Maturana insiste recisamente che ogni
descrizione semantica o contestuale «che non venga intesa come una semplice
metafora, è intrinsecamente inadeguata ed erronea», (35).
La posizione di Bateson a questo proposito appare
completamente diversa. Egli considera il contesto essenziale per tutti i
processi mentali: «Prive di contesto, le parole e le azioni non hanno alcun
significato. Ciò vale non solo per la comunicazione verbale umana, ma per
qualunque comunicazione, per tutti i processi mentali, per tutta la mente,
compreso ciò che dice all’anemone di mare come deve crescere e all’ameba che
cosa fare il momento successivo» (16, p. 30). In realtà, Maturana sarebbe
sostanzialmente d’accordo con Bateson, ma aggiungerebbe che questi finisce
inevitabilmente per andare fuori strada, perché non include il determinismo strutturale
nella sua comprensione del contesto.
La sesta conseguenza del determinismo strutturale è forse la
più importante. Il determinismo strutturale implica direttamente un fenomeno
che Maturana chiama Accoppiamento strutturale (35, 36, 37, 38, 41, 42). Con
questo termine egli indica la relazione esistente fra un’entità strutturalmente
determinata e il medium in cui essa esiste. L’accoppiamento strutturale
rappresenta il fenomeno fondamentale del determinismo strutturale; esso è
infatti il processo da cui è scaturito l’universo organizzato in cui viviamo.
L’accoppiamento strutturale organizza ed è costitutivo di ogni sistema
complesso che sia mai esistito. Sul piano epistemologico è il fenomeno che
produce la scienza; su quello ontologico è sinonimo di esistenza. Dal punto di
vista fenomenologico, infine, è il processo proprio dei sistemi viventi, che è
stato spesso erroneamente identificato con «l’omeostasi», la «gerarchia», o le
«regole» del sistema (20, 22).
Cominciamo con l’ontologia. Ciò che esiste deve essere
accoppiato strutturalmente con il mondo (in cui esiste); ciò che non è
accoppiato strutturalmente con il mondo non può esistere (in quel mondo)».
L’accoppiamento strutturale, inteso come la relazione di complementarità tra
un’unità e il suo medium, . . .è una condizione costitutiva dell’esistenza di
qualunque unità» (41). Un oggetto strutturalmente determinato è accoppiato con
il mondo (in cui esiste) fino a che le interazioni con esso non portano alla
sua disintegrazione. Se le interazioni con il medium portano alla
disintegrazione dell’oggetto, esso cessa di esistere ed, ovviamente, non è più
accoppiato strutturalmente (con il medium in cui esisteva). A prima vista,
questa equazione accoppiamento strutturale-esistenza può sembrare quasi triviale.
Dopo tutto, che cosa si aggiunge di importante dicendo che una roccia, in
quanto esiste, è accoppiata strutturalmente con l’ambiente? In realtà, molto.
L’accoppiamento strutturale è il fenomeno che sottende e, di
fatto, costituisce ciò che di solito chiamiamo «cognizione» (32, 33, 34) o
«intelligenza» (42) e che Bateson definisce «mente». Essere accoppiato
strutturalmente significa avere comportamenti intelligenti (42). Il
comportamento fondamentale è esistere; la conoscenza fondamentale è «conoscere
come» esistere. Una roccia sa come esistere. Analogamente, per un organismo
vivente la conoscenza chiave è sapere come sopravvivere. Se un organismo è in
grado di continuare a funzionare come unità vivente, autopoietica, significa
che esso è accoppiato strutturalmente con il suo medium. Cioè, le sue
interazioni con il medium in cui esiste non portano alla sua distruzione.
Perciò, come ha sottolineato Maturana, conoscere è vivere — ed esistere come
essere vivente significa comportarsi con intelligenza (42). Tutto ciò che gli
psicologi hanno definito «intelligenza» si fonda su, e non è distinguibile da,
l’accoppiamento strutturale, che permette ad un organismo di continuare a
vivere nel suo ambiente. Bateson (16) afferma che l’epistemologia deve
includere tutti i tipi di conoscenza di cui la Creatura è capace:
«e fra le cose in genere che queste creature conoscono,
ciascuna a suo modo, io comprendevo ‘come crescere secondo una simmetria
pentagonale’, ‘come sopravvivere a un incendio nella foresta’, ‘come crescere
mantenendo la stessa forma’, ‘come apprendere’, ‘come scrivere una
costituzione’, ‘come inventare e guidare una automobile’, ‘come contare fino a
sette’, e così via» (16, p. 17).
Tutto il lavoro di Maturana implica che l’ontologia include
la conoscenza di base: «come esistere».
E’ ovvio che il comportamento complesso dei mammiferi appare
molto diverso dal comportamento semplice riconoscibile nelle rocce e nelle
forme più primitive di vita. C’è qualcosa nella natura dell’accoppiamento
strutturale di un mammifero con il suo ambiente che ci spinge a definire
«intelligente» questo tipo di animali, mentre ci opponiamo all’idea che rocce o
protozoi siano «intelligenti». Qual è la differenza?
La differenza che balza immediatamente agli occhi è che i
mammiferi sono più complessi di altre forme inferiori di organismi viventi o di
entità non viventi. Cioè un mammifero possiede una gamma di possibilità stati
assai più ampia di un paramecium o di una roccia. Tuttavia la complessità non è
la differenza cruciale. Lo è invece il fatto che tale complessità si fonda
sulla plasticità strutturale. Un sistema è plastico a livello strutturale
quando è in grado di subire cambiamenti strutturali in seguito ad interazione
con se stesso, con il suo ambiente o con altri sistemi strutturalmente
plastici. In altre parole, sebbene la struttura del sistema determini in che
modo esso «reagirà» ad una certa perturbazione in un dato istante,
l’interazione porta, a sua volta, a cambiamenti strutturali, che altereranno il
comportamento futuro del sistema. Cioè, un sistema strutturalmente plastico è
un sistema che apprende.
E’ alla plasticità strutturale che si deve quella differenza
di comportamento tra un mammifero ed una roccia che ci fa definire l’uno
intelligente e l’altra no5. Quando un sistema strutturalmente plastico è
accoppiato con il suo ambiente, il suo comportamento ci appare intelligente,
poiché la sua plasticità fa sì che esso mostri continui cambiamenti nelle sue
«risposte» all’ambiente. Fino a che l’animale vive, il suo comportamento sarà,
per definizione, adeguato al suo ambiente. Questo sembrerebbe dunque il
requisito minimo necessario per giudicare intelligente un organismo: che esso
si adatti al suo ambiente. Inoltre, fino a che l’organismo sopravvive, il suo
comportamento diventerà, nel tempo, accoppiato in modo sempre più ricco con le
perturbazioni regolari del suo ambiente:
«Se l’organismo e il suo sistema nervoso sono plastici a
livello strutturale, la realizzazione continua dell’autopoiesi dell’organismo
porta necessariamente ad un accoppiamento strutturale dell’organismo e del
sistema nervoso l’uno con l’altro e con il medium in cui l’autopoiesi si
realizza» (35).
Questo fenomeno è di estrema importanza perché
l’accoppiamento strutturale costituisce il fondamento di tutti i sistemi
interattivi animali e umani. Cioè, fino a che sopravvive, un sistema plastico a
livello strutturale diventerà automaticamente e rapidamente accoppiato in modo
sempre più ricco con il suo ambiente. Perciò, se l’ambiente è formato da altri
sistemi strutturalmente plastici, essi risulteranno accoppiati l’uno con
l’altro con sempre maggiore complessità. Inoltre, questo accoppiamento «è una
conseguenza necessaria delle loro interazioni ed è tanto maggiore quanto più
numerose sono le interazioni che si verificano» (35). Bateson ha descritto lo
stesso fenomeno in termini di tautologia auto-terapeutica: «Se la si lascia
stare, qualunque ampia porzione di Creatura tende a stabilizzarsi verso la
tautologia, cioè verso una coerenza interna di idee e di processi» (16, p.
272).
A questo punto, parte del significato dell’ontologia di
Maturana nel campo delle scienze sociali appare evidente: i sistemi viventi
strutturalmente determinati si organizzano automaticamente in sistemi
interattivi. Ogni volta che due o più sistemi viventi strutturalmente plastici
interagiscono, essi cominciano a co-creare un pattern chiuso di interazione.
Essi formano un sistema. Se leggiamo un sistema in termini di accoppiamento
strutturale, ci accorgiamo che non vi è alcun bisogno di spiegare la sua
organizzazione ricorrendo ai concetti di omeostasi, regole sistemiche o
controllo gerarchico (20, 22). Il sistema emerge naturalmente dal modo in cui
le sue componenti strutturalmente plastiche si adattano l’una all’altra. Tale
sistema deriva da ed è l’accoppiamento strutturale delle sue componenti. Il
sistema è il modo in cui le sue componenti si adattano reciprocamente. Di
conseguenza, non esistono processi sistemici che creano, regolano o mantengono
il sistema: tutto il comportamento del sistema deriva direttamente dalle
interazioni delle sue componenti strutturalmente determinate. Concetti come
omeostasi, regolazione, regole sistemiche, e così via, sono semplicemente una
descrizione del funzionamento del sistema da parte di un osservatore. Tali
descrizioni non hanno alcun valore esplicativo, poiché non si riferiscono ad
alcun processo effettivamente operante nel sistema: «Controllo e regolazione
non sono fenomeni operativi che si verificano nelle interazioni reali delle
componenti di un’unità composita dinamica; essi sono descrizioni dello
svolgimento di queste interazioni, fatte da un osservatore» (41).
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